LA RESPONSABILITA’ MEDICA E L’OMESSO CONSENSO INFORMATO
Sommario. I. Premessa – II. L’obbligazione medica: obbligazione di mezzi o risultato – III. Responsabilità medica – IV. L’obbligo di informativa e consenso informato – V. Conclusioni.
I. Premessa
Parte della più recente dottrina e giurisprudenza ritiene oggi che la responsabilità per inadempimento contrattuale non derivi soltanto dalla violazione di doveri specifici che trovano fonte in un contratto. Al contrario si sta affermando con prepotenza una nuova interpretazione della responsabilità civile. Da un lato si continua a riconoscere una responsabilità aquiliana (o extracontrattuale) tutte le volte in cui viene violato un obbligo generale, cagionando un danno ingiusto in capo ad altrui soggetto; dall’altro si ritiene, alla luce del principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni (art. 1173 c.c.), che la responsabilità contrattuale non consegua più esclusivamente in luogo della violazione di un obbligo specifico derivante da un contratto formale, ma anche in presenza della violazione di un obbligo imposto direttamente dall’ordinamento giuridico, in forza di un “contatto sociale qualificato”.
Tra le fonti e gli atti ritenuti idonei a produrre obbligazioni, infatti, si individua anche il contatto sociale qualificato, espressione questa con la quale si vuole indicare un rapporto socialmente tipico, che fa sorgere in capo alle parti coinvolte gli stessi doveri che si avrebbero in presenza di un contratto vero e proprio. L’esempio tipico è individuato nella relazione tra medico e paziente, dove il primo è tenuto ad osservare un obbligo specifico di cura che tenda a tutelare il diritto alla salute del paziente, indipendentemente dal sussistere o meno di un contratto a fondamento del rapporto.
Significativa a tal proposito è la pronuncia della Cassazione n. 589 del 1999, con la quale la Suprema Corte prende le distanze dall’orientamento previgente secondo cui la responsabilità contrattuale presuppone necessariamente un contratto in senso formale, affermando che la tesi della responsabilità aquiliana sembra “cozzare contro l’esigenza che la forma giuridica sia il più possibile aderente alla realtà materiale” (Cass. 22 gennaio 1999, n. 598, in cortedicassazione.it).
La Corte di Cassazione ha concluso che la responsabilità del medico designato dalla struttura sanitaria non ha natura aquiliana, recependo l’orientamento secondo il quale sullo stesso graverebbe una responsabilità contrattuale nascente da un’obbligazione senza prestazione, un’obbligazione di protezione, fondata sul contatto sociale tra medico e paziente; quando quest’ultimo viene affidato, dalla struttura ospedaliera con la quale ha stipulato il contratto, alle cure di un medico, a sua volta legato all’ente da un contratto di lavoro dipendente, sorge un contatto sociale qualificato, ossia un rapporto contrattuale, che non trova fondamento nel contratto in senso formale, ma nella violazione di obblighi basati sul contatto sociale, che lo stesso ordinamento equipara al rapporto contrattuale vero e proprio. Viene così a sorgere la controversa categoria del rapporto obbligatorio di fatto. La Suprema Corte muove dal principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni e dalla formulazione aperta dell’art. 1173 c.c., il quale stabilisce che le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da altri atti o fatti idonei a produrle in conformità all’ordinamento giuridico.
II. L’obbligazione medica: obbligazione di mezzi o risultato
Di responsabilità medica si parla ogni qualvolta il medico risulti inadempiente e quindi non si ritenga abbia correttamente eseguito la propria prestazione nei confronti del paziente. La prima problematica concerne proprio l’adempimento professionale: se questo debba ritenersi un’obbligazione di mezzi o di risultato.
Se per risultato s’intende designare il raggiungimento dello scopo finale per cui la prestazione è stata richiesta, ossia il conseguimento dell’aspirazione del committente, è d’uopo convenire che tale risultato resta al di fuori dell’orbita del contratto d’opera professionale, dipendendo da una serie di circostanze il cui verificarsi non è nel potere del debitore (Cass. 22 marzo 1968, n. 905, in foro.it).
Nel rapporto obbligatorio contratto con il medico, il risultato dovuto non è la guarigione, la quale dipende da situazioni che sfuggono al controllo del medico e che perlopiù può configurarsi come lo scopo, l’obiettivo che il paziente vorrebbe raggiungere rivolgendosi al professionista. Al contrario il medico è tenuto a fare il possibile, servendosi di mezzi tecnici, competenze e professionalità per soddisfare le aspirazioni del paziente.
L’adempimento o meno del medico, quindi, non dipenderà dalla guarigione del paziente, ma dalla corretta prestazione del sanitario, parametrata alla figura della diligenza, concetto elastico che integra non una regola giuridica, bensì una norma- standard, caratterizzata da in contenuto aperto, non rigido ed aderente alla realtà storica (FAVALE, Profili attuali della responsabilità civile medica, in Annali della facoltà giuridica dell’università di Camerino n.2/2013, p. 7).
La diligenza esigibile dal medico nell’adempimento della sua prestazione professionale, pur essendo quella rafforzata (art. 1176 comma 2 c.c.), non è sempre la medesima, ma varia con variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico, e del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare (Cass. 9 ottobre 20120, n. 17143, in Pluris online).
La diligenza deve valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata e non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell’art. 1176 comma 2, c.c., che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all’esercizio della professione e ricomprende pertanto anche la perizia.
III. Responsabilità medica
In seno al sistema della responsabilità medica il legislatore è intervenuto con una disciplina settoriale molto ambigua contenuta nella legge 8 novembre 2012, n. 189, la c.d. Legge Balduzzi. La norma contiene tre diverse direttive: sul piano penale, un’abolitio criminis parziale, qualora l’esercente la professione medica abbia rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate e versi in colpa lieve (Cass. 9 aprile 2013, n. 16237 neldiritto.it).
Sul piano civile, prevede il mantenimento in tali casi della responsabilità civile e la quantificazione del risarcimento da temperarsi tendendo conto della condotta tenuta dal professionista.
Il testo della legge ha sollevato ampie discussioni in merito al regime della responsabilità medica (si veda QUERCI, Le evoluzioni della responsabilità sanitaria, fra riforma Balduzzi e novità giurisprudenziali, in jus civile).
Un primo orientamento vede nella norma la chiara intenzione del legislatore di compiere una brusca inversione di marcia, passando a parlare di responsabilità civile del medico, come di una responsabilità aquiliana e non più contrattuale (si menziona per tutti Trib. Varese 29 novembre 2012, n. 1406, in Danno e responsabilità, 2013, p. 375; Trib. Torino 26 febbraio 2013, in Danno e responsabilità, 2013 p. 373).
Altro orientamento continua a sostenere, invece, che la legge Balduzzi non muterebbe i criteri di imputazione della responsabilità civile del medico. “L’art. 3, comma 1 della legge n. 189/2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura” (Cass. 17 aprile 2014, n. 8940, in foroitaliano.it).
Queste conclusioni della Suprema Corte sono state da ultimo respinte dalla pronuncia del Tribunale di Milano del 17-23 luglio 2014, n. 9693. Si osserva in primo luogo che se la responsabilità civile dell’esercente la professione medica per i danni arrecati ai terzi nello svolgimento della sua attività costituisce comunque pur sempre una responsabilità da “contatto/inadempimento” ex art. 1218 c.c. e quindi una forma di responsabilità contrattuale, risulterebbe errato oltre che superfluo il richiamo all’obbligo risarcitorio di cui all’art. 2043 c.c. Inoltre risulterebbe irragionevole la stessa preoccupazione del legislatore di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità aquiliana all’interno di una responsabilità civile del medico che continuerebbe ad essere contrattuale.
Diversamente, per il Tribunale milanese nell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi, il Parlamento italiano ha voluto limitare la responsabilità dei medici e alleggerire la loro posizione processuale anche attraverso il richiamo all’art. 2043 c.c. Il legislatore ha inteso fornire all’interprete una precisa indicazione nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito, con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termini di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno.
IV. L’obbligo di informativa e consenso informato
La questione attualmente più discussa e dibattuta in tema di responsabilità medica, riguarda senza dubbio l’obbligo informativo. L’obbligo del sanitario di acquisire preventivamente il consenso consapevolmente prestato dal paziente trova fondamento diretto nelle norme costituzionali di cui agli artt. 13 e 32 Cost. Il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost. che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost. (Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438 in cortecostituzionale.it).
Il Consenso informato rappresenta il punto di intersecazione fra i due diritti fondamentali di autodeterminazione e della salute, per questo un trattamento sanitario privo di consenso informato costituisce un illecito. Il contenuto dell’obbligo di informazione deve essere il più possibile analitico e personalizzato per consentire una reale autodeterminazione nella scelta del trattamento da parte del paziente. Di conseguenza l’obbligo di informare il paziente non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale, ma comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici dello stato di salute del paziente, e quindi anche i rischi meno probabili, purché non del tutto anomali, in modo da consentirgli di capire non solo il suo attuale stato, ma anche le eventuali malattie che possono svilupparsi, le percentuali di esito fausto ed infausto delle stesse, nonché il programma diagnostico per seguire l’evoluzione delle condizioni del paziente e l’indicazione delle strutture specializzate ove svolgerlo, ovvero di specialisti per formularlo, pur se a tal fine il paziente si deve allontanare dal luogo ove è in cura (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2354, in Pluris online).
Come precedentemente esposto, la Corte di legittimità ha ritenuto che la legge Balduzzi non escluda la configurabilità della responsabilità medica in termini contrattualistici (CARBONE, La responsabilità del medico pubblico dopo la legge Balduzzi, in Danno e responsabilità, 2013 p. 378).
In proposito occorre sottolineare che proprio la configurazione del dovere informativo del medico in termini di obbligazione contrattuale è stato uno dei pilastri sui quali la giurisprudenza ha costruito ed affinato, nel tempo, la fattispecie del danno da “omesso consenso informato”, per cui quello gravante sul medico è un obbligo contrattuale, in quanto funzionale al corretto adempimento della prestazione professionale, pur essendo autonomo da esso (CALLIPARI, Il consenso informato nel contratto di assistenza sanitaria, Milano, 2012, p. 128; BORRETTA, Responsabilità medica da omesso o insufficiente consenso informato e onere della prova, in Resp. Civ. e Prev. 2014, p. 906).
Si tratta quindi di un’obbligazione tipica del contratto stipulato dalla struttura sanitaria ovvero di un obbligo comunque inerente a quel contatto sociale che la giurisprudenza pone a fondamento delle obbligazioni che gravano sul medico operante in quest’ultima, secondo un orientamento ormai univoco (MIOTTO, La struttura dei danni da omissione del consenso informato, in Diritto civile contemporaneo, 2015).
La giurisprudenza qualifica in termini di inadempimento contrattuale l’omessa acquisizione del consenso del paziente ovvero l’acquisizione di un consenso viziato da un’informazione insufficiente, così gravando sul paziente stesso, in quanto parte adempiente, il solo onere di allegarlo ed onerando il medico della prova contraria, in merito al fatto di aver invece esattamente adempiuto all’anzidetta obbligazione. Ciò ovviamente non esclude che il paziente danneggiato possa agire nei riguardi del medico e della struttura anche a titolo di responsabilità aquiliana.
Sebbene il danno da omesso consenso informato sia suscettibile di produrre pregiudizi di natura patrimoniale, esso sarà anzitutto ed immancabilmente di natura non patrimoniale e risulterà capace di ledere non solo il diritto di autodeterminazione terapeutica del paziente, ma anche quello alla salute. Ciò vuol dire che data la plurioffensività dell’inadempimento, il fatto che quest’ultimo non abbia leso il diritto alla salute non esclude che possa aver pregiudicato il diritto all’autodeterminazione terapeutica, facendo nascere in capo al medico pur sempre un obbligo risarcitorio nei confronti del paziente. Da ciò si deduce che a far sorgere la responsabilità civile del medico non è l’aver effettuato l’attività medica in modo imperito, negligente o imprudente, ma di averlo fatto in assenza del consenso informato, per cui in difetto di consenso informato da parte del paziente, l’intervento terapeutico costituisce un illecito, sicché il medico risponde delle conseguenze negative che ne siano derivate quand’anche abbia correttamente eseguito quella prestazione (IADECOLA, in IADECOLA e BONA, La responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie, profili penali e civili, Milano, 2009, p. 11).
Il fatto che il danno alla salute, in termini di peggioramento dello stato psico-fisico del paziente, sia solo eventuale sottolinea come, in realtà, esso non rappresenti affatto l’evento dannoso della fattispecie, bensì una delle possibili conseguenze pregiudizievoli e come tale meramente eventuale (MIOTTO, La struttura del danno da omissione del consenso informato, in Diritto civile Contemporaneo, 2015).
Ciò si ripercuote sul regime probatorio, dove nell’ambito della responsabilità contrattuale, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del professionista, restando a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento (Cass. 20 ottobre 2014, n. 22222, in Giust. Civ. Mass. 2014).
Graverà, invece, sul paziente l’onere di allegare e provare il peggioramento del suo stato di salute, in quanto, benché il creditore della prestazione, in caso di inadempimento contrattuale, non sia gravato dall’onere di provare quest’ultimo, egli è pur sempre onerato della prova del danno e del nesso causale fra inadempimento ed evento dannoso (Cass. 14 giungo 2011, n. 12961, in Resp. Civ. e Prev. 2011, con nota MIOTTO).
Analogamente avverrà per i danni conseguenza derivanti dalla lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica.
Altra questione di non poca importanza concerne proprio il nesso causale tra attività omissiva del medico per non aver informato il paziente ed esecuzione dell’intervento, al fine di stabilire se la condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta. Al fine di poter eseguire con esito positivo una simile valutazione deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato il trattamento ove fosse stato compiutamente informato, giacché altrimenti la condotta positiva omessa dal medico non avrebbe comunque evitato l’evento (Cass. 12 giugno 2015, n. 12205, in foroitaliano.it).
Anche i danni conseguenza inerenti alla lesione del diritto all’autodeterminazione vanno espunti dal novero dei danni risarcibili, al pari di quelli pertinenti alla lesione del diritto alla salute: mancando il nesso causale, nessun pregiudizio potrà essere risarcito.
V. Conclusioni
In conclusione il medico è tenuto nei confronti del paziente ad adempiere in modo diligente alla propria obbligazione al fine di aspirare alla guarigione o per lo meno al miglioramento dello stato di salute dello stesso. Egli, nell’adempiere al proprio dovere è tenuto ad osservare l’obbligo informativo che gli viene imposto dalla legge, al fine di tutelare il diritto di autodeterminazione ed il diritto alla salute del paziente, il quale dovrà dare il proprio consenso informato alla terapia. In assenza del necessario consenso informato del paziente, il medico, indipendentemente dalla correttezza, diligenza, prudenza e perizia adottata nello svolgere l’attività medica, risponderà per lo scorretto adempimento, in quanto suscettibile di ledere tanto il bene giuridico dell’autodeterminazione terapeutica, quanto quello della salute, beni questi oggetto di autonomi diritti costituzionalmente tutelati.
Una volta realizzatosi l’inadempimento, risulteranno risarcibili tutti i danni conseguenza che il danneggiato stesso abbia allegato e provato, senza che l’assenza di un danno alla salute pregiudichi la risarcibilità dei pregiudizi arrecati all’autodeterminazione terapeutica.
Dott.ssa Francesca Timpani