IL NUOVO CODICE DEONTOLOGICO FORENSE
Immacolata Maione
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014 il testo del nuovo Codice deontologico forense, approvato in via definitiva dal CNF nella seduta del 31 gennaio 2014; esso presenta, già ad un primo rapido esame, numerose e rilevanti modifiche rispetto alla precedente versione.
In via preliminare però è opportuno precisare il rafforzato valore che la nuova legge sull’ordinamento professionale (l. n. 247/2012) attribuisce, rispetto al passato, alle disposizioni disciplinari: a tal fine basti richiamare l’art. 2, comma 4, secondo cui “l’avvocato, nell’esercizio della sua attività, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche” e soprattutto l’art. 3, comma 3, ai sensi del quale “l’avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi contenuti nel codice deontologico emanato dal CNF […].
In via generale, Il codice deontologico è stato elaborato per stabilire norme di comportamento che l’avvocato è tenuto ad osservare nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti, rispondendo alla tutela del pubblico interesse avente ad oggetto il corretto esercizio della professione forense.
In particolare, Il nuovo testo, che si compone di 73 articoli raccolti in sette titoli (a fronte dei cinque del codice previgente), mira a sottolineare la vocazione pubblicistica delle norme ivi contenute: ciò è principalmente testimoniato dall’inversione dell’ordine tra il titolo relativo ai “Rapporti con il cliente e la parte assistita” (anticipato al Titolo II) e quello sui “Rapporti con i colleghi” (che viene invece spostato al terzo posto).
Procedendo con ordine, occorre osservare che Il Titolo I, contente i “Principi generali”, si rivela più coerente rispetto al passato, in quanto contiene esclusivamente disposizioni di carattere generale che individuano le clausole generali alle quali l’attività dell’avvocato deve uniformarsi (quali la probità, dignità, decoro e indipendenza, fedeltà, diligenza, riservatezza, competenza, dovere di aggiornamento professionale, dovere di adempimento fiscale, previdenziale, assicurativo e contributivo), non individuando più ipotesi di violazioni specifiche.
Parimenti, va detto che, sempre nel titolo I dell’anzidetto Codice, vi è un richiamo esplicito ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea, in armonia alla continua osservanza da parte del nostro ordinamento giuridico al diritto sovranazionale comunitario, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto è finalizzato a tutela e nell’interesse della parte assistita.
Sempre dal punto di vista strutturale, degna di nota è l’introduzione di uno specifico titolo sui “Doveri dell’avvocato nel processo” (Titolo IV), che riunisce tutte le regole attinenti alla funzione difensiva, e del Titolo VI che disciplina in via autonoma i “Rapporti con le istituzioni forensi”, prevedendo, peraltro, una nuova norma che sanziona pesantemente le scorrettezze in sede di esame di abilitazione.
Segnatamente,l’art.72 del nuovo Codice di Deontologia forense stabilisce che “1. L’avvocato che faccia pervenire, in qualsiasi modo, ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punito con la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. 2. Qualora sia commissario di esame, la sanzione non può essere inferiore alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.3.Il candidato che, nell’aula ove si svolga l’esame di abilitazione, riceva scritti o appunti di qualunque genere, con qualsiasi mezzo, e non ne faccia immediata denuncia alla Commissione, è punito con la sanzione disciplinare della censura”.
Una della maggiori novità del Codice è relativa alle sanzioni; in ossequio al principio di tipizzazione, sono infatti espressamente previste sia le possibili sanzioni (avvertimento, censura, sospensione e radiazione) sia le ipotesi di attenuazione e di aggravamento delle stesse (art. 22).
Tra le novità di maggior rilievo si segnalano poi quelle in tema di compensi e di doveri informativi.
Il nuovo art. 25, dopo aver affermato la assoluta libertà nella pattuizione dei compensi (fermo il divieto di richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all’attività svolta o da svolgere ex art. 29, comma 4), specifica che “è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale”.
Inoltre la stessa disposizione prevede, adesso, un divieto espresso del cd. patto di quota lite, la cui violazione è sanzionata in modo alquanto pesante con la sospensione da due a sei mesi.
Per quanto riguarda i doveri di informazione verso i clienti, la norma di riferimento è l’art. 27, il quale obbliga l’avvocato a fornire una serie di notizie e di elementi ulteriori rispetto al passato: è infatti previsto che l’avvocato “deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione […]; deve informare la parte assistita chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge e deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge e deve rendere noti gli estremi della propria polizza assicurativa; deve informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copia di tutti gli atti e documenti”.
In tal senso, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità che all’uopo ha statuito che “In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ai sensi dell’art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, poiché l’abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali, stabilita dall’art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, non preclude all’organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli artt. 17, 17-bis e 19 del codice deontologico forense, e tanto più che l’art. 4 del d.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere “funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria”. Nel caso di specie, La S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva affermato costituire illecito disciplinare l’inserimento nel “box” pubblicitario di un giornale di uno slogan sull’attività svolta, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico dei costi molto bassi, contenente elementi equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo” (Cass. Civ., SS.UU., 13 novembre 2012, n. 19705).
In conclusione, possiamo oggi affermare con sufficiente certezza che il codice deontologico forense racchiude norme di diritto, con contenuto etico, formatesi per consuetudine e oggi legificate.