I MOTIVI DELLA COMPENSAZIONE SPESE DEVONO ESSERE INTELLIGIBILI
Cassazione, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6608
- Secondo la giurisprudenza di questa Corte il potere del giudice di compensare le spese non è arbitrario ma vincolato, nel senso che devono essere intelligibili le ragioni per le quali viene derogato il rispetto del principio della soccombenza, riconosciuto dall’art. 92 c.p.c. così da consentirne l’effettivo controllo di legalità (Cfr. S.U. Cass. n. 20599/2008).
- L’affermazione della “complessità della ricostruzione in fatto dei rapporti tra le parti” é sostanzialmente tautologica e priva di una concreta motivazione sia pure ricavabile dal contesto della sentenza
Cassazione, sez. II, 30 aprile 2012, n. 6608
(Pres. Schettino – Rel. Nuzzo)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 16.11.1990 N.R. e B.C. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Velletri, C.L. esponendo: erano rimasti creditori,nei confronti del convenuto, della somma di L. 57.000.000, quale saldo del prezzo della vendita di un locale e di una porzione immobiliare contigua, oggetto delle scritture private di compravendita del 13.3.81 e del 17.11.82;
dopo continui rinnovi dei titoli cambiari richiesti dal compratore,in occasione dei quali erano stati versati i soli interessi compensativi, l’acquirente aveva, da ultimo, rilasciato assegni di conto corrente, per l’importo di L. 57.000.000, rimasti insoluti nonostante gli inviti al pagamento. Chiedevano, quindi, la risoluzione dei contratti di compravendita e la restituzione degli immobili oltre al risarcimento del danno.
Costituitosi in giudizio il C. eccepiva di aver provveduto al pagamento del prezzo delle compravendita mediante vaglia cambiari ed il versamento di L. 800.000.000 in contanti; deduceva, inoltre, che successivamente alla stipula delle due compravendite,aveva ricevuto dagli attori prestiti di somme ad un interesse del 30% e che, per la restituzione delle somme mutuate, aveva rilasciato assegni in garanzia per L. 57.000.000, rimasti insoluti, avendo versato somme superiori al dovuto. Lamentava, inoltre, che gli attori non avevano provveduto a trasferirgli un terreno da loro acquistato. In via riconvenzionale chiedeva che gli fossero trasferiti gli immobili di cui alle scritture del 13.3.81 e del 17.11.82, oltre al risarcimento del danno e, quanto ai prestiti ricevuti, che gli fossero restituite le somme versate in eccedenza rispetto al dovuto.
A seguito del decesso del B. si costituivano gli eredi, B.D. , B.R. e N.R. , quest’ultima anche in proprio.
Espletata la prova testimoniale, con sentenza 1158/2003, il Tribunale rigettava la domanda di risoluzione dei contratti; qualificava la domanda riconvenzionale, relativa al trasferimento degli immobili, come domanda di accertamento della relativa proprietà, accogliendola; respingeva le domande riconvenzionali di trasferimento della striscia di terreno e di risarcimento danni in quanto non provate; dichiarava inammissibile la riconvenzionale relativa alla ricostruzione dei rapporti di dare-avere discendenti dal presunto rapporto di mutuo. Avverso tale sentenza N.R. , B.R. , B.D. proponevano appello cui resisteva il C. . Con sentenza depositata in data 11.3.2010 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava risolti, per inadempimento del C. , i contratti del 13.3.81 e del 17.11.82; compensando fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Osservava la Corte di merito che l’appellato non aveva provato di aver provveduto al pagamento del prezzo degli immobili e che la consegna dei titoli doveva considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, “pro solvendo”; il C. , qualora avesse provveduto effettivamente al loro pagamento, ben avrebbe potuto produrre gli effetti da lui rilasciati, una volta ritornati in suo possesso.
Tale decisione è impugnata dal C. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resistono con controricorso N.R. , B.D. e B.R. , proponendo,a loro volta,ricorso incidentale in ordine alla statuizione relativa alla compensazione delle spese di lite relative ai due gradi di giudizio.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:
1) violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1453, co. 1 e 1277, co. 1 c.c.;
la Corte territoriale, erroneamente interpretando l’art. 1277, co. 1 c.c., aveva ritenuto erronea la statuizione del giudice di primo grado in ordine all’effetto estintivo del debito tramite consegna di assegni, “in quanto in mancanza di un loro protesto incombeva al possessore dei titoli la prova del mancato pagamento”;
la sentenza impugnata non aveva tenuto conto, sotto il profilo oggettivo, che il pagamento a mezzo assegni, eseguito dal C. , costituiva esatto adempimento dell’obbligazione pecuniaria oggetto di causa; del pari erroneamente, in relazione all’art. 1453 co. 1 c.c., la Corte di merito aveva imputato al C. il mancato conseguimento del prezzo da parte dei creditori, trascurando di esaminare l’atteggiamento inerte degli stessi creditori che, per oltre nove anni, non si erano attivati per presentare all’incasso i titoli ricevuti; 2) omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio;
la Corte di merito non aveva fatto alcun riferimento alla circostanza decisiva relativa alla mancata presentazione all’incasso, da parte dei coniugi N. – B. , dei titoli (cambiali e assegni) loro consegnati dal C. ; illogicamente ed immotivatamente i giudici di appello,con riguardo alla quietanza 10.12.1981, redatta in calce alla vendita del 13.3.1981 (“Riceviamo a saldo di ogni nostro avere L. 800.000.000 – B.C. N.M. ” (doc. 12 fase, di primo grado), avevano affermato che “non sembra plausibile che anche i restanti effetti per L. 16.700.000, di cui vi è menzione in calce alla scrittura, fossero già stati interamente pagati al momento della dichiarazione di saldo del 10.12.1981; la Corte territoriale “avrebbe potuto attribuire un diverso valore dalle dichiarazioni di quietanza rilasciate dai creditori al C. e avrebbe potuto anche ritenere scollegata, rispetto alla vicenda delle due vendite immobiliari, l’emissione da parte di questi degli assegni per 57.00.000”.
Il ricorso principale è infondato.
Sotto il profilo del vizio di violazione di legge, in realtà il ricorrente, anche con il primo motivo, lamenta l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, nel senso che la Corte di merito, pur avendo accertato che il C. aveva consegnato gli assegni ai venditori, non aveva esaminato le ragioni per le quali detti titoli erano rimasti insoluti, senza alcuna “utile considerazione riguardo alla imputabilità al C. del mancato conseguimento del prezzo da parte dei creditori” e senza tener conto che gli stessi, per oltre nove anni, non si erano attivati per presentare all’incasso i titoli ricevuti. Entrambe le doglianze sono infondate e generiche, posto che non attingono la motivazione del giudice di appello in ordine alla circostanza decisiva, indicata a pag. 5 della sentenza impugnata, laddove è stato evidenziato che “il C. , pur avendo sostenuto di aver adempiuto alla sua prestazione, non ha mai indicato le modalità con cui ha provveduto al pagamento del prezzo”, avendo genericamente riferito di aver adempiuto a detto pagamento mediante assegni ed effetti cambiari.
Correttamente i giudici di appello hanno, inoltre, rilevato: che il C. , quale prova dell’avvenuto pagamento degli effetti, ben avrebbe potuto produrli ove avesse effettivamente provveduto al pagamento e avesse ottenuto, di conseguenza, la restituzione dei titoli; che non vi erano elementi per ritenere che la consegna dei titoli fosse da considerarsi, “in assenza di una diversa esplicita volontà delle parti, effettuata pro soluto, in contrasto con quanto generalmente accade”. La Corte territoriale ha poi disatteso, sulla base delle risultanze probatorie, l’assunto difensivo secondo cui gli assegni in atti sarebbero stati rilasciati dal C. a garanzia di un mutuo concesso all’acquirente anziché alle vendite intercorse fra le parti.
Al riguardo la sentenza impugnata ha dato conto della genericità delle dichiarazioni dei testi circa l’entità del prestito, le circostanze di tempo, le modalità di restituzione, precisando, inoltre, che la lettera 21.7.90 dell’avv. Guidi, precedente difensore degli appellanti, con cui il legale chiedeva il pagamento del mutuo loro concesso, non era stata mai acquisita agli atti del processo;
che il C. , con atto 7.11.90, aveva diffidato i venditori “a porre in esecuzione gli assegni trovandosi in difficoltà” e che i titoli stessi erano ancora in mano dei venditori (pag. 7 sent. imp.).
La congruità e logicità di tali motivazioni comporta il rigetto del il ricorso principale.
Con il ricorso incidentale i controricorrenti lamentano il difetto di giusti motivi in ordine alla statuizione sulla compensazione delle spese del giudizio di entrambi i gradi del giudizio, motivata apoditticamente sulla base della “complessità della ricostruzione in fatto dei rapporti tra le parti”.
La doglianza è fondata in quanto contrastante con il tenore della sentenza di appello ove si da atto della totale infondatezza e della carenza di prova dell’assunto del C. .
Secondo la giurisprudenza di questa Corte il potere del giudice di compensare le spese non è arbitrario ma vincolato, nel senso che devono essere intelligibili le ragioni per le quali viene derogato il rispetto del principio della soccombenza, riconosciuto dall’art. 92 c.p.c. così da consentirne l’effettivo controllo di legalità (Cfr. S.U. Cass. n. 20599/2008).
L’affermazione della “complessità della ricostruzione in fatto dei rapporti tra le parti” é sostanzialmente tautologica e priva di una concreta motivazione sia pure ricavabile dal contesto della sentenza. Consegue che, limitatamente a detta statuizione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale;
accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.