IL GUP NON PUÒ PRONUNCIARE SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE SE IL DIBATTIMENTO PUÒ CONDURRE ALL’ACQUISIZIONE DI ALTRI ELEMENTI DI PROVA
Cassazione, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 17797
La regola di giudizio che presiede all’udienza preliminare, anche dopo le ripetute, note modifiche normative che hanno profondamente mutato la configurazione dell’istituto, è pur sempre di tipo processuale. Al giudice è richiesta una prognosi sulla utilità del vaglio dibattimentale; sulla prospettiva, cioè, che la sede dibattimentale, con le sue articolate, dialettiche potenzialità euristiche, possa condurre all’acquisizione di elementi di prova concludenti nell’ottica accusatoria. Per conferire profondità adeguata a tale cruciale apprezzamento, il legislatore ha anche notevolmente ampliato il campo degli strumenti a disposizione del giudice, consentendogli di sollecitare o compiere approfondimenti investigativi o probatori (artt. 421 bis e 422 c.p.p.). L’attribuzione di tale esteso potere officioso ha mutato il volto dell’udienza preliminare; ma non ha fatto venire meno il carattere processuale della pronunzia e la relativa regola di giudizio che, va ribadito, riguarda l’utilità del dibattimento considerato come sede per una completa, dettagliata, dialettica acquisizione del materiale probatorio e, alla luce di esso, per una definitiva valutazione del caso anche alla stregua delle eventuali informazioni scientifiche da acquisire e rapportare proprio alle emergenze in fatto conseguite nella stessa sede dibattimentale.
Cassazione, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 17797
(Pres. Marzano – Rel. Blaiotta)
Motivi della decisione
1. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo.
All’imputato, medico in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale di Varese, è stato mosso l’addebito di aver sottovalutato il rischio dell’evento emorragico intracranico conseguente alla caduta accidentale di C.A., paziente settantenne affetta da leucemia, sottoposta a trattamento chemioterapico ed anticoagulante. Gli si imputa di aver omesso di richiedere una TAC cranica e di non aver trattenuto la paziente per il tempo sufficiente per verificare le possibili complicanze emorragiche conseguenti alle ferite riportate a seguito di caduta accidentale. A seguito di tali errori, insorgeva a distanza di alcune ore emorragia endocranica che determinava la morte.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica. Si premette che la sentenza di non luogo a procedere può essere adottata solo quando non vi sia possibilità, nella sede dibattimentale, di esperire indagini volte a superare le incertezze emerse nell’udienza preliminare.
Le indagini esperite nel corso dell’udienza preliminare hanno mostrato che effettivamente, come sostenuto dalla difesa, la paziente ed i suoi familiari non avevano comunicato l’assunzione di farmaci anticoagulanti che costituiscono possibili cause di incremento del rischio emorragico. I consulenti del P.M. hanno tuttavia ritenuto che permanessero profili di colpa in relazione al brevissimo periodo di osservazione in pronto soccorso, durato circa due ore. Il giudice ha superato tale aspetto della vicenda ravvisando, che nel caso di specie, fosse appropriato un periodo di osservazione di sei ore, che sarebbe stato comunque inutile al fine di evitare l’evento, posto che la paziente, a distanza di oltre 12 ore dall’accesso al pronto soccorso non aveva manifestato sintomo alcuno della gravissima patologia in atto. Lo stesso giudice ha ritenuto appropriato un periodo di osservazione di sei ore suggerito dai consulenti della difesa sulla base del presupposto che non si fosse in presenza di un trauma cranico commotivo come sostenuto dall’accusa, bensì di un trauma cranico minore deducibile dalla modesta sintomatologia presentata dalla paziente durante l’accesso al presidio ospedaliero nelle ore successive. Tuttavia, la natura della trauma non è stato per nulla definitivamente appurata nella sede preliminare; e tale decisivo aspetto della vicenda avrebbe potuto e dovuto formare oggetto di approfondimento dibattimentale. Inoltre il contrasto tra i consulenti delle parti in ordine alla diagnosi del trauma dimostrava comunque la necessità del vaglio dibattimentale.
3. Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata ricostruisce dettagliatamente la vicenda in esame: la caduta accidentale della donna con lesioni al capo; il trasferimento in pronto soccorso; la medicazione; l’osservazione per circa due ore nel nosocomio; il rientro nell’abitazione; l’insorgenza a distanza di molte ore di drammatiche complicanze emorragiche; il ritorno in ospedale in gravi condizioni; l’esito letale in breve tempo intervenuto.
La pronunzia chiarisce che le indagini esperite hanno consentito di escludere il profilo di colpa inerente alla mancata considerazione del rischio connesso all’assunzione di farmaci anticoagulanti, poiché è emerso con certezza che tale circostanza non era stata riferita all’imputato. La conclusione è che l’unico addebito ipotizzabile è quello di insufficiente osservazione della paziente in occasione del primo ricovero in pronto soccorso. La durata di una corretta osservazione, si aggiunge, è connessa alla natura della patologia. Al riguardo si è riscontrato contrasto tra le valutazioni dei consulenti delle parti.
Gli esperti dell’accusa pubblica hanno ravvisato che l’evento letale è intervenuto per emorragia subdurale come postumo di trauma cranico commotivo risalente al giorno precedente. Tale situazione avrebbe richiesto l’osservazione protratta ed un’indagine strumentale mediante TAC; cioè monitoraggio clinico e strumentale al contempo. I consulenti, non hanno tuttavia specificato quale fosse il corretto periodo di osservazione.
Tale valutazione è stata confutata dal consulente della difesa che ha ritenuto che si fosse in presenza di trauma lieve, come dimostrato dal fatto che la donna, nel corso dell’esame al quale venne sottoposta dall’imputato, fu trovata vigile, lucida ed indenne dal punto di vista neurologico. La lievità del trauma non implicava rischio e indicava la necessità di osservazione per sole sei ore.
È emerso dunque contrasto circa la reale gravità del trauma cranico. Quanto sostenuto dal consulente della difesa viene ritenuto convincente dal giudice, essendo basato su oggettivi riferimenti fattuali inerenti alla documentazione clinica, nonché su precise linee guida e su parametri internazionali.
In tale situazione, conclusivamente, si è in presenza di contrasto scientifico in ordine alla reale condizione della paziente al momento dell’arrivo in pronto soccorso. Tale contrasto si traduce in incertezza sull’articolazione del controfattuale della causalità condizionalistica. Infatti, se l’imputato avesse trattenuto la paziente per sei o anche dodici ore, ciò non sarebbe valso con certezza ad evitare l’evento, posto che la paziente, ancora tredici ore dopo essere stata dimessa stava bene, era lucida, non presentava alcun sintomo, aveva cenato regolarmente. Quindi una lunga osservazione in Pronto soccorso, e quindi la condotta sanitaria attesa, non avrebbe impedito che la vittima venisse dimessa prima dello scatenarsi della complicanza emorragica letale. Da tale incertezza la pronunzia di proscioglimento perché il fatto non sussiste.
Tale argomentazione, pur essendo riccamente e coerentemente argomentata per ciò che attiene alla valutazione del caso e delle emergenze di carattere scientifico, si espone alle indicate censure che, nel loro nucleo essenziale, concernono l’inesatta individuazione del ruolo e delle finalità dell’udienza preliminare, nonché della regola di giudizio che presiede all’adozione della sentenza di non luogo a procedere.
Infatti la regola di giudizio che presiede all’udienza preliminare, anche dopo le ripetute, note modifiche normative che hanno profondamente mutato la configurazione dell’istituto, è pur sempre di tipo processuale. Al giudice è richiesta una prognosi sulla utilità del vaglio dibattimentale; sulla prospettiva, cioè, che la sede dibattimentale, con le sue articolate, dialettiche potenzialità euristiche, possa condurre all’acquisizione di elementi di prova concludenti nell’ottica accusatoria. Per conferire profondità adeguata a tale cruciale apprezzamento, il legislatore ha anche notevolmente ampliato il campo degli strumenti a disposizione del giudice, consentendogli di sollecitare o compiere approfondimenti investigativi o probatori (artt. 421 bis e 422 c.p.p.). L’attribuzione di tale esteso potere officioso ha mutato il volto dell’udienza preliminare; ma non ha fatto venire meno il carattere processuale della pronunzia e la relativa regola di giudizio che, va ribadito, riguarda l’utilità del dibattimento considerato come sede per una completa, dettagliata, dialettica acquisizione del materiale probatorio e, alla luce di esso, per una definitiva valutazione del caso anche alla stregua delle eventuali informazioni scientifiche da acquisire e rapportare proprio alle emergenze in fatto conseguite nella stessa sede dibattimentale.
La pronunzia impugnata non si è attenuta a tale regola di giudizio. Essa ha impropriamente anticipato la definizione del merito; trascurando di valutare le potenzialità del dibattimento sia per ciò che attiene all’esatta, compiuta individuazione della sintomatologia manifestata dalla donna ed alla sua collocazione in una sindrome commotiva ovvero lieve; sia per quanto riguarda l’acquisizione di informazioni scientifiche (focalizzate sul fatto come definitivamente accertato) e conseguite eventualmente con la modalità della perizia quale strumento per l’esercizio della dialettica processuale nel territorio della scienza.
La sentenza va conseguentemente annullata con rinvio. Il giudice dovrà attenersi al principio di diritto sopra espresso; e quindi dovrà valutare l’utilità del dibattimento quale sede per la risoluzione dei dubbi espressi in ordine all’articolazione del controfattuale condizionalistico.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Varese.