L’OCCUPAZIONE ABUSIVA DI ALLOGGI
Cassazione, Sez. II, 03 aprile 2013, n. 15279
Pietro Algieri
Con la sentenza in esame, la sezione II della Suprema Corte di Cassazione ha dettato un principio di diritto fondamentale in materia di applicazione analogica dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., con riguardo al reato, contravvenzionale, dell’occupazione abusiva di alloggi.
Infatti i Giudici della nomofilachia, hanno stabilito che: “Lo stato di indigenza nel quale si trovi a versare l’autore di una occupazione d’immobile abusiva non è, in sé, idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi della “attualità” e della “inevitabilità” del pericolo, stante la possibilità, garantita dall’ordinamento, di ricorrere agli istituti di assistenza sociale.”
La fattispecie è sempre stata oggetto di un vivace dibattito non sono in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, ma, soprattutto, all’interno dei giudici stessi, i quali hanno sempre fornito interpretazioni discordanti. Giova, ai fini di una migliore comprensione della massina in commento, ricostruire e analizzare i “dictum” giurisprudenziali e, brevemente, delineare la disciplina ex art. 54 c.p.
Come è noto, l’art. 54 c.p., disciplina quell’esimente nominata “Stato di necessità”, che è anche la rubrica del suddetto articolo, e recita testualmente:” Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo. L’attenzione va posta al 1 comma dell’articolo 54 e, in particolare, ai concetti di “pericolo attuale”; “danno grave alla persona” e, infine, al concetto di “non altrimenti evitabile”.
Quanto alla nozione di “pericolo attuale”, non implica imminenza del danno, bensì è sufficiente la probabilità che esso si verifichi senza implicare che il danno sia incombente. Per quel che concerne, invece, il concetto di “danno grave alla persona”, non vi è unanimità di vedute. Vi è una tesi che sostiene che si riferisca esclusivamente ai diritti alla vita e all’integrità fisica, e, quindi, l’art 54 c.p., si riferisce ai soli diritti personalissimi (Cassazione Penale 14.07.2005 n. 26103); un’altra tesi, invece, sostiene che il concetto di “danno grave alla persona”, debba essere interpretato in senso estensivo e, pertanto, idoneo a ricomprendere anche beni di natura non personale, come i diritti della personalità morale. Da ultimo, è da menzionale il requisito della “non altrimenti evitabile”, detto altrimenti, il requisito della “inevitabilità altrimenti”.
L’azione lesiva, in virtù di tale criterio richiesto dalla norma, deve essere assolutamente necessaria per salvarsi se stesso o un terzo. Ne consegue che solo qualora l’agente non abbia altri mezzi per salvarsi, potrà ledere l’interesse del terzo. Quest’ultimo è assolutamente estraneo alla situazione che si è creata e non ha alcuna responsabilità rispetto ad essa, a differenza di quanto accade nella legittima difesa, ove l’azione è rivolta contro l’autore dell’offesa. Delineati nei termini che seguono i requisiti fondamentali e imprescindibili, affinché, un soggetto possa invocare l’esimente in esame, bisogna porsi due interrogativi fondamentali: in primis se sia costituzionalmente compatibile con il principio di tassatività, un’applicazione analogica delle norme scriminanti; e, in secondo luogo, se sia applicabile l’esimente di cui all’art. 54 c.p., al reato di occupazione abusiva di alloggi.
Per quel che concerne il primo interrogativo, la risposta è positiva. Fermo restando il divieto di analogia sancito dall’art. 14 delle disposizione preliminari al codice civile, per quanto riguarda le scriminanti, stante la loro natura di principi generali dell’ordinamento giuridico considerato tout court e, pertanto, non essendo soggette ai principi che connotano il diritto penale, primo fra tutti il principio di legalità e il suo conseguente corollario, quello di tassatività, non vi sono ragioni ostative all’applicazione analogica delle scriminanti ad ipotesi non espressamente previste. Come è facile evincere, la risposta positiva a detto interrogativo influenza la seconda questione che ci siamo posti, ossia se sia applicabile l’esimente ex art. 54 c.p., al reato di occupazione abusiva di alloggi.
La giurisprudenza non sempre ha fornito un’interpretazione unanime. Infatti accanto a pronunce che negalo che la necessità economica e, in specie, abitativa, possa trovare cittadinanza nella scriminante di cui all’art. 54 c.p., si registrano sentenze che ammettono in via di principio che la mancanza di un alloggio dignitoso possa fondare un pericolo di danno grave alla persona, qualora vengano rispettati tutti i requisiti dell’esimente, ossia attualità e inevitabilità altrimenti.
Di recente, la giurisprudenza( Cassazione Penale Sez. II 4.06.2003 n. 24290) valorizzando gli artt. 2 e 3 Cost., i quali sono da considerare i referenti normativi del diritto di un’abitazione, ( ma non vanno, altresì, sottovalutati altri articoli della Costituzione, tra cui: art. 31 c.1 Cost., art 14 Cost., art 32 Cost), ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale ormai dominante e ha riconosciuto l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., al reato di occupazione abusiva di alloggi, qualora siano presenti i requisiti della necessità e dell’inevitabilità altrimenti, ma soprattutto, dedicando particolare attenzione al concetto di “danno grave alla persona”, ritenendo che quest’ultimo sia da interpretare in senso estensivo, comprendendo al suo interno anche situazioni che mettono indirettamente in pericolo l’integrità fisica di una persona, come la mancanza di un alloggio, poiché attiene ad un bene primario collegato alla personalità.
Si arriva, quindi, alla decisione resa dalla seconda sezione, con cui, si sovverte tale principio e si ritorna al passato, stabilendo che non si debba applicare l’esimente dello stato di necessità, in quanto, vi è l’assenza del requisito dell’inevitabilità altrimenti, poiché, il soggetto potrà soddisfare il suo bisogno primario di un alloggio, facendo legittimo affidamento agli istituti di assistenza sociali che sono presenti nel nostro ordinamento. Nel caso specifico una donna, date le difficili condizioni economiche, si è vista costretta ad abbandonare l’immobile – privo dei minimi standard di sicurezza e igiene – nel quale abitava con i propri figli, per poi occuparne un altro appartenente all’ente territoriale per l’edilizia residenziale milanese. L’atto estremo è stato perseguito dall’autorità giudiziaria. La donna, infatti, è stata indagata e processata per i reati di invasione di terreni ed edifici (art. 633 c.p.), e per deturpamento e imbrattamento di cose altrui (art. 639 c.p.). In primo grado, così come in grado di appello, l’imputata è stata ritenuta colpevole per i reati lei ascritti. A nulla è valsa la difesa della donna volta a porre in evidenza come l’occupazione dell’immobile fosse stata dettata dalla grave situazione nella quale versava assieme ai suoi figli, e dunque dalla necessità di porre urgente rimedio ai gravi disagi trovatasi ad affrontare in quel momento.
La Cassazione ha confermato la condanna ascritta all’imputata, sottolineando che il danno grave alla persona, di cui parla l’art. 54 c.p., è si da interpretare in senso estensivo e, pertanto, idoneo a ricomprendere anche la compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, ma è necessaria che detta esigenza sia accompagnata dagli altri presupposti indicati dall’art. 54 c.p.: e che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione. Tali requisiti, nel caso di specie mancano.
Lo stato di necessità invocato dalla difesa dell’imputata era rimasto privo di dimostrazione, dato che la donna aveva sostanzialmente dedotto una “stato di disagio sociale ed abitativo”, e non un vera e propria esigenza abitativa. Ne consegue che l’occupazione è stata dettata più che da esigenze abitative, da mera aspirazione ad un miglioramento che, se pur soggettivamente comprensibile, non integrava affatto gli estremi dello stato di necessità. Tuttavia, ritenere che l’esigenza abitativa possa essere soddisfatta alloggiando temporaneamente da amici o, addirittura, facendo affidamento, seppur legittimo, gli istituti di assistenza sociale, richiamati espressamente nella motivazione della sentenza in commento, è un’asserzione particolarmente labile e, soprattutto, facilmente criticabile, in quanto, in periodi di crisi economica come quelli attuali, l’esigenza e la richiesta di assistenza è talmente diffusa su tutto il territorio nazionale che porta le istituzioni ad avere difficoltà notevoli nel poter adempiere a tali richieste di assistenza, ma soprattutto, non bisogna sottovalutare le inefficienze e i vuoti di tutela che caratterizzando il nostro welfare state.