RIESAME REALE: INAMMISSIBILE SE VIA FAX, TELEGRAMMA E RACCOMANDATE.
Cassazione, sez. II, 15 marzo 2012, n. 10354
È inammissibile la richiesta di riesame proposta mediante telegramma dettato per telefono, trattandosi di una modalità che non garantisce certezza in ordine all’autenticità della provenienza e all’identità dell’impugnante, a differenza della spedizione del telegramma da un ufficio postale. La dettatura telefonica del testo del telegramma non trasforma, infatti, in atto scritto, corredato della sottoscrizione, l’originaria comunicazione orale e dunque non soddisfa i requisiti di forma previsti dalla legge. Sottoscrizione che deve essere autenticata ai sensi dell’art. 583 cod.proc.pen., comma 3, con onere dell’opponente di fare riportare per intero nel testo telegrafico la formula dell’autenticazione fata sull’originale.
In buona sostanza i rigidi requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, ex art. 591 e.p.p., comma 1, lettera c), per la proposizione e la spedizione dell’atto di impugnazione, tendono a garantire anche lo stesso imputato che solo con gli adempimenti previsti dalla normativa sarà certo che un atto così importante raggiunga appieno i suoi effetti.
Cassazione, sez. II, 15 marzo 2012, n. 10354
(Pres. Casucci – Rel. Iasillo)
Osserva
Con provvedimento del 17/08/2011, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Prato dispose il sequestro conservativo dei beni di B.B. , indagato per i reati previsti e puniti dagli articoli 416, 640, 468, 476,482,494 e 346 codice penale.
Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Prato – con ordinanza del 07/10/2011, accogliendo l’eccezione del difensore della P.C. – la dichiarò inammissibile perché l’impugnazione era stata proposta via telefax.
Ricorre per cassazione il difensore del B. deducendo la legittimità della presentazione dell’istanza di riesame via telefax, essendo il telefax un mezzo riconosciuto dalla legge ed equiparato alla raccomandata e al telegramma, con certezza della provenienza, del contenuto e autenticità della sottoscrizione. Segnala inoltre un contrasto giurisprudenziale sul punto che dovrebbe condurre alla rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte Suprema. Infine, rappresenta che in ogni caso l’impugnazione era stata inviata al Tribunale del riesame di Firenze anche con raccomandata.
Per tutti questi motivi il ricorrente chiede l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
In data 13.02.2012 perveniva a questa Suprema Corte una memoria dell’Avvocato OMISSIS con la quale si segnalava che il Tribunale di Prato, in data 28.11.2011, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale a giudicare il ricorrente per i reati di cui sopra, con conseguente invio degli atti al P.M. presso il Tribunale di Roma, giudice ritenuto territorialmente competente. Pertanto secondo il ricorrente cadeva il presupposto sul quale si fondava il sequestro preventivo, tra l’altro emesso da un giudice incompetente. L’Avvocato OMISSIS insisteva, quindi, per l’annullamento dell’impugnato provvedimento.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto dichiarato inammissibile.
Infatti, il Tribunale ha deciso la questione eccepita nel ricorso richiamando l’univoco principio giurisprudenziale secondo il quale la dichiarazione d’impugnazione è un atto a forma vincolata che deve essere assolto – a pena di inammissibilità – secondo quanto prescritto dagli articoli 582 e 583 del codice di procedura penale.
A proposito di quanto sopra, questa Suprema Corte ha più volte affermato che la dichiarazione d’impugnazione è un atto a forma vincolata, e pertanto le modalità di presentazione e ricezione della stessa costituiscono requisiti di forma che non ammettono equipollenti, dovendo assicurarsi la certezza circa la sottoscrizione di essa e dei motivi da parte dell’interessato, certezza che può provenire esclusivamente dall’attestazione del funzionario a tal fine designato dalla legge. Nella fattispecie affrontata dalla terza sezione di questa Corte, con la sentenza del 2007 n.33873, si è respinto il ricorso contro l’ordinanza con cui era stata dichiarata inammissibile l’impugnazione presentata via telefax, specificando anche che per i privati e i difensori non c’è alternativa all’adozione delle forme espressamente previste dalla normativa processuale, in quanto l’art. 150 c.p.p. (e 64 disp. att. c.p.p.), che contempla l’uso di forme particolari, quali il telefax, indica nei funzionari di cancelleria gli unici soggetti abilitati ad avvalersene. (Sez. 3, Sentenza n. 33873 del 14/06/2007 Cc. – dep. 05/09/2007 – Rv. 237589). Quanto sopra vale, ovviamente, per tutte le parti, quindi, anche per il Pubblico Ministero. Infatti, questa Suprema Corte ha stabilito che è inammissibile l’impugnazione del P.M. depositata nella segreteria del proprio ufficio e non nella cancelleria del giudice “a quo”, alla quale sia stata spedita, a termine spirato, a mezzo raccomandata, a nulla rilevando l’anticipazione di quest’ultima mediante telefax, modalità di trasmissione dell’impugnazione non consentita dalla legge (Sez. 5, Sentenza n. 21942 del 06/05/2010 Cc. – dep. 08/06/2010 – Rv. 247411).
Le precedenti osservazioni rendono chiaro il motivo per il quale la prevalente Giurisprudenza della Cassazione ritenga che solo il telegramma spedito dall’ufficio postale rientri nella previsione del primo comma dell’articolo 583 del codice di procedura penale. Infatti, questa Suprema Corte ha più volte affermato che è inammissibile la richiesta di riesame proposta mediante telegramma dettato per telefono, trattandosi di una modalità che non garantisce certezza in ordine all’autenticità della provenienza e all’identità dell’impugnante, a differenza della spedizione del telegramma da un ufficio postale (Sez. 2, Sentenza n. 10404 del 14/01/2011 Cc. – dep. 15/03/2011 – Rv. 249712; Sez. 1, Sentenza n. 44660 del 27/10/2009 Cc. – dep. 20/11/2009 – Rv. 245679). La dettatura telefonica del testo del telegramma non trasforma, infatti, in atto scritto, corredato della sottoscrizione, l’originaria comunicazione orale e dunque non soddisfa i requisiti di forma previsti dalla legge (Sez. 2, Sentenza n. 3627 del 19/01/2006 Cc. – dep. 30/01/2006 – Rv. 233372). Sottoscrizione che deve essere autenticata ai sensi dell’art. 583 cod.proc.pen., comma 3, con onere dell’opponente di fare riportare per intero nel testo telegrafico la formula dell’autenticazione fata sull’originale (Cass., Sez. III, 28 maggio 1999, Prevedoni ed altro; Cass., Sez. V, 8 febbraio 1995, Durastante).
In buona sostanza i rigidi requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, ex art. 591 e.p.p., comma 1, lettera c), per la proposizione e la spedizione dell’atto di impugnazione, tendono a garantire anche lo stesso imputato che solo con gli adempimenti previsti dalla normativa sarà certo che un atto così importante raggiunga appieno i suoi effetti.
Si rileva, inoltre, che non vi è alcun contrasto giurisprudenziale sul principio che la dichiarazione d’impugnazione è un atto a forma vincolata che deve essere assolto – a pena di inammissibilità – secondo quanto prescritto dagli articoli 582 e 583 del codice di procedura penale. Si sono avute delle decisioni della Cassazione diverse, solo sulla questione relativa al telegramma dettato per telefono e, in particolare, se questo possa rientrare o meno nella previsione dell’articolo 583 c.p.p.; questione dei tutto diversa di quella di cui ci si occupa. È chiaro, per tutto quanto sopra esposto, che non si ravvisa alcuna necessità di investire della questione le Sezioni Unite di questa Corte Suprema.
Il ricorrente sostiene, infine, che in ogni caso avrebbe inviato l’impugnazione oltre che via telefax, anche con raccomandata indirizzata al Tribunale del riesame di Firenze. Anche tale doglianza è manifestamente infondata. Infatti, il ricorrente, a sostegno di quanto sopra, produce solo la ricevuta di invio di una raccomandata al Tribunale di Firenze; ma tale ricevuta non contiene alcun elemento che possa consentire di ritenere che fosse inerente all’impugnazione relativa a B.B. . Inoltre, il ricorrente non fornisce la prova essenziale e cioè che tale raccomandata sia pervenuta al Tribunale di Firenze e che, di conseguenza, il cancelliere abbia potuto adempiere a quanto disposto dall’articolo 583 del codice di procedura penale; e ciò soprattutto in relazione alla circostanza che la cancelleria del Tribunale di Firenze non ha trasmesso al Tribunale di Prato – come è invece avvenuto per il telefax – la raccomandata di cui parla il ricorrente. Questa omissione è rilevantissima soprattutto perché in tema di misure cautelari reali, la richiesta di riesame deve essere presentata (ex art. 324, commi 1 e 5, cod. proc. pen.) nella cancelleria del Tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento; è, pertanto, inammissibile il gravame presentato nella cancelleria del Tribunale avente sede nel capoluogo del distretto (Sez. 4, Sentenza n. 33337 del 10/07/2002 Cc. – dep. 04/10/2002 – Rv. 222663).
È appena il caso di ricordare, in proposito all’omissione di cui sopra, che questa Suprema Corte ha più volte affermato che, in forza del principio dell’autosufficienza, il ricorso per Cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 45036 del 02/12/2010 Ud. – dep. 22/12/2010 – Rv. 249035).
A prescindere dalla tardività della memoria – presentata dal ricorrente il giorno prima dell’udienza – la richiesta in essa contenuta di riconoscere il venir meno del presupposto del sequestro conservativo a seguito della dichiarazione di incompetenza territoriale pronunciata dal Tribunale di Prato – in data 28.11.2011 – è manifestamente infondata. Infatti, il differimento dell’inefficacia di una misura cautelare, come regolato dall’art.27 cod. proc. pen. – norma che è espressione del principio di conservazione degli atti – riguarda sia le misure cautelari personali, sia quelle reali (Sez. 2, Sentenza n. 3713 del 27/06/2000 Cc. – dep. 04/07/2000 – Rv. 216530); e tra quest’ultime, naturalmente, anche il sequestro conservativo (Sez. 3, Sentenza n. 33298 del 20/05/2003 Cc. – dep. 06/08/2003 – Rv. 226131; Sez. 3, Ordinanza n. 35806 del 07/07/2010 Cc. – dep. 06/10/2010 – Rv. 248364). Inoltre, come ha più volte affermato questa Suprema Corte di Cassazione, la circostanza che la formulazione letterale dell’art. 27 cod. proc. pen., in tema di misure cautelari disposte da giudice incompetente, postuli l’identità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiara, contestualmente o successivamente, la propria incompetenza, non esclude che la disciplina della caducazione automatica della misura cautelare contenuta in detto articolo non si estenda anche alla ipotesi di diversità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiari l’incompetenza, in quanto il carattere provvisorio della efficacia della misura disposta da giudice incompetente è espressione di un potere eccezionale e, pertanto, non può essere limitato ai casi di identità tra giudice che ha disposto la misura e giudice che dichiara l’incompetenza. (Sez. U, Sentenza n. 1 del 24/01/1996 Cc. – dep. 12/04/1996 – Rv. 204165). Il principio di cui sopra, fissato dalle Sezioni Unite, è stato, poi, confermato da molte decisioni di questa Suprema Corte che hanno ribadito che la disciplina di cui all’art. 27 cod. proc. pen., secondo cui la misura cautelare disposta da giudice incompetente cessa di avere effetto se, entro venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non adotta un nuovo provvedimento, sostitutivo del primo, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui, disposta la misura nel corso delle indagini preliminari, l’incompetenza venga poi dichiarata dal giudice del dibattimento (Sez. 1, Sentenza n. 1266 del 26/02/1996 Cc. – dep. 23/04/1996 – Rv. 204596; Sez. 4, Sentenza n. 2881 del 22/11/1996 Cc. – dep. 07/01/1997 – Rv. 206617; Sez. 1, Sentenza n. 4128 del 12/06/1997 Cc. – dep. 08/09/1997 – Rv. 208428). Quindi il sequestro conservativo disposto dal G.I.P. di Prato conserva la sua efficacia, nonostante il Tribunale di Prato, in sede dibattimentale, abbia riconosciuto la sua incompetenza per territorio. D’altronde se l’interpretazione, di cui sopra, dell’articolo 27 del cod. proc. pen – condivisa dal Collegio -, non fosse ritenuta conforme alla lettera e allo spirito della norma, la soluzione del problema – in ossequio al principio di conservazione degli atti – non potrebbe che essere quella adottata dalla Suprema Corte in una sua decisione nella quale si è affermato che il sindacato sulla competenza del giudice che ha adottato la misura cautelare è ammissibile anche nel relativo procedimento incidentale di impugnazione. Per contro, esso non è ammissibile in sede di cognizione, stante l’autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello principale, sicché l’incompetenza dichiarata dal giudice del dibattimento non travolge la misura stessa (Fattispecie in tema di custodia cautelare, misura che l’imputato assumeva caducata per mancata rinnovazione a seguito della incompetenza territoriale dichiarata in dibattimento; Sez. 6, Sentenza n. 4185 del 17/11/1995 Cc. – dep. 08/02/1996 – Rv. 203876). Stando così le cose, è evidente l’inammissibilità del ricorso e la piena efficacia del sequestro conservativo oggetto dell’impugnazione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese dei procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla cassa delle ammende.