OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO. TERMINI DI COMPARIZIONE NON PIÙ DIMEZZATI: LA MODIFICA NORMATIVA GARANTISCE UN ESAME EQUO DELLA CAUSA
Corte Costituzionale, 6 marzo 2013, n. 35
La legge n. 218/2011 ha eliminato le parole «ma i termini di comparizione sono ridotti a metà» dall’art. 645 c.p.c., norma che disciplina l’opposizione a decreto ingiuntivo. Un Tribunale, prima della modifica, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale perché riteneva che il termine fosse eccessivamente breve rispetto a quello di controparte, ponendo irrazionalmente i soggetti del processo in una posizione di disuguaglianza processuale, senza alcun vantaggio di celerità. La Consulta restituisce gli atti per jus superveniens.
Corte Costituzionale, 6 marzo 2013, n. 35
(Pres. Gallo – Red. Criscuolo)
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 165, primo comma, 645, secondo comma, e 647 del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra l’Asl Napoli 1 e l’Istituto Diagnostico V.P. s.r.l., con ordinanza del 4 gennaio 2011, iscritta al n. 169 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Napoli, con ordinanza del 21 dicembre 2010, depositata il 4 gennaio 2011 (r.o. n. 169 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 165, 645, secondo comma, e 647 del codice di procedura civile «nella parte in cui fanno gravare sull’opponente a decreto ingiuntivo l’onere di costituirsi in un termine eccessivamente breve, che sarebbe irragionevole dal momento che all’osservanza di tale onere non consegue la celere definizione della controversia, tenuto conto dei maggiori termini minimi di comparizione introdotti con l’art. 21 lett. g) l. 28 dicembre 2005, n. 263, nonché del fatto che solo nel caso di assegnazione del termine minimo a comparire sussiste la necessità di coordinare i tempi di costituzione dell’opponente e dell’opposto, e che i soggetti del processo (opponente e opposto) sarebbero, irrazionalmente, posti in una posizione di disuguaglianza processuale»;
che – come il rimettente riferisce – 1) con atto di citazione notificato in data 20 gennaio 2006 la Asl Napoli 1 aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 8306/05 emesso in favore dell’Istituto Diagnostico V.P. s.r.l.; 2) che l’opponente si era costituita in giudizio il 27 gennaio 2006 (entro sette giorni dalla notifica), indicando quale data dell’udienza il 4 luglio 2006; 3) che, all’udienza del 7 dicembre 2010, l’opposta aveva eccepito l’improcedibilità dell’opposizione alla luce della sentenza della Corte di cassazione, resa a sezioni unite, in data 9 settembre 2010, n. 19246;
che, nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo richiama la sentenza ora citata, nella quale si ribadisce il legame tra i termini di comparizione e i termini di costituzione, sancito dall’art. 165, primo comma, cod. proc. civ., si afferma che nell’opposizione a decreto ingiuntivo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma si precisa pure che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 cod. proc. civ. prevede che, in ogni caso di opposizione, i termini a comparire siano ridotti a metà;
che, pertanto, il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 165, 645, secondo comma, e 647 cod. proc. civ., come interpretati dal «diritto vivente», costituito dalla menzionata sentenza delle sezioni unite, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., sotto il profilo del diritto di difesa, del principio del contraddittorio, del principio di uguaglianza e del giusto processo, correlati alla riduzione a metà del termine di costituzione dell’opponente e alla improcedibilità in caso di omessa o tardiva costituzione di quest’ultimo;
che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva come dall’accoglimento della sollevata questione dipenda l’accoglimento della domanda nel giudizio principale;
che, in punto di non manifesta infondatezza, ad avviso del giudice a quo gli artt. 165, 645, secondo comma, e 647 cod. proc. civ. violerebbero gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost. in quanto, secondo l’interpretazione suddetta, farebbero gravare sull’opponente l’onere di costituirsi in un termine: 1) in sé eccessivamente breve (contrasto con l’art. 24 Cost.); 2) irragionevole, dato che, anche assolvendo a tale obbligo, non ne conseguirebbe la celere definizione della controversia o, quanto meno, della fase iniziale della stessa, tenuto conto dei maggiori termini di comparizione introdotti dall’art. 21, lettera g) [recte: art. 2, comma 1, lettera g)] della legge 28 dicembre 2005, n. 263 (Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato) (contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.); 3) irragionevole, in quanto solo in caso di assegnazione di un termine minimo a comparire sussisterebbe la necessità di coordinare i tempi di costituzione dell’opponente e dell’opposto (contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.); 4) eccessivamente breve rispetto a quello di controparte, ponendo irrazionalmente i soggetti del processo in una posizione di disuguaglianza processuale (contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost.);
che, ulteriormente argomentando su quest’ultimo profilo, il rimettente osserva come, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’automatica riduzione a metà del termine di costituzione dell’opponente, correlata all’abbreviazione (volontaria o conseguenza di un mero errore) dei termini di comparizione, costituirebbe un onere processuale, a carico del medesimo opponente, sproporzionato rispetto alle facoltà concesse all’opposto e non garantirebbe la spedita definizione dell’intera lite o, quanto meno, della fase iniziale di essa, che è già garantita dalla facoltà di emettere, ai sensi dell’art. 648 cod. proc. civ., l’ordinanza di provvisoria esecuzione non modificabile e non impugnabile neanche con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Corte di cassazione, sentenza sezione terza civile, 10 luglio 1990, n. 7200; sentenza sezione prima, 2 marzo 1990, n. 1645);
che il Tribunale rimettente rileva, altresì, come, mentre la facoltà dell’opponente di avvalersi del termine dimidiato a comparire trova la sua ratio nell’interesse dell’intimato di conseguire alla prima udienza la revoca della provvisoria esecuzione, già concessa, ai sensi dell’art. 642 cod. proc. civ., l’imposizione, per legge, del termine di costituzione entro cinque giorni dalla notificazione dell’atto di opposizione (dies a quo decorrente dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario) non garantirebbe il bilanciamento degli interessi delle parti, avendo l’opposto già impostato la propria difesa nella fase monitoria ed essendo tenuto soltanto a resistere ai motivi di opposizione, senza poter proporre domande riconvenzionali (proponibili solo dall’opponente, per la sua veste di convenuto sostanziale: Corte di cassazione, sentenza sezione terza civile, 5 giugno 2007, n. 13086);
che, ad avviso del giudice a quo, l’onere processuale dell’opponente, di costituirsi, a pena di improcedibilità, entro cinque giorni dalla notifica della citazione, risulterebbe ridotto ad una mera formalità, priva di qualsiasi ragione processuale, non valendo né a coordinare il termine di costituzione dell’opponente con quello dell’opposto, né a dare al processo un impulso particolare, quanto meno nella sua fase iniziale (in considerazione dell’ulteriore nuovo termine minimo a comparire introdotto dall’art. 21, lettera g) [recte: art. 2, comma 1, lettera g)] della legge n. 263 del 2005);
che il rimettente esclude l’applicazione della disciplina della rimessione in termini, ai sensi dell’art. 184-bis, cod. proc. civ. – abrogato, ma ancora applicabile alle controversie incardinate ante riforma del 2009 e sostituito dalla norma di portata più generale di cui all’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ. riguardante tutti i termini processuali – in quanto, ai sensi della norma speciale di cui all’art. 647 cod. proc. civ., è previsto espressamente che il giudice debba concedere l’esecutività al decreto quando manca la costituzione dell’opponente (essendo, peraltro, il caso dell’errore scusabile già disciplinato dall’art. 650 cod. proc. civ.);
che il giudice a quo deduce anche il contrasto della attuale disciplina con i principi enucleabili dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui stabilisce che ogni persona abbia diritto all’esame equo della propria causa;
che il rimettente sottolinea come la Corte di cassazione, nella sentenza, resa a sezioni unite, n.19246 del 2010, abbia non solo affermato il principio – confermando in ciò la precedente giurisprudenza – che il termine di costituzione dell’opponente è ridotto alla metà nel caso di assegnazione – voluta o conseguenza di un errore – del termine di comparizione in misura inferiore a quello ordinario, ma, altresì, che, per il semplice fatto di avere proposto una opposizione a decreto ingiuntivo, il termine di costituzione dell’opponente è ope legis dimezzato anche nel caso di assegnazione del termine ordinario di comparizione;
che il Tribunale dubita della ragionevolezza di tale affermazione e ne sospetta il contrasto con i suddetti principi costituzionali;
che, in particolare, il giudice a quo ritiene che – diversamente da quanto affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui l’effetto legale del dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente dipende pur sempre dalla scelta del debitore che non può non conoscere quali siano le conseguenze processuali ricollegate dalla legge alla sua iniziativa – il ricorso alla procedura monitoria sia frutto della scelta del ricorrente creditore (futuro opposto) e non dell’intimato (futuro opponente) che «se vuole difendersi, può solo citare in opposizione»;
che, ad avviso del rimettente, l’unica scelta possibile per l’opponente sarebbe il termine a comparire, ordinario e dimezzato, e le uniche conseguenze processuali ricollegate dalla legge alla sua iniziativa sarebbero quelle in ordine al termine di costituzione;
che, secondo il Tribunale, suscita dubbi di costituzionalità il ritenere – come affermano le S.S.U.U. della Corte di cassazione – che il termine di costituzione dell’opponente sia sempre dimezzato, anche nel caso di assegnazione di un termine ordinario di comparizione;
che, come ricordato dal rimettente, la Corte di cassazione, a sezioni unite, ha affermato che, sebbene l’art. 645 cod. proc. civ. disponga soltanto la riduzione a metà dei termini a comparire e non dei termini di costituzione, l’art. 165, primo comma, cod. proc. civ., sancisce il principio dello stretto legame tra termini di comparizione e di costituzione, sicché l’espresso richiamo di tale principio, nell’art. 645 cod. proc. civ., sarebbe stato superfluo;
che, sul punto, il rimettente rileva come il principio della correlazione tra termini a comparire e termini di costituzione, di cui all’art. 165 cod. proc. civ., sia da coordinare con il meccanismo di abbreviazione dei termini a comparire di cui all’art. 163-bis cod. proc. civ.;
che tale meccanismo prevede che sia l’attore a richiedere l’abbreviazione dei termini di comparizione, cioè colui che deve poi subire l’onere di costituzione nel termine dimezzato, mentre, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’abbreviazione non è richiesta da colui che deve subirne le conseguenze, ma è imposta dalla legge, a seguito della scelta del creditore di agire in via monitoria invece che in via ordinaria;
che il Tribunale sottolinea come, mentre nel primo caso sia il creditore a decidere di abbreviare i termini – pagando l’eventuale insufficienza del termine a costituirsi al più con la cancellazione della causa dal ruolo – nel secondo caso la conseguenza dell’insufficienza del termine di costituzione, ossia l’improcedibilità della opposizione, non è scelta da chi la subisce, ma imposta dalla legge, sulla base della determinazione del creditore di agire in via monitoria;
che, ad avviso del giudice a quo, in considerazione della diversità del meccanismo di riduzione dei termini, nonché degli effetti derivanti dal mancato rispetto del termine, l’espresso richiamo del suddetto principio nel corpo dell’art. 645 cod. proc. civ. sarebbe stato superfluo;
che, infatti, mentre nel caso di rito ordinario (riduzione ai sensi dell’art. 163 cod. proc. civ.), è l’attore a richiedere il dimezzamento dei termini di comparizione, nel giudizio di opposizione il termine di comparizione è dimidiato non per volontà dell’opponente, ma perché è «pacifica l’esigenza di accelerare la trattazione dell’opposizione»;
che il rimettente sottolinea come l’esigenza, posta nell’interesse dell’opponente, di trattare urgentemente l’opposizione potrebbe portare a conseguenze nefaste proprio nei confronti dello stesso opponente;
che, infine, il Tribunale rileva come le questioni già poste dinanzi alla Corte costituzionale abbiano avuto ad oggetto, diversamente dal caso di specie, l’ipotesi della riduzione a metà del termine a comparire, ispirandosi al precedente consolidato orientamento della Corte di cassazione (ex multis: Corte di cassazione, sentenza sezione terza civile, 3 luglio 2008, n. 18203 e sentenza 20 novembre 2002, n. 16332; sentenza sezione prima, 15 marzo 2001, n. 3752 e sentenza 30 marzo 1998, n. 3316, sentenza sezione seconda 7 aprile 1987, n. 3355);
che, con atto depositato in data 24 settembre 2012, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che sia disposta la restituzione degli atti al rimettente per una nuova valutazione della rilevanza della questione, alla luce dello ius superveniens di cui alla legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), nonché, in subordine, che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, con riferimento ai parametri indicati nell’ordinanza di rimessione.
Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 165, 645, secondo comma, e 647 del codice di procedura civile, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione;
che, in epoca successiva all’ordinanza di rimessione, è entrata in vigore la legge n. 218 del 2011;
che, in particolare, l’art. 1 della citata legge, intitolato «Modifica all’articolo 645 del codice di procedura civile», ha disposto la soppressione nel secondo comma del citato art. 645 delle parole: «ma i termini di comparizione sono ridotti a metà»;
che l’art. 2 della medesima legge, intitolato «Disposizione transitoria», ha previsto che «Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice»;
che, stante l’intervenuta modifica del quadro normativo dal quale l’ordinanza di rimessione aveva preso le mosse, deve essere ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente affinché rivaluti, alla luce del descritto ius superveniens (certamente applicabile al giudizio a quo, sia per il tenore del menzionato art. 2, che fa espresso riferimento ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge che lo introduce, sia per la natura interpretativa di esso), la persistente rilevanza delle questioni promosse.
Visto l’art. 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Napoli.