CONDANNATO IL VICINO CHE PONE IN ESSERE COMPORTAMENTI FINALIZZATI ALLA DISCRIMINAZIONE
Cassazione, sez. IV, 16 maggio 2012, n. 18804
Fabrizia Gaia Postiglione
La Corte di Cassazione con sentenza n.18804/2012, ha stabilito che è reato offendere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la confessione religiosa di alcuni soggetti che si riunivano abitualmente presso un’abitazione anche se questa non era adibita a edificio di culto.
Nel caso di specie il vicino alzava la propria radio ad altissimo volume durante le funzioni religiose tenute in un appartamento confinante e apostrofava, le persone raccolte in preghiera, ad alta voce con bestemmie, imprecazioni e minacce quali “vi ammazzo tutti”.
Addirittura contro i Ministri del culto venivano lanciate delle pietre e si installava un cartellone che enunciava la irregolarità urbanistico-edilizia del predetto edificio che, per l’occasione diveniva luogo di culto.
I Giudici di Piazza Cavour hanno aderito all’orientamento della Corte d’Appello ravvisando la coincidenza tra gli eventi e gli incontri dei fedeli e hanno stabilito che “le condotte offensive sono coincise con lo svolgimento delle funzioni religiose e con le condotte dei credenti, intese a realizzare la frequentazione dell’edificio di culto”
Cassazione, sez. IV, 16 maggio 2012, n. 18804
(Pres. Brusco – Rel. Zecca)
Ritenuto in fatto
La Corte di Appello di Roma con sua sentenza resa in esito all’udienza dei 6 luglio 2010, pronunziando in sede di rinvio (Cass. Pen. Sez. III 5/6/2009) in dichiarata riforma della sentenza, annullata dalla Corte di Cassazione del Tribunale Tivoli che il 23/10/2008 aveva assolto lo S. dal reato di cui agli artt. 81, 110, 406 in relazione agli artt. 403, 404 e 405 cp., perché aveva ritenuto che il fatto addebitato non fosse più previsto dalla legge come reato, ha dichiarato lo S. colpevole del reato a lui addebitato e attribuite le attenuanti generiche prevalenti lo ha condannato alla pena di mesi due di reclusione. La stessa sentenza ha assolto la moglie – oggi non ricorrente- dello Sciatore per non aver commesso il fatto. Il fatto addebitato all’odierno ricorrente è quello di aver offeso, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la confessione religiosa dei Testimoni di Geova, nonché le funzioni e i ministri di culto della stessa confessione, alzando la propria radio ad altissimo volume durante le funzioni religiose tenute in un appartamento vicino, e apostrofando i fedeli ad alta voce con bestemmie, imprecazioni e minacce quali “vi ammazzo tutti”, nonchè, lanciando pietre contro i ministri del culto C., M., V. e D., nonché installando un cartellone asserente la irregolarità urbanistico-edilizia dell’edificio adibito a luogo di culto dei testimoni di Geova in Villanova di Guidonia dal giugno al novembre 2002. L’imputato S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza appena ora menzionata e ha denunziato: 1) omessa motivazione ex art. 606 lett e) cpp.; per non avere sviluppato i passaggi argomentativi idonei a evidenziare il rapporto tra condotte addebitate e previsioni di legge ritenute applicabili 2) erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett b) in relazione agli artt. 403, 404 e 405 cp. Per mancata individuazione del reato più grave ai fini dell’applicazione dell’aumento per la continuazione, mancata motivazione in ordine alla dosimetria della pena ex art. 133 cp, omessa indicazione dell’aumento applicato per la continuazione, mancata motivazione circa l’accertamento di una volontà colpevole a fronte di cause delle condotte radicate in rapporti di vicinato e non di dissenso religioso 3) Mancata assunzione di prova decisiva ai sensi dell’art. 606 lett d) cpp in relazione all’art. 190 cpp per avere escluso l’esame di una teste già ammessa revocando la precedente ordinanza ammissiva. La teste avrebbe dovuto deporre sulle condizioni di salute dello S. tali da rendere inevitabile l’assoluzione dell’imputato per le stesse ragioni che avevano portato alla assoluzione della moglie di costui ritenuta dalla stessa sentenza impugnata dallo S., impossibilitata, per il suo essere costretta in sedia a rotelle, a commettere i reati addebitati. All’udienza pubblica del 6 ottobre 2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Considerato in diritto
Il giudice di rinvio si è attenuto al principio enunziato dalla sentenza di annullamento la quale ha stabilito che le legge 24/2/2006 n. 85 non ha abrogato precedenti previsioni di illecito penale ma ha parificato le offese in danno alla religione cattolica a quelle recate in danno di altri culti. Di seguito la sentenza del giudice di rinvio ha accertato la responsabilità dell’imputato per tutti i fatti addebitati, sottolineando la coincidenza delle condotte offensive o lesive con il tempo dello svolgimento delle funzioni religiose e con le condotte dei credenti intese a realizzare la frequentazione dell’edificio di culto. La volontà di ledere le ragioni. La assoluzione della moglie dell’imputato è stata pronunziata per mancata acquisizione a carico di costei di sufficienti elementi probatori. Il motivo di censura fondato su una pretesa di parificazione delle posizioni dei due originari imputati che determinerebbe anche una violazione del diritto di difesa per mancata assunzione di prova decisiva, ha ad oggetto la sola comparazione dello stato di salute degli imputati laddove l’assoluzione della coimputata R., al di là dell’argomento relativo allo stato di salute, è motivata dalla decisiva considerazione per la quale i testimoni escussi non avevano rivolto specifiche accuse nei confronti della R. diversamente da quanto avevano fatto nei confronti dello S. Le modalità di attuazione delle condotte dello S., le coincidenze sottolineate, in una alla reiterazione delle condotte verso qualificati obbiettivi e la conseguente affermazione della particolare intensità del dolo dell’imputato costituiscono adeguata giustificazione della statuizione di condanna. I fatti si sono verificati dal 1/6/2002 al 24/11/2002 con decreto penale del 23/3/21004, sentenza di primo grado del 23/10/2008, sentenza di appello del 6/7/2010 e poiché il termine di prescrizione si è consumato al 24/5/2010 in data precedente la stessa sentenza di appello, ogni addebito è estinto per intervenuta prescrizione. Per quanto sopra è stato scritto non emerge dagli atti la evidenza che il fatto non sussista o che l’imputato non lo abbia commesso o che il fatto non costituisca reato o non sia previsto dalla legge come reato nella prospettiva di cui all’art. 129 co. 2 cpp. La sentenza impugnata deve in conclusione essere annullata senza rinvio perché è estinto per intervenuta prescrizione il reato addebitato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.