NOTA a Corte di Cassazione, Sez. Unite civili,
sentenza n. 13568 del 2 luglio 2015
dott. GIUSTINO VALERIANO AGOSTINONE
Domanda di risarcimento al Comune per mancato intervento per porre rimedio ad accattonaggio agli incroci: la competenza a chi spetta?
Sommario: Abstract. — 1. Premessa — 2. La vicenda — 3. La problematica della giurisdizione nelle azioni risarcitorie contro la pubblica Amministrazione — 4. La decisione — 5. Conclusioni
Abstract
The purpose of this article is to describe, in a short but adequate manner, the relationship between the jurisdiction of ordinary and administrative judges. This is no trivial matter when interest and counter-interest come into play, when the Public Administration does not exercise its public powers. In this article the institute of the division of jurisdiction will be analysed in a claim for compensation regarding in a case of non-exercise of public powers by the Public Administration.
1. Premessa
La sentenza in commento è degna di nota in quanto esamina un aspetto di grande rilevanza in materia di giurisdizione ed in particolare nel caso di richiesta di risarcimento al Comune per mancato intervento per porre rimedio ad accattonaggio agli incroci. Prima di passare all’esame della posizione delle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza in commento, si ritiene che nel processo, caratterizzato dall’incidere dialettico, non solo si scorga e si individui la soluzione, ma anche nello stesso processo, in grazie all’attività dialettica delle parti ivi coinvolte, la soluzione venga posta, o meglio creata.
La fattispecie in esame è infatti assimilabile ad una controversia in materia di domanda di risarcimento alla P.A., rispetto alla quale il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo dipende dalla posizione giuridica soggettiva riconducibile in capo al privato.
Nel caso di specie, il soggetto, che si trova in una posizione di interesse legittimo, legittimante la domanda diretta ad ottenere un risarcimento per mancato esercizio dei poteri pubblici da parte della P.A., è tutelabile davanti al giudice amministrativo. A tal fine è utile iniziare dalla narrazione della vicenda.
2. La vicenda
Parte attrice, conveniva in Giudizio il Comune di Udine, chiedendo l’integrale ristoro del danno esistenziale subito a seguito della pratica di pedoni ben vestiti e ben pasciuti, anche deambulanti con stampelle, muniti di cartello, marsupio e berretto che, all’altezza dell’impianto semaforico esistente ad un incrocio, da oltre un anno, chiedevano denaro agli automobilisti , creando così, disagi ed ansie agli automobilisti circolanti e fruitori delle strade pubbliche.
Il Giudice di Pace di Udine, rigettava la domanda di risarcimento. Avverso tale pronuncia parte attrice interponeva appello dinanzi il Tribunale di Udine che rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado. Nel merito il Tribunale di Udine, evidenziava preliminarmente come l’attore nel giudizio di primo grado chiedeva la condanna del Comune convenuto ai sensi dell’articolo 2051 c.c., in realtà non era pertinente tale richiamo ai fini della giurisdizione del giudice ordinario. Infatti l’appellante non ha lamentato alcun danno che gli sia derivato direttamente dalla cosa in custodia (ossia dei beni demaniali o facenti parte del patrimonio indisponibile della P.A.) per effetto di un’omessa attività materiale del Comune e rispetto alla quale l’utente della strada vanterebbe una posizione di diritto soggettivo pertanto tutelabile dinanzi al giudice ordinario.
Infine il Giudice dell’Appello riteneva che il danno esistenziale lamentato, «lungi dal derivare direttamente dalla cosa, dipenderebbe dal mancato esercizio da parte del Comune di poteri autoritativi volti a porre fine al lamentato fenomeno attraverso lo sgombero della pubblica via dei questuanti che vi indugiano» e quindi l’omesso esercizio di tali poteri da parte del Comune non può essere considerato un mero comportamento materiale e di conseguenza è prospettabile la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7 c.p.a.
Avverso la sentenza di appello del Tribunale di Udine veniva proposto ricorso per Cassazione.
3. La problematica della giurisdizione nelle azioni risarcitorie contro la pubblica Amministrazione
La sentenza in commento, ci offre spunti di riflessione sulla questione del riparto di giurisdizione, in effetti è possibile pervenire all’esame della situazione attuale – vigente il Nuovo Codice del Processo Amministrativo nel testo modificato dai due correttivi entrati in vigore con i decreti legislativi n. 195 del 2011 e n. 160 del 2012 – dopo avere tracciato un rapido excursus storico – normativo sulle questioni di giurisdizione relative ad azioni risarcitorie catalizzate dai privati nei confronti della pubblica amministrazione.
A ben vedere bisogna considerare quali necessari e fondanti elementi di riferimento e collegamento in subiecta materia, in particolare, sia la sussistenza ab origine del c.d. dogma della irrisarcibilità delle lesioni di posizioni di interesse legittimo ed il lento e farraginoso cammino per realizzare una concreta effettività della tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, sia, soprattutto le rilevanti modifiche legislative intervenute tra il 1998 e il 2000, nonché le fondamentali sentenze: n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione SS.UU. con cui è stata “costruita” – in tutte le sue componenti: oggettiva, soggettiva ed eziologica – l’azione risarcitoria conseguente a lesione dell’interesse legittimo, nonché le sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006 della Corte Costituzionale – concernenti il giudizio di illegittimità costituzionale dell’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo di interi blocchi di materie e il ritorno al criterio basato sull’intreccio delle posizioni soggettive alla luce dell’esistenza o meno, nella fattispecie, dell’esercizio o del mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A. di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. A parer di chi scrive, tali elementi, sono stati funzionali al raggiungimento dell’attuale stato dell’arte in tema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo nelle azioni risarcitorie avverso le attività comportanti esercizio o mancato esercizio di pubblici poteri da parte della P.A.
Iniziando una disamina cronologica del tema oggetto della sentenza, fino agli inizi degli anni 90 l’impianto processuale era influenzato dal dogma della irrisarcibilità delle lesioni delle posizioni di interesse legittimo, che era fondato, oltre che sulla Legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 e sulla legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (attributiva di tutela giurisdizionale alla lesione di posizioni di interesse legittimo), soprattutto sulla tradizionale lettura ed interpretazione dell’art. 2043 codice civile, disciplinante l’azione risarcitoria da fatto illecito. Il c.d. risarcimento del danno ivi previsto era pacificamente identificato alla stregua di norma secondaria, costituente la sanzione per la violazione di una norma primaria, posta a protezione di un diritto soggettivo assoluto. Da qui la risarcibilità nei confronti di una P.A. delle sole attività paritetiche e dei soli comportamenti materiali – vere proprie vie di fatto – da questa posti in essere, con azioni risarcitorie da presentare ovviamente davanti al giudice ordinario, quale unico giudice del diritto soggettivo e, quindi, del risarcimento del danno.
È solo quasi alla fine degli anni novanta che il legislatore, con l’art. 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998, affida alla cognizione del giudice amministrativo le eventuali azioni di risarcimento del danno connesse a cause rientranti nelle particolari materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 e queste materie, oltre ai procedimenti di gara ad evidenza pubblica, sono i servizi pubblici, l’edilizia e urbanistica in senso lato, (comprensiva anche di ogni uso del territorio, ivi inclusi, pertanto, anche i procedimenti e i comportamenti espropriativi). Con il decreto n. 80 del 1998, viene introdotto un nuovo criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il tradizionale criterio di riparto di giurisdizione imperniato sulla effettiva “causa petendi” della controversia e, pertanto, sulla oggettiva qualificazione della posizione giuridica fatta valere in giudizio: se era di interesse legittimo la causa rientrava nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo se di diritto soggettivo la causa doveva essere decisa dal giudice ordinario. Discendeva da tale criterio, che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo potesse includere solo quelle controversie in materie nelle quali vi era un complesso intreccio tra posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, cosicché il legislatore aveva valutato l’opportunità – al fine di rendere effettiva e celere la tutela giurisdizionale e anche al fine di evitare possibili contrasti tra decisioni – di attribuirne la cognizione in via esclusiva ad un unico giudice. Il decreto legislativo n. 80 del 1998 come si è anticipato, sovverte tale criterio, includendo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie concernenti interi blocchi di materie, la cui individuazione è stabilita dal legislatore, unicamente sul presupposto della sua discrezionalità legislativa. Tale dirompente innovazione aveva l’evidente e condivisibile scopo, mediante l’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – di accordare tutela risarcitoria oltre che impugnatoria al privato leso da un’attività provvedimentale o anche da meri comportamenti posti in essere da una P.A. relativamente a settori centrali e di grande rilievo del diritto amministrativo quali certamente sono da annoverare, oltre ai procedimenti ad evidenza pubblica, i pubblici servizi, l’edilizia e l’urbanistica ivi compresi tutti gli aspetti relativi alla gestione del territorio (procedimenti ablativi). Oltre a ciò, l’innovazione più importante é l’attribuzione allo stesso giudice amministrativo della cognizione dell’azione risarcitoria connessa a controversie vertenti in tali materie, con conseguente superamento o per meglio dire “aggiramento” (attraverso un nuovo concetto di giurisdizione esclusiva) del dogma dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.
Nel frattempo, la Corte di Cassazione SS.UU. con la famosa sentenza n. 500 del 1999 – in tempestiva risposta alle innovazioni introdotte dal D. Lgs. n. 80 del 1998, e nell’evidente opposto tentativo di riassorbire gran parte della tutela risarcitoria che il decreto n. 80 aveva attribuito al giudice amministrativo in settori di primaria importanza del diritto amministrativo – riusciva a “superare” in altro modo l’ormai anacronistico ed obsoleto dogma della irrisarcibilità della lesione di interessi legittimi causata da attività provvedimentale della P.A., mediante una lettura dell’art. 2043 del codice civile imperniata non più sul risarcimento quale sanzione per l’avvenuta violazione di una norma primaria posta a protezione di una posizione di diritto soggettivo, ma ponendo quale fulcro dell’interpretazione della norma il danno stesso, che è ingiusto e, pertanto, risarcibile, quando esso opera “non iure”, vale a dire quando lede ingiustificatamente un interesse ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Attraverso tale nuovo angolo di visuale dell’art. 2043 cod. civ. è ben possibile, pertanto, che a causare un “danno ingiusto” meritevole di risarcimento sia una lesione derivante da attività provvedimentale della P.A. nell’espletamento dei propri poteri pubblicistici, con conseguente irrilevanza della posizione soggettiva lesa al fine di determinarne o meno la possibilità di risarcimento. Ciò non toglie, secondo l’ulteriore ragionamento delle Sezioni unite, che, al diverso fine del riparto di giurisdizione, le azioni risarcitorie nei confronti della P.A. debbano essere decise dal giudice ordinario, in quanto giudice dei diritti, essendo di diritto soggettivo la posizione di colui che agisce per essere risarcito dalla lesione subita ad opera di attività provvedimentale della P.A.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali i predetti art. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1990, in quanto il mutamento del criterio di riparto di giurisdizione non era tra gli argomenti previsti dalla legge delega (Sentenza n. 292 del 17/7/2000). Nel 2000 il Legislatore interviene nuovamente, eliminando il problema della delega mediante riproposizione degli stessi art. 33, 34 e 35 del Decreto nel testo di una legge ordinaria: l’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000, confermando così “la rivoluzione” posta in essere in punto di materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e di risarcibilità (in dette materie) della lesione di interessi legittimi. Inoltre, la parte più innovativa della nuova normativa è contenuta nel successivo comma 4 dello stesso art. 7 della legge n. 205 del 2000 che sostituisce il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della L. n. 1034 del 1971[1] con il seguente testo: “Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”[2].
Con la fondamentale sentenza n. 204 del 2004[3], la Corte Costituzionale è intervenuta in modo deciso sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, soprattutto in funzione della identificazione dei criteri di attribuzione al primo delle controversie rientranti nella sua giurisdizione esclusiva. La Consulta, oltre a ribadire il concetto che il risarcimento del danno non è una nuova materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma un ulteriore strumento, oltre all’ordinaria azione impugnatoria, per rendere completa ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti dell’attività dalla P.A. direttamente connessa con l’esercizio di pubblici poteri, dichiara incostituzionali gli artt. 33, commi 1 e 2 e 34, comma 1 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo reintrodotto nell’art. 7 della L. n. 205 del 2000 per contrasto con gli artt. 24 e 103 della Carta Costituzionale, nelle parti in cui dette norme attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o le controversie in materia di pubblici servizi, nella quale non è dato rinvenire intreccio alcuno tra posizioni di diritto soggettivo e interesse legittimo (sent. n. 204 del 2004) o controversie che, pur rientranti in materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche secondo i previgenti criteri di riparto (procedimenti e comportamenti espropriativi), hanno quale specifico oggetto i c.d. “meri comportamenti” (tipo: quelli consistenti nella c.d. espropriazione usurpativa) che non risultano collegati, nemmeno in via mediata, con l’esercizio del potere pubblico[4].
Le summenzionate considerazioni sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, nonché il ritorno al tradizionale criterio di attribuzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., fondato sull’esistenza di intreccio tra posizioni soggettive e, infine, una più approfondita definizione e qualificazione dei comportamenti (anche omissivi) della P.A. da correlarsi all’esercizio o al mancato esercizio di pubblici poteri, costituiranno le basi fondanti della nuova disciplina sulla giurisdizione introdotta con il Codice del processo amministrativo.
Il Codice precisa, all’art. 7[5], quali siano le controversie devolute al giudice amministrativo in materia di azioni risarcitorie intentate nei confronti di una pubblica amministrazione. Il comma 4 della disposizione prevede, infatti, che “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”. Inoltre, il comma 5 dispone che “Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art. 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”. Pertanto, il giudice amministrativo ha cognizione delle azioni risarcitorie nei confronti della P.A. relative a controversie, come chiarisce il comma 1 dello stesso art. 7 nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi “concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”.
A tal riguardo, il criterio di riparto fondamentale affinché una causa contenente un’azione risarcitoria sia devoluta al giudice amministrativo è che essa possa riguardare una controversia in cui vi sia esercizio (o mancato esercizio) da parte di un’amministrazione di pubblici poteri.
Rientra sempre nella cognizione del giudice amministrativo anche l’azione risarcitoria correlata a causa rientrante nella sua giurisdizione esclusiva e, quindi, relativa a controversia nella quale possano essere in contestazione anche posizioni di diritto soggettivo e non solo di interesse legittimo, purché siano ugualmente connesse con l’esercizio del potere, così come vi rientrano quelle controversie risarcitorie nelle quali l’esercizio di pubblici poteri sia espletato (in via mediata) mediante l’utilizzo di strumenti di diritto privato quali accordi e/o convenzioni o altre forme negoziali. Per quanto riguarda i comportamenti (commissivi od omissivi che siano) il suddetto criterio non cambia e, pertanto, sarà devoluta al giudice amministrativo l’azione risarcitoria intentata nei confronti di una pubblica amministrazione inerente causa in cui il comportamento (contestato) della P.A. sia in concreto riconducibile al seppure illegittimo esercizio (o mancato esercizio) di un pubblico potere, con esclusione quindi dei “meri comportamenti”. Pertanto, anche in relazione alla riferita disciplina codicistica della tutela risarcitoria nei confronti della P.A., va condivisa l’opinione di parte rilevante della dottrina che indica il Codice del Processo Amministrativo quale sede del conclamato passaggio tra una concezione del giudizio come giudizio sull’atto, alla concezione del giudizio stesso quale giudizio sul rapporto.
A parer di chi scrive, vi è un sostanziale ed evidente fallimento del criterio di riparto della “causa petendi” che è dimostrato dal fatto che ancora oggi, dopo più di un secolo dall’entrata in campo della tutela giurisdizionale da parte del giudice amministrativo con l’insediamento della quarta sezione (giurisdizionale) del Consiglio di Stato, questo criterio non permette al cittadino di avere ancora la certezza di presentare l’atto introduttivo di un giudizio dinanzi al giudice avente giurisdizione in riferimento alla causa intentata. Tale fatto è incontestabile e solo in parte esso può essere attribuito alla, da più parti affermata, “non terzietà” del giudice della giurisdizione. Si rileva però che la soluzione del problema non possa essere cercata in altro criterio – visto anche l’esito contra constitutionem che ha avuto l’introduzione nell’ordinamento, dal 1998 al 2004, del criterio di riparto imperniato sull’allargamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo mediante attribuzione alla stessa di interi blocchi di materie – ma, in un adeguamento e perfezionamento del criterio vigente, proprio attraverso una sua rivisitazione, alla luce del passaggio tra giudizio sull’atto e giudizio sul rapporto, che necessariamente debba essere più solidamente fondata sulla verifica circa la sussistenza o meno, nella controversia, dell’esercizio o del mancato esercizio, da parte di una pubblica amministrazione, del potere attribuitole dalla legge.
4. La decisione
Nella sentenza in commento si rileva che i giudici della Corte sono partiti dalla disamina del richiamo da parte ricorrente del dovere del Comune di porre in essere un’attività materiale, un mero comportamento di “pulizia delle strade” (come recita l’art. 14 c.d.s.). A ben vedere, è in gioco un aspetto in cui l’azione amministrativa è limitata ai principi costituzionali fondati sul rispetto della dignità umana e dei diritti degli ultimi[6].
Infatti, si deve considerare la rilevanza dell’attività umana espressione di una forma di mendicità e di una semplice richiesta di aiuto proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, tanto da non potersi richiamare il dovere dell’ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale, un mero comportamento di “pulizia delle strade”, come recita l’art. 14 C.d.S.
In tale ambito, l’azione amministrativa, pur indirizzata alla tutela di beni pubblici importanti (l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana), deve infatti muoversi nel necessario rispetto della dignità della persona umana e dei diritti degli “ultimi”, essendo destinata a risolversi in prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni a coloro che ne sono destinatari.
Ai fini del riparto di giurisdizione, la Cassazione, ha evidenziato come la pretesa azionata con la domanda abbia ad oggetto un’attività dell’amministrazione convenuta destinata necessariamente ad estrinsecarsi in provvedimenti secondo legge, e quindi non certo riducibile alla sua semplice materialità. A tal riguardo, la Corte di legittimità, richiamando una recente pronuncia delle Sezioni Unite[7], ha dunque ribadito che «la pretesa a che un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non può sicuramente essere configurata come un diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio, né quando essa investa la scelta dell’amministrazione se esercitare o meno quel potere, in una situazione data, né quando sia volta a sindacare i tempi ed i modi in cui lo si è esercitato».
Ne consegue che la posizione soggettiva di cui l’attore pretende la tutela non è, nemmeno in astratto, qualificabile in termini di diritto soggettivo, ma, semmai, di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, giacché, ai sensi dell’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., sono attribuite «alla giurisdizione generale di legittimità di questo giudice le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».
In ogni caso, secondo la Suprema Corte, anche a voler ipotizzare l’esistenza di una situazione di diritto soggettivo facente capo all’attore, la questione ricadrebbe nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale prevista dall’art. 133, comma 1, lett. q), cod. proc. amm., trattandosi di controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza urbana.
In definitiva, nel caso concreto, quello che viene in rilievo è il mancato esercizio da parte del sindaco del potere di emanare provvedimenti «contingibili ed urgenti» per fronteggiare «gravi pericoli» che minacciano l’incolumità pubblica. Rispetto a questo potere però, vista anche la discrezionalità dell’amministrazione, non è configurabile una posizione di «diritto soggettivo» dell’automobilista che percorre la strada. Semmai, conclude la Cassazione, si è di fronte a un «interesse legittimo» che dunque rientra nella competenza del giudice amministrativo (anche in materia risarcitoria).
In conclusione, le Sezioni Unite hanno pertanto rigettato il ricorso, dichiarando la giurisdizione del Tar a valutare se nell’ordinamento vi sia o meno una norma che accordi tutela alla posizione giuridica del «cittadino automobilista fruitore di strade pubbliche».
In merito a ciò, si vuole ricordare che qualche Comune (prima Trieste[8] e poi Firenze[9]) ha adottato delle ordinanze contingibili ed urgenti per vietare l’esercizio del mestiere girovago di cosiddetto «lavavetri»[10]. A bene vedere, nel caso in cui si renda necessario reprimere con gli strumenti offerti dal diritto penale gli atteggiamenti insistenti e offensivi dei lavavetri, le disposizioni, a livello sistematico, non mancano. Consolidata dottrina[11] ritiene che sostenere l’opera dei cosiddetti “Sindaci sceriffi”, paladini della giustizia e garanti dell’incolumità dei loro cittadini, che si esplica con l’adozione di provvedimenti non solo fantasiosi, ma connotati da una scarsa disamina di quello che è lo stato dell’arte dal punto di vista giuridico, contribuisce al movimento verso la schizofrenia dell’ordinamento giuridico, rendendolo dis-ordinamento.
Il caso dei lavavetri né è un palese esempio, l’ordinamento decide di depenalizzare la mendicità, sulla base dell’osservazione secondo cui il semplice mendicare è solo una richiesta d’aiuto; di seguito, però, si decide di rendere illecita penalmente, a livello locale, un’attività che di per sé non configura alcun reato, e solo per dare risposta agli stati d’animo della cittadinanza.
5. Conclusioni
La sentenza in commento ha dimostrato come la richiesta di risarcimento per mancato esercizio dei poteri pubblici da parte della P.A. è azionabile solo dinanzi al giudice amministrativo. Infatti nel caso in questione la decisione della Cassazione confermando la sentenza di primo e secondo grado, ha ritenuto il ricorso infondato, negando la sussistenza della giurisdizione ordinaria a fronte della richiesta di risarcimento al Comune con cui il privato aveva vantato un diritto soggettivo, che tra l’altro anche a voler ipotizzare l’esistenza di una situazione di diritto soggettivo facente capo al ricorrente, la questione ricadrebbe nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale prevista dall’art. 133, comma 1, lett. q), cod. proc. amm., trattandosi di controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sicurezza urbana.
Non si può, dunque, non rilevare la correttezza delle decisione assunta dalla Cassazione, che ha indicato il giudice amministrativo come quello munito di giurisdizione per il caso in esame.
Detto ciò, a parer di chi scrive, rimangono alcune sfumature sulla possibilità o meno di contribuire ad una tutela del cittadino “fruitore delle strade pubbliche” allorquando si obietti sul potenziamento degli strumenti giuridici a disposizione del sindaco per il contrasto al fenomeno dei c.d. lavavetri[12], in particolare la Legge 24 luglio 2008, n. 125, che conferisce maggior rilievo alle funzioni relative all’ordine e alla sicurezza pubblica di spettanza del sindaco, attribuendo a quest’ultimo la possibilità di adottare provvedimenti, anche contingibili e urgenti, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano non solo l’incolumità pubblica, ma anche la “sicurezza urbana”.
E allora, se è giusto il rinvio del giudice ordinario al giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento al Comune per mancato intervento per porre rimedio ad accattonaggio agli incroci ma, è sbagliato considerare, tale attività, illecita, e di conseguenza evidenziare il rischio del moltiplicarsi di ordinanze, normative e divieti che potrebbero superare la soglia della “non discriminazione” verso i meno abbietti, intasando, “infruttuosamente”, a colpi di ricorsi il giudice amministrativo, forse, a questo punto è opportuno aggiungere che, come la dignità umana, così il concetto di sicurezza urbana diviene un ricettacolo, contenitore dell’emotività, pretesto per la costruzione di impianti normativi di cui si avverte l’esigenza sull’onda di sentimenti e sensazioni che vanno dalla rabbia all’ansia e che sono ben lontani da razionalità e ragionevolezza. Si può affermare che all’interno di tale contenitore, sia riassunta una sensazione di insicurezza vissuta dai cittadini, la quale non sempre e non necessariamente corrisponde a un pericolo reale e attuale per i “veri” beni giuridici. Il risultato, è un’enorme dispiego di forze e risorse della giustizia, che nel vagliare la legittimità di tali scelte, rallenta il percorso della certezza del diritto.
[1] Legge istitutiva dei T.A.R.
[2] Tale norma è stata interpretata – fin dalla sua entrata in vigore – sia dalla giurisprudenza sia dalla prevalente dottrina, nel senso che il giudice amministrativo è in via generale il giudice delle azioni risarcitorie intentate avverso l’attività provvedimentale della P.A.; egli è, inoltre, il giudice che decide le controversie risarcitorie generate da controversie azionate dinanzi al medesimo nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34 del D. Lgs. n. 80 del 1998 come riproposti nell’art. 7, comma 1, della L. n. 205 del 2000.
[3] Negli stessi termini, poi ribadita, riguardo ai meri comportamenti espropriativi posti in essere dalla P.A. con la sentenza n. 191 del 2006.
[4] Sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006.
[5] Norma mantenuta nel suo testo originale anche a seguito dell’entrata in vigore dei primi due correttivi al codice: d. lgs. n. 195 del 2011 e d. lgs. n. 160 del 2012.
[6] In argomento anche la sentenza della Corte costituzionale, n. 115 del 2011, la quale nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazione, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti”, ha ritenuto che «la previsione di un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali di Governo, non limitato ai casi contingibili ed urgenti viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un settore, quello delle imposizioni di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati, i quali sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge» (pp.4-5 sent. In commento)
[7] Cfr. ordinanza 18 maggio 2015, n. 10095.
[8] In tema di ordinanze sindacali contro i lavavetri, si è occupata la Cassazione, I sezione penale, del 2002, con la sent. 37112 del 05.11.2002, in Riv. Pen. 2003, p. 457 ss., che ha negato la sussistenza del potere in capo al Sindaco di emanare provvedimenti (in quel caso ordinari), poiché tale attività non è soggetta ad autorizzazione.
[9] Uno dei primi commenti all’ordinanza 774/2007 del sindaco di Firenze è di A. Andronio, L’ordinanza extra ordinem del Sindaco di Firenze sui lavavetri: divieto di un’attività già vietata?, in www.federalismi.it, n. 17/2007.
[10] Il ricorso allo strumento dell’ordinanza con tingibile e urgente, prevista dal Testo unico sugli enti locali (TUEL) ed emessa in data 25 agosto 2008, prevedeva il divieto dell’esercizio del mestiere girovago di lavavetri.
[11] A. Simoni, Lavavetri, rom, stato di diritto e altri fastidi, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 2007, 3, p. 89.
[12] F. Morelli, I nuovi poteri attribuiti ai sindaci in materia di sicurezza urbana (L. 125/2008), in www.altalex.it, 2008: «A fronte dell’obiettivo, pervicacemente e talvolta demagogicamente perseguito dalle varie legislature, di una certezza del diritto ottenuta anche attraverso una delegificazione ed una semplificazione normativa, la riforma de quo si pone in netta antitesi, aggravando il rischio di un incontrollato proliferare di ordinanze, normative, divieti e provvedimenti locali a contenuto variegato ed eterogeneo».