Quote rosa nelle giunte comunali
Dario Immordino
Non esiste una soglia minima di rappresentanza femminile all’interno degli organi politici non elettivi.
Il principio di pari opportunità, promosso dalle fonti nazionali e comunitarie, impone di garantire la rappresentanza di genere, ma non comporta una riserva al genere femminile del 50% dei posti, né impone una percentuale minima di rappresentanza.
Imporre una “quota rosa minima”, infatti, violerebbe i principi della libertà e della responsabilità politica nella scelta dei componenti degli organi non elettivi, che costituiscono valori costituzionalmente garantiti, e non permetterebbe di compiere scelte che tengano conto adeguatamente della capacità, dalla professionalità e attitudine a svolgere funzioni di gestione della cosa pubblica.
Di conseguenza non può ritenersi di per sé illegittima la composizione di una giunta con un solo assessore di sesso femminile (Tar Lombardia, sez. I, del 4 febbraio 2011).
Dato che non esiste una percentuale minima di equilibrio di genere, per stabilire la legittimità della proporzione tra i sessi nell’ambito di un organo politico non elettivo è necessario operare una valutazione caso per caso avendo riguardo alle specifiche realtà, considerando fattori quali il numero di componenti dell’organo, l’ ampiezza della platea dei possibili candidati, la qualità delle deleghe assegnate.
Quel che è certo è che il genere femminile non può essere completamente pretermesso [1].e, pertanto, almeno un componente dell’organo collegiale deve essere donna (TAR Lombardia – Brescia 1/2012); a meno che il titolare del potere di nomina non dimostri di non aver potuto in concreto individuare un assessore di genere femminile (così T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 20 gennaio 2012, n. 679, ed in precedenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 2 agosto 2011, n. 864).
Tuttavia in questa ipotesi bisogna dimostrare di aver consultato e preso in considerazione candidati di sesso femminile, la cui esclusione può essere giustificata solo “da concrete ragioni di inidoneità o incompatibilità politica della funzione, diversamente traducendosi in un’ingiustificata elusione di un cogente precetto costituzionale”.
Non costituiscono, invece, valide motivazioni per eludere il principio di parità di genere le ragioni legate al rapporto fiduciario, che è un concetto di eccessiva estensione, non essenzialmente verificabile.
Tuttavia a determinare l’equilibrio tra i generi nell’ambito di organi collegiali non concorre solo il profilo quantitativo o numerico, ma anche quello qualitativo della rilevanza degli incarichi attribuiti.
In merito la giurisprudenza ha in diverse occasioni ribadito che non basta assegnare alle componenti di sesso femminile un qualunque tipo di incarico, ma, specialmente quando il loro numero risulti inferiore a quello degli uomini, devono essere loro attribuite deleghe di riconosciuto spessore politico che garantiscano, seppure in una partecipazione non paritaria, una presenza nella compagine di governo connotata da un ruolo rilevante ed effettivo.
Di contro l’inferiorità della componente femminile di una giunta non comporta di per sé la violazione del principio di pari opportunità , dovendosi tener conto della rilevanza del ruolo rivestito, sia in termini di risorse assegnate che di visibilità politica.
Di seguito una sintetica prospettazione della ricostruzione giurisprudenziale dei principali profili della questione:
Parametri normativi:
L’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea impone di assicurare la parità tra uomini e donne in tutti i campi (comma 1) e stabilisce che il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del genere sottorappresentato (comma 2).
L’art. 51, comma 1 della Costituzione, dopo aver sancito che tutti i cittadini, indipendentemente dal genere, possano accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, stabilisce che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini, e di conseguenza rende possibile la considerazione del sesso nella composizione degli organi collegiali pubblici (cfr. Corte Cost., 27 gennaio 2005, n. 39).
La giurisprudenza fa discendere da questa disposizione un vincolo alla formazione degli organi collegiali non direttamente elettivi, comprese le Giunte comunali, che limita la libertà del sindaco nella scelta degli assessori (così C. cost n. 4 del 2010 e TAR Sicilia – Palermo n. 14310 del 2010).
L’art. 1 del D. lgs. n. 198 del 2006 (codice delle pari opportunità) precisa che tale vincolo opera non solo per gli atti normativi o di carattere generale, ma anche nei confronti della intera attività dei soggetti pubblici, e dunque anche per gli atti aventi contenuto politico, sebbene in assenza di una normativa intermedia dei regolamenti comunali.
L’art. 6 del TUEL stabilisce che gli statuti comunali e provinciali devono contenere norme che assicurino le pari opportunità nelle giunte e negli organi collegiali, nonché negli enti e nelle aziende da essi dipendenti.
Legittimazione ad agire:
Cittadini, titolari di cariche elettive, quali i consiglieri comunali o regionali, soggetti investiti di funzioni concernenti la parità di genere (ad es la consigliera regionale di parità e la presidentessa della commissione regionale per le pari opportunità) possono promuovere ricorsi quali titolari dell’interesse alla possibile nomina, ma anche in nome della “esigenza di evitare che si creino zone franche di illegittimità in materie di diretta rilevanza generale” (Tar Roma, n. 6673 del 2011).
La legittimazione ad agire delle associazioni dedite alla promozione della democrazia paritaria dipende dalle loro finalità istituzionali e dalla presenza sul territorio, indipendentemente dal numero di iscritti (Tar Cagliari, n. 864 del 2011);
Impugnabilità dell’atto di nomina:
La violazione del principio di parità di genere nella composizione di un organo collegiale non elettivo può essere contestata in sede giudiziale perché questo genere di nomina viene generalmente qualificato dalla giurisprudenza come atto amministrativo e non politico (ex multis Cons. St. sez. V n. 4502 del 2011).
In particolare, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, benché fiduciaria, la nomina non costituisce un “atto oggettivamente non amministrativo che realizza scelte di specifico rilievo costituzionale e politico”, espressione di poteri con i quali il giudice non può interferire, non contiene scelte programmatiche, né determina fini e contenuti dell’azione di governo, e non è dunque “atto (di indirizzo) politico e neppure direttive di vertice dell’attività amministrativa”. La nomina riguarda invece l’organizzazione dell’esecutivo, e costituisce pertanto un atto ampiamente discrezionale ma non insindacabile.
La qualificazione della nomina degli assessori come atto di alta amministrazione dipende da due fattori: a) l’atto “non è svincolato dal raggiungimento di obiettivi prefissati e libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine”. L’ampiezza “delle valutazioni di opportunità che ispirano la composizione della Giunta e l’individuazione dei suoi membri, sebbene possibilmente ispirata anche da apprezzamenti politici, non deve essere confusa con l’esercizio della funzione politica in senso proprio” (Tar Roma, n. 6673 del 2011).; b)la nomina è regolata da norme giustiziabili, quale appunto il principio di equilibrata rappresentanza dei due sessi, è soggetto al principio di legalità e può essere sindacato perlomeno per “manifeste illogicità formali e procedurali”.
Ed anche le sentenze che riconoscono natura politica all’atto di nomina dei componenti la giunta non esimono il sindaco dal rispetto del principio di pari opportunità, sulla base della constatazione che “è proprio la natura politica della scelta che incontra il limite esterno della promozione del principio di pari opportunità” (TAR Napoli, sez. I, 10 marzo 2011, n. 1427).
In ogni caso il sindaco resta il titolare ed il garante della linea politica della propria amministrazione, e può in ogni momento revocare un assessore con il quale la collaborazione non sia più possibile, con il solo limite del divieto di comportamenti arbitrari.
Portata del principio di parità di genere:
Gli artt. 51 Cost. e 6 TUEL pongono un limite alla discrezionalità del sindaco e impongono una rappresentanza femminile nell’organo esecutivo, o, in alternativa, una congrua motivazione dell’atto con cui viene nominata una giunta interamente maschile.
Non esiste una percentuale minima di rappresentanza femminile, e quindi una riserva di posti in giunta, ma il principio di parità di genere richiede il “massimo impegno esigibile per assicurare ad appartenenti di entrambi i sessi l’accesso a cariche pubbliche per le quali non operano meccanismi vincolanti di tipo tecnico-meritocratico”. (TAR Napoli, sez. I, 10 marzo 2011, n. 1427).
Fermo restando che la scelta di tutti gli assessori è ampiamente discrezionale, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale non possono sussistere ragioni serie per una rappresentanza femminile inesistente o esigua.
Tuttavia l’equilibrio di genere non va misurato esclusivamente in termini numerici, poiché “a fronte di una squilibrata rappresentanza dei generi sul piano numerico o quantitativo, potrà comunque ritenersi raggiunto l’equilibrio soltanto nel caso di conferimento al genere scarsamente rappresentato di ruoli o funzioni il cui rilievo sostanziale e funzionale sia tale, secondo logicità e ragionevolezza, da compensare il gap numerico”.
Dunque una inferiorità della rappresentanza sul piano numerico quantitativo può essere corretta sul piano qualitativo, mediante l’assegnazione di ruoli politicamente pesanti: ma “soltanto” in questo modo.
[1] Cfr in senso contrario , Tar Milano, n. 354 del 2011, che ha rifiutato di annullare la nomina della Giunta Formigoni, sul rilievo che la promozione delle pari opportunità non deve avvenire con meccanismi costrittivi, che le clausole degli statuti regionali che la prevedono non hanno funzione propriamente normativa, e che le nomine hanno una natura “indiscutibilmente fiduciaria”.