NUDA PROPRIETÀ DI UN APPARTAMENTO: ALLA MORTE DEL VENDITORE SI OTTIENE AUTOMATICAMENTE IL POSSESSO?
Cassazione, sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1219
Può aversi il trasferimento della proprietà disgiunto da quello del possesso, l’uno non implicando necessariamente l’altro, anche se esso costituisce effetto naturale del contratto di compravendita, ma può non verificarsi, ove risulti dimostrato, come nella specie, che il venditore non abbia trasferito il possesso del bene ceduto, mantenendo il diritto ad esercitare il diritto di jus possessionis. La compravendita, infatti, non è un contratto immediatamente traslativo della disponibilità concreta della cosa; in essa il consenso non produce effetti reali sulla disponibilità stessa, poiché l’art. 1476 c.c. considera la consegna della cosa venduta come oggetto di una specifica obbligazione del venditore derivante dalla conclusione del contratto
Cassazione, sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1219
(Pres. Piccialli – Rel. Falaschi)
Svolgimento del processo
Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 1168 c.c., depositato dinanzi al Pretore di Roma, F..R. evocava in giudizio D.L.R. e F..G. e premesso di avere acquistato la nuda proprietà di immobile sito in (OMISSIS) da A..D.L. , con atto notarile del 1.10.1994, consolidatoci possesso alla morte del D.L. , chiedeva di essere reintegrato nel possesso del bene di cui R..D.L. rivendicava la proprietà quale erede del de cuius, tanto da avere concluso contratto di locazione con la G. , cedendole una stanza.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza delle convenute, il giudice unico del Tribunale adito (già Pretore), accoglieva parzialmente la domanda reintegrando il ricorrente nel compossesso dell’appartamento.
In virtù di rituale appello interposto dal R. , con il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse riconosciuto il solo compossesso dell’immobile, la Corte di appello di Roma, nella resistenza delle appellate, le quali proponevano anche appello incidentale, rigettava il gravame principale e in accoglimento di quello incidentale, respingeva la domanda proposta dal ricorrente.
A sostegno dell’adottata sentenza la corte distrettuale evidenziava che dalle prove raccolte emergeva che la presenza della G. era da collocare in epoca antecedente al decesso di D.L.A. e che l’appellante non aveva mai conseguito il possesso dell’immobile, per cui pur dovendosi ritenere irrilevanti nell’instaurato giudizio possessorio i profili petitori relativi a pretesi diritti ereditari vantati dall’appellata D.L. , nessuna tutela possessoria poteva essere prestata all’appellante in difetto dei presupposti, ossia l’avere subito uno spoglio violento o clandestino.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il R. , che risulta articolato su un unico motivo, al quale ha resistito la D.L. con controricorso, mentre la G. non si è costituita.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Con unico motivo il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere la corte distrettuale tenuto conto delle prove testimoniali da cui emergeva che egli aveva avuto modo di entrare nell’appartamento, delle volte anche insieme all’altra figlia del de cuius, dalla morte di quest’ultimo fino al momento in cui egli aveva trovato la serratura della porta di ingresso dell’appartamento sostituita. D’altro canto il ricorrente aveva conseguito automaticamente la piena proprietà del bene al decesso del D.L. , con tutte le facoltà ad essa connesse, quali il possesso dell’appartamento.
Il ricorso è infondato.
Premesso che l’art. 1140 c.c., definisce il possesso come un potere di fatto sulla cosa (corpus) che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, accompagnata dall’hanimus rem sibi habendi, il potere sulla cosa presuppone il c.d. impossessamento, che si realizza innanzi tutto mediante apprensione materiale unilaterale.
Il possesso si può perdere per rinunzia mediante comportamenti concludenti, per subito spoglio o volontaria consegna, abbandono o perimento o restituzione della cosa (v. Cass. 7 gennaio 1992 n. 39).
Legittimato alla tutela possessoria, che dal punto di vista sostanziale, è assoluta ed incondizionata erga omnes contro gli atti di spoglio e di molestia, e, dal punto di vista processuale, è improntata ad estrema urgenza, è soltanto il possessore o il detentore qualificato del bene.
Dunque pur vero che nel giudizio possessorio l’esame dei titoli è consentito non già per pronunciare sui diritti che possono derivarne, ma solo ad colorandam possessionem, cioè per trame elementi di convincimento sull’esistenza, le modalità e i limiti del possesso o del compossesso.
Nella specie è agevole osservare che la corte di merito ha ben considerato che quando taluno venda la sola nuda proprietà di un proprio immobile, con ciò riservando per sé l’usufrutto, pur garantendone all’acquirente la libertà da diritti di terzi, non corrisponde anche il trasferimento del possesso del bene medesimo.
Va precisato che con l’atto notarile del 1.10.1994 R.F. ha acquistato la proprietà dell’immobile, rimasto l’usufrutto in capo ad A..D.L. , che già lo abitava, dunque senza alcuna immissione nella materiale disponibilità dell’acquirente del bene, esercitato il diritto di ius possessonis dal venditore.
Infatti, può aversi il trasferimento della proprietà disgiunto da quello del possesso, l’uno non implicando necessariamente l’altro (Cass. 4 marzo 1993 n. 2660; Cass. 11.10.89 n. 4057), anche se esso costituisce effetto naturale del contratto di compravendita (Cass. 11.1.08 n. 569, 28.8.93 n. 9134, 16.3.84 n. 1808, 4.8.77 n. 3504, 9.11.70 n. 2310, 17.8.68 n. 2854), ma può non verificarsi, ove risulti dimostrato, come nella specie, che il venditore non abbia trasferito il possesso del bene ceduto, mantenendo il diritto ad esercitare il diritto di jus possessionis. La compravendita, infatti, non è un contratto immediatamente traslativo della disponibilità concreta della cosa; in essa il consenso non produce effetti reali sulla disponibilità stessa, poiché l’art. 1476 c.c. considera la consegna della cosa venduta come oggetto di una specifica obbligazione del venditore derivante dalla conclusione del contratto (v. Cass. 18 marzo 1981 n. 1613). Correttamente, quindi, la Corte d’appello ha ritenuto, all’evidenza, non verificatesi la consegna nella specie, per non avere il venditore cessato di possedere contemporaneamente alla cessione dell’immobile, per cui doveva esserne offerta prova.
A tal fine non risulta provata dal ricorrente che l’intervenuta sostituzione delle chiavi della porta di ingresso dell’appartamento sia avvenuta ovvero sia avvenuta per sua iniziativa. D’altro canto considerato che il R. ha agito in sede possessoria e che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il proprietario-possessore, spogliato dal possesso, il quale, anziché avvalersi dell’azione petitoria di revindica, chieda la tutela in via interdettale, ha l’onere – incombente a qualunque possessore – di fornire la prova dello “ius possessionis”, ossia dell’esercizio di un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, per il che non è sufficiente l’esibizione del titolo d’acquisto idoneo soltanto a rafforzare detta prova “ad colorandam possessionem” e non già a dimostrare il diritto di esercitare siffatto potere. Pertanto l’effettivo esercizio del potere di fatto sulle cose, che costituisce materia di onere probatorio per chi propone l’azione di manutenzione recuperatoria, non può desumersi dalla sola produzione del titolo da cui deriva il diritto di proprietà o altro diritto reale, potendo tale produzione servire soltanto a deliberare la qualità del possesso già accertato. Del pari l’acquirente di un immobile – il quale può sempre agire in via petitoria a tutela del suo diritto che assume violato – qualora voglia avvalersi delle azioni possessorie, è tenuto, in caso di contestazione da parte del convenuto, a fornire la prova di un concreto esercizio del possesso, posto che la sola esibizione dei titolo di acquisto è idonea soltanto a rafforzare detta prova “ad colorandam possessionem” (in tali sensi, Cass. 23 marzo 2004 n. 5760).
Nulla di tutto ciò si è nella specie verificato, alla stregua degli accertamenti di fatto eseguiti nell’opportuna sede.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.