LA CONCESSIONE ABUSIVA DEL CREDITO: ANALISI DEI PROFILI DI RESPONSABILITÀ TRA “ABUSO” E PROTEZIONE
Flavia Zarba
“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”
Il 2043 c.c. , fulcro della responsabilità extracontrattuale, é lo snodo essenziale ai fini di una corretta analisi di un tema dai confini ondivaghi : “la concessione abusiva del credito”.
Tale tema, oggetto di svariati e recenti sviluppi giurisprudenziali, costituisce un intreccio normativo tra diritto civile e fallimentare al fine ultimo di approntare una tutela a tutto tondo per i terzi pregiudicati dal contratto (a monte) posto in essere tra banca ed impresa in stato di decozione in violazione delle regole di un “sano e corretto” operare in conformità alla disciplina bancaria.
Snodo problematico di cui ci si accinge a parlare non è la concessione del credito ma l’ abuso!
Urge, dunque, puntualizzare che il contesto nel quale viene in essere tale situazione abusiva è quello del libero mercato regolato dai dettami della trasparenza quale principio cardine degli operatori professionali la cui redazione violazione determina “un abuso”.
Facendo leva su tale, distorta, modalità di concessione del credito è chiaro che non possa accordarsi alcuna meritevolezza di tutela all’autonomia contrattuale del finanziatore e del finanziato, parti tra le quali è venuto in essere il contratto da cui ne è derivato un danno a terzi, ma , piuttosto, occorrerà tutelare la parte ingiustamente pregiudicata.
Più nello specifico si tratta di un c.d. “contratto a danno del terzo” posto che la distorsione non sta nel contratto di per sé venuto in essere quale libera esplicazione dell’autonomia contrattuale quanto nell’ immeritevolezza di tutela di tale accordo intervenuto tra le parti; accordo che , pienamente efficace, ha leso la sfera patrimoniale del terzo “estraneo” che aveva confidato sulla corretta applicazione delle regole che governano la gestione dell’attività creditizia secondo la “sana prudenza” del finanziatore (Banca) che ha concesso credito ad un’impresa “a rischio”.
Da quanto sin qui detto, se ne deduce che, mantenendo fede alle corrette regole finanziarie, il soggetto professionale, previo accertamento dello stato di crisi o di insolvenza dell’impresa, non avrebbe dovuto concedere del credito per far fronte al piano di risanamento o di ristrutturazione da essa presentato.
Il contratto venuto in essere sarà dunque, in contrasto con il c.d. “merito creditizio” con ciò andando a pregiudicare i terzi che avevano legittimamente confidato su una situazione di mercato “soltanto apparente” che li aveva indotti a promuovere a loro volta del credito all’impresa ed al medesimo tempo sottratti alla possibilità di proteggere il loro patrimonio dal “reale” rischio in cui versava l’impresa finanziata.
Si evince dunque l’esistenza di un doppio piano negoziale : il primo, sussistente tra soggetto finanziatore e finanziato, (in contrasto con il c.d. “merito creditizio” e per ciò solo immeritevole di tutela seppur efficace tra le parti) ed il secondo intercorrente tra il finanziatore ed terzi.
Alla stregua di tale struttura negoziale andranno distinti i profili di responsabilità configurabili in virtù del collegamento negoziale tra i due piani : guardando al primo rapporto , la c.d. “concessione abusiva di credito” non ha direttamente provocato alcun danno in capo al finanziato in quanto la peculiarità della figura in analisi sta proprio nella validità del contratto tra le parti !!
L’abuso di colloca infatti nella relazione ulteriore, alias nella relazione instauratasi tra il soggetto finanziatore ed i terzi indotti in errore attraverso l’uso distorto dell’autonomia contrattuale: ciò determinerebbe un “fatto illecito” come già anticipato in apertura, illecito conseguente ad un fatto “lecito ma imputabile”.
Ciò premesso è più semplice comprendere lo sforzo giurisprudenziale che da sempre ha tenuto distinte le due fattispecie a seconda del lati soggettivi presi in considerazione .
Da un lato quindi una responsabilità contrattuale configurabile in capo al soggetto finanziatore verso il soggetto finanziato per inesatto adempimento o mala fede del contraente finanziatore. A tal uopo urge la menzione del 1440 c.c. “dolo incidente” : se il consenso è stato determinato dai raggiri della controparte il contratto sarà ugualmente valido ma il contraente in mala fede risponderà dei dani provocati all’altro.
Diversamente, venendo all’analisi del secondo piano negoziale che costituisce la peculiarità della fattispecie in analisi, le posizioni soggettive coinvolte sono poste in essere in condizioni di asimmetria contrattuale; da un lato la professionalità del soggetto finanziatore e di contro l’incompetenza del soggetto terzo che opera nel mercato e viene ingiustamente leso.
Tale ingiustizia che caratterizza la responsabilità in cui versa l’ente creditizio nei confronti del terzo ha natura aquiliana in quanto il danno patito non è causato dall’esercizio della libertà contrattuale estrinsecatasi tra le parti (che costituisce di per sé un antefatto non punibile) ma dalla violazione di un legittimo affidamento maturato dal terzo circa la possibilità della solvenza dell’impresa finanziata.
È chiaro dunque che la concessione di credito è fatto “neutro” incapace di stabilire quale sarà il futuro dell’impresa, il profilo della responsabilità ed il conseguente risarcimento s’innesta nell’abuso di tale concessione data dalla previa violazione delle regole di prudenza circa il finanziamento a tale impresa che, a seguito di una “mala gestio” degli amministratori si è definitivamente resa incapace di adempiere alla obbligazioni contratte con i creditori.
Chiarita la composita struttura della fattispecie è chiaro che la condotta della Banca, se astrattamente potrebbe migliorare la posizione di crisi dell’impresa finanziata (mediante incentivi), sostanzialmente la peggiora perché viene ad esser correlata alla mala gestio degli amministratori.
La responsabilità che viene a configurarsi è dunque una responsabilità concorrente tra finanziatore e finanziato per un un fatto imputabile da un lato alla Banca (per negligenza, i.e. “omesso controllo”) e dall’altro agli stessi amministratori (gestione interna).
Quanto sin qui descritto è utile per comprendere la rilevanza che una siffatta operazione possa avere nei traffici giuridici incentivati dal legislatore che ha apprestato una disciplina finanziaria volta a risanare imprese in difficoltà mediante strumenti incentivanti (quali ad es. il meccanismo del concordato preventivo ovvero accordi di ristrutturazione).
Per chiarire i profili di imputazione di detta responsabilità da “concessione abusiva” , gli ermellini di Piazza Cavour , nel 2006, hanno sostenuto che il danno è configurabile in capo ai creditori e ai terzi e non già in capo all’impresa finanziata in quanto “lo strumento risarcitorio è funzionale alla reintegra del singolo patrimonio teso dall’abusiva concessione del credito e non della totale massa”.
Rileva dunque che, in virtù del generale principio di affidamento incolpevole , l’ordinamento giuridico tutela la posizione debole e rimarca l’incompatibilità logica tra una posizione di affidamento indotto dall’apparenza (da altri creata) e la sua colpa.
Quest’approdo giurisprudenziale , a lungo discusso in dottrina che ha a lungo proteso verso la tesi della responsabilità contrattuale è ormai consolidato in virtù della preminenza di un mercato conforme al merito creditizio, un mercato che deve stimolare le scelte professionali più idonee ed al tempo stesso salvaguardare la posizione patrimoniale dei soggetti più deboli in quanto estranei alle dinamiche professionali.
Ecco che, soltanto così concludendo, l’abuso può efficacemente esser colpito e può, conseguentemente, esser approntata adeguata ed effettiva tutela a soggetti ingiustamente lesi da una falsa apparenza nel mercato.