TABELLE DI LIQUIDAZIONE: IL GIUDICE NON PUÒ ANDARE AL DI SOTTO DEL MINIMO SENZA ARGOMENTARE LE MOTIVAZIONI
Cassazione, sez. III, 29 maggio 2012, n. 8557
Al giudice di merito è consentito di assumere come parametri di riferimento le tabelle utilizzate nei vari Tribunali della Repubblica (sentenza 17 dicembre 2009, n. 26505); tuttavia, poiché si tratta del ricorso ad un criterio che è comunque equitativo e che trova il proprio fondamento normativo negli artt. 1226 e 2056 cod. civ., il giudice è tenuto a dare conto del criterio utilizzato (sentenza 8 novembre 2007, n. 23304), esplicitando in ogni caso quale sia il sistema seguito e provvedendo poi alla necessaria personalizzazione in riferimento al caso concreto (sentenza 9 maggio 2011, n. 10107).
Dette tabelle non costituiscono norme di diritto, né rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza di cui all’art. 115 c.p.c., per cui non fanno parte del normale patrimonio di conoscenza del giudice; il che, però, non esime quest’ultimo, una volta che abbia fatto esplicito richiamo a determinate tabelle (per esempio, quelle applicate nel proprio distretto), dalla necessità di rispettarle e di dare conto esattamente delle ragioni per le quali abbia eventualmente ritenuto di discostarsene.
Cassazione, sez. III, 29 maggio 2012, n. 8557
(Pres. Segreto – Rel. Cirillo)
Svolgimento del processo
In data (omissis) moriva A..S. , a seguito delle lesioni personali riportate nel sinistro stradale verificatosi il precedente (omissis) .
F..S. , nella qualità di erede del defunto padre, agiva in giudizio, davanti al Tribunale di Prato, nei confronti di R.M. , responsabile del sinistro, e della compagnia assicuratrice del medesimo, divenuta nel corso del giudizio la R.A.S. s.p.a..
Con sentenza del 16 luglio 2004 il predetto Tribunale, avendo accertato che la società assicuratrice aveva già corrisposto per intero il massimale di polizza, poneva a carico del R. le ulteriori somme a titolo di danno biologico e morale sofferti dal defunto.
La sentenza veniva impugnata dal R. – il quale rilevava che del risarcimento oltre il massimale avrebbe dovuto rispondere l’assicuratore sotto il profilo della mala gestio – e dal S. in ordine alla mancata liquidazione di somme a titolo di risarcimento del danno iure proprio e per erroneo conteggio degli interessi legali.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 17 luglio 2009, così provvedeva: 1) in parziale accoglimento dell’appello di R.M. nei confronti della società assicuratrice, condannava quest’ultima al pagamento di interessi legali e rivalutazione monetaria sul residuo massimale, con compensazione delle relative spese; 2) in parziale accoglimento dell’appello proposto dal S. nei confronti del R. , disponeva una diversa decorrenza nel pagamento degli interessi moratori; 3) condannava altresì il R. al risarcimento, in favore del S. , della somma di 50.000 Euro (attuali e comprensivi di interessi) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione del rapporto parentale determinatasi con la morte del genitore S.A. .
In relazione a quest’ultimo punto – unico rilevante nella sede odierna – osservava la Corte territoriale che S.F. aveva diritto al risarcimento dei danni derivanti iure proprio dalla morte del proprio genitore e che, in mancanza di utile prova relativa alla determinazione del danno non patrimoniale sofferto, tale somma poteva essere liquidata nella misura di cui sopra, “in base ai criteri medi di liquidazione adottati in sede distrettuale”, tenendo conto dell’età del defunto e del figlio (rispettivamente, 71 e 44 anni), della loro non convivenza e di una “media intensità” del vincolo spirituale esistente tra i medesimi.
Propone ricorso avverso la sentenza di secondo grado S.F. , con atto affidato ad un solo articolato motivo.
R.M. e la R.A.S. s.p.a. non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5) c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello avrebbe incongruamente applicato le tabelle di liquidazione del danno, nonché violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c., degli artt. 1226, 2043, 2054, 2056 e 2059 del codice civile.
Osserva il ricorrente che la liquidazione compiuta dal giudice di secondo grado, a titolo di ristoro del danno morale conseguente alla morte del proprio padre A..S. , della somma complessiva di 50.000 Euro comprensiva di interessi è avvenuta, secondo un criterio equitativo, in base al sistema di liquidazione adottato nella sede distrettuale di Firenze. La citata somma, peraltro, sarebbe ampiamente inferiore a quella che viene normalmente liquidata per la morte di un congiunto, anche adottando un criterio “medio”.
Il S. allega al ricorso le tabelle di liquidazione del danno alla persona in uso presso il Tribunale di Firenze, aggiornate al gennaio 2007, sostenendo che per la morte di un genitore non convivente era prevista la liquidazione a ciascuno dei figli di una somma che va da 60.000 a 200.000 Euro; ne consegue che quella di 50.000 Euro è inferiore ai minimi e “fa presumere addirittura che nel caso di specie vi sia stato un errore del giudicante”, consistente nell’avere applicato tabelle che erano in uso in anni precedenti (la tabella del 2003, infatti, stabiliva, per la medesima voce risarcitoria, una oscillazione tra 41.350 e 77.500 Euro).
2. Il ricorso è fondato.
Questa Corte è stata chiamata in numerose occasioni a verificare la corretta applicazione, da parte dei giudici di merito, dei criteri di valutazione equitativa del danno, sia biologico che morale. Al riguardo, si è posto, fra l’altro, il problema del ricorso alle c.d. tabelle, ossia a meccanismi di liquidazione predeterminati nelle diverse sedi giudiziarie attraverso il riferimento a varie voci, contenenti ciascuna un minimo ed un massimo nel cui ambito è consentito al giudice procedere alla liquidazione del singolo specifico episodio dannoso.
La giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che al giudice di merito è consentito di assumere come parametri di riferimento le tabelle utilizzate nei vari Tribunali della Repubblica (sentenza 17 dicembre 2009, n. 26505); tuttavia, poiché si tratta del ricorso ad un criterio che è comunque equitativo e che trova il proprio fondamento normativo negli artt. 1226 e 2056 cod. civ., il giudice è tenuto a dare conto del criterio utilizzato (sentenza 8 novembre 2007, n. 23304), esplicitando in ogni caso quale sia il sistema seguito e provvedendo poi alla necessaria personalizzazione in riferimento al caso concreto (sentenza 9 maggio 2011, n. 10107).
È stato pure affermato più volte (v., fra le altre, le sentenze 6 novembre 2000, n. 14440, 23 maggio 2003, n. 8169, 26 ottobre 2004, n. 20742, 16 dicembre 2005, n. 27723, e 21 ottobre 2009, n. 22287) che dette tabelle non costituiscono norme di diritto, né rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza di cui all’art. 115 c.p.c., per cui non fanno parte del normale patrimonio di conoscenza del giudice; il che, però, non esime quest’ultimo, una volta che abbia fatto esplicito richiamo a determinate tabelle (per esempio, quelle applicate nel proprio distretto), dalla necessità di rispettarle e di dare conto esattamente delle ragioni per le quali abbia eventualmente ritenuto di discostarsene.
La produzione delle due tabelle nell’odierna sede di legittimità non comporta violazione dell’art. 372 cod. proc. civ., poiché esse non costituiscono documenti in senso proprio, non integrano nuovi elementi di fatto e devono comunque essere acquisite in giudizio ove il giudice di merito abbia fatto a dette tabelle specifico richiamo, avendo esse natura di allegazioni difensive in certa misura paragonabili a riferimenti giurisprudenziali (in tal senso, v. Cass., 8 maggio 2001, n. 6396).
Sulla base di tali affermazioni – alle quali questa pronuncia intende dare continuità – la motivazione fornita dalla Corte d’appello di Firenze non appare adeguata; il giudice di merito, infatti, dopo aver affermato di riconoscere al S. il diritto al risarcimento del danno iure proprio in relazione alla morte del genitore e dopo aver fatto esplicito richiamo “ai criteri medi di liquidazione adottati in sede distrettuale”, ha liquidato la somma globale di 50.000 Euro, comprensiva di interessi. Tale somma è, sulla base delle tabelle distrettuali di Firenze vigenti a partire dal 2007 – e, quindi, applicabili ratione temporis – inferiore a quella minima, la quale prevede, per il risarcimento del danno da morte di un genitore non convivente, una somma da 60.000 a 200.000 Euro.
Non rileva in questa sede se la Corte fiorentina abbia utilizzato, come adombra il ricorrente, una tabella precedente (del 2003) ormai superata o se abbia seguito altri e diversi criteri di liquidazione.
È decisivo, invece, integrando gli estremi del vizio di contraddittoria motivazione, che il giudice abbia espressamente richiamato le tabelle distrettuali senza farne, in concreto, corretta applicazione e senza indicare le ragioni per le quali si sia da tali tabelle motivatamente discostato.
Né, d’altra parte, si pone alcun problema di eventuale applicabilità di diverse tabelle quali, ad esempio, quelle del Tribunale di Milano, cui questa Corte ha riconosciuto valenza generale di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno nella recente pronuncia 7 giugno 2011, n. 12408. A queste tabelle, infatti, il ricorrente ha fatto solo un generico richiamo nelle memorie presentate ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., sicché l’argomento non trova ingresso nel presente giudizio.
3. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza cassata. Ai fini della decisione, la causa va rinviata ad altra Sezione della medesima Corte d’appello di Firenze, che provvederà alla nuova determinazione del danno alla stregua dei criteri indicati in precedenza, oltre che alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.