Tribunale di Catania
9 luglio 2019
Giudice Maria Ivana Cardillo
Massima:
Il dolo del concorso nel reato di cui all’art. 73 T.U. in materia di sostanza stupefacente quale successiva adesione al progetto illecito altrui non è escluso dalla domanda:”che facciamo” rivolta ad uno dei concorrente e formulata dall’indagato subito dopo aver prestato un contributo materiale volontario e consapevole all’attività criminosa degli altri, evidenziando, piuttosto, la domanda stessa, un mero dubbio emerso successivamente al compimento dell’azione illecita non seguito da una successiva, decisa reazione finalizzata a far rilevare il proprio fermo distacco dall’attività criminale già posta in essere e, pertanto, di per sé non idoneo, in quanto tale, ad impedire di ritenere sussistente il dolo richiesto per il perfezionamento della fattispecie contestata (nella fattispecie in esame l’indagato Stojanovic Savo, capo macchinista di una moto nave inizialmente battente bandiera olandese, dopo aver contribuito a sistemare nella stiva diversi pacchi contenenti 10 tonnellate di marijuana caricati a largo da alcuni gommoni che si erano affiancati notte tempo alla nave stessa, rivolgendosi al Comandante, anch’egli consapevole dell’illiceità del progetto criminoso, chiedeva:”che facciamo” senza far seguire alla domanda alcuna reazione decisa di distacco dall’attività criminosa e senza aiutare in alcun modo i militari della Guardia di finanza successivamente intervenuti all’interno dell’imbarcazione alla ricerca della droga).
MOTIVI DELLA DECISIONE
- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 12 luglio 2018 veniva emesso decreto di giudizio immediato nei confronti, tra gli altri, degli odierni imputati per i reati agli stessi rispettivamente ascritti e riportati in rubrica.
Con istanza del 15 settembre 2018 i difensori di Stojanovic Savo, muniti di procura speciale, chiedevano ammettersi rito abbreviato condizionato all’acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico generato dal dispositivo mobile dell’imputato nonché esiti dell’indagine tecnica relativa all’acquisizione della copia forense dei dati informatici da estrapolare dal pc e dal telefono cellulare di proprietà dell’imputato relativi alle modalità di ingaggio sulla nave ed ai contatti intercorsi con i familiari dell’imputato; inoltre i predetti difensori prducevano in pari data consulenza tecnica di parte dell’ing. XX avente ad oggetto i rilievi effettuati sull’imbarcazione sequestrata e i verbali delle investigazioni suppletive effettuate in data 26.06.2018; con istanze dei successivi 14 e 18 settembre i difensori di Omississ, Omississ e Omississ chiedevano il rito abbreviato subordinandolo alla produzione dei carichi pendenti e dei precedenti penali degli imputati; il difensore di Omississmunito di procura speciale chiedeva il rito abbreviato “secco”.
All’udienza del 13 febbraio 2019 il Giudice ammetteva il giudizio abbreviato secco richiesto e gli imputati rilasciavano dichiarazioni spontanee.
All’udienza del 19 giugno 2019 i difensori di omississ chiedevano l’acquisizione dei libri giornale e libro macchine della nave ritenuta necessaria alla luce delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato nel corso dell’udienza. Il giudice rigettava l’istanza per le motivazioni espresse nel verbale e disponeva l’acquisizione degli esiti delle analisi tossicologiche sulla sostanza stupefacente sequestrata ritenuta necessaria per valutare la sussistenza (o meno) dell’aggravante contestata di cui all’art. 80 T.U. in materia di sostanza stupefacente; Omississ depositava una lettera scritta di proprio pugno; il P.M. ed i Difensori rassegnavano le conclusioni ed il giudice rinviava per repliche all’udienza del 3 luglio 2019.
In quest’ultima udienza il P.M. replicava ed il giudice rinviava all’udienza del 9 luglio 2019 per consentire ai difensori repliche ed emettere la sentenza di cui in dispositivo.
- PROFILI GIURIDICI INERENTI LE FATTISPECIE DI REATO E LE AGGRAVANTI IN CONTESTAZIONE
Prima di passare all’analisi del compendio probatorio acquisito, appare opportuno effettuare alcune brevi considerazioni di carattere generale volte ad individuare gli elementi strutturali che devono ricorrere per la configurabilità, in concreto, della fattispecie concorsuale nei reati in contestazione nonchè delle aggravanti contestate (quella di cui all’ art. 4 L. n.146/2006 e quella ex art. 80 D.P.R. n. 309/90) ed i criteri di valutazione del materiale probatorio a disposizione del giudice richiamandosi questo giudice, in quanto condiviso in toto, in relazione al profilo della sussistenza della giurisdizione italiana nella vicenda in esame, a quanto ritenuto nell’ordinanza del gip di convalida degli arresti e di applicazione della misura cautelare custodiale e nel provvedimento del Tribunale del riesame che ha confermato la relativa decisione.
2.1. Il concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p.
Rileva in punto di diritto questo giudice come, in relazione alla sussistenza del concorso di persone nel reato, “se non occorre la prova di un previo concerto tra i concorrenti, è necessario, nondimeno, dimostrare che ciascuno di essi abbia agito per una finalità unitaria con la consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e con la volontà di agire in comune. Inoltre, nel caso in cui taluno abbia deciso di subentrare in un progetto criminoso da altri intrapreso, è necessaria una più attenta motivazione del giudice di merito in ordine al dolo di partecipazione, occorrendo la dimostrazione che il subentrante conoscesse quanto già realizzato dai singoli compartecipi, quanto fosse ancora da realizzare e quali fossero i compiti specifici di ciascuno (così, Cass. pen. , sez. VI , 21/01/2003 , n. 25705).
Ancora, con specifico riferimento alla detenzione di sostanze stupefacenti ”….il contributo non meramente passivo che si richiede ai fini della configurabilità del concorso deve ritenersi soddisfatto qualora sia consentita la conservazione dello stupefacente al fine di evitare che lo stesso venga rinvenuto e, quindi, a protrarre l’illegittima detenzione….” essendo sufficiente, per la configurazione del concorso,“….la partecipazione all’altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno…”(così, Cass. pen., sez. VI, 20/05/1998, n.9986 e Corte appello , Roma , sez. III , 22/06/2017 , n. 4677).
Quanto all’accertamento del dolo, ritiene questo giudice che la difficoltà di provare un elemento di fattispecie che appartiene alla realtà interiore dell’agente, renda necessario che l’indagine psicologica sia ancorata al solido fondamento delle modalità estrinseche ed obiettive del fatto, valutate secondo una serie di regole di esperienza, la conformità alle quali (in mancanza di dati da cui inferire che, nel caso concreto, la dinamica volitiva non si è ad esse adeguata) è sufficiente per ritenere dimostrato il fatto psicologico da provare.
Dimostrare il dolo significa, quindi, inferire da dati esterni conclusivi e alla luce di appropriate massime di esperienza, un comportamento psicologico o interno; con la conseguenza che solo ove si profili un elemento, da cui possa dedursi la rottura della consequenzialità tra fatto esterno, massima di esperienza e fatto psichico da provare, sarà possibile affermare la mancanza della volizione del fatto materialmente posto in essere.
2.2 L’AGGRAVANTE EX ART. 80 D.P.R. N. 309/90
In ordine all’aggravante in disamina va detto che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 36258 del 24 maggio 2012 – collocandosi sulla linea di standard ponderali (due chili per le droghe pesanti e cinquanta chili per quelle leggere) indicata dalla giurisprudenza della 6^ Sezione Penale – hanno evidenziato che l’aggravante della ingente quantità non è di norma ravvisabile “quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata” ; orientamento questo che è stato confermato da ulteriori arresti (Cass. sez. 4^, 20 dicembre 2012 -8 febbraio 2013 n. 6369; Cass. sez. 5^, 10 gennaio 2013 n. 10961; Cass. sez. 4^, 19 novembre 2013 n. 46764; Cassazione penale, sez. VI, 14/11/2014, n. 47907 secondo cui:”Ai fini della determinazione della quantità ingente di sostanza stupefacente (art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), per effetto dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi dell’art. 75 comma 1 bis d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, di conversione, con modificazioni, del d.l. 20 marzo 2014 n. 36, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, secondo i principi già espressi dalla sentenza delle sezioni Unite, 24 maggio 2012”).
Più di recente, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti del tipo “hashish”, l’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è inferiore a 4000 volte (e non 2000) il valore massimo in milligrammi (valore – soglia), determinato per detta sostanza nella predetta tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata. (In motivazione la Corte ha chiarito che l’applicazione di tale moltiplicatore si rende necessaria al fine di rispettare le proporzioni e rendere omogeneo il principio affermato dalle Sezioni unite penali con la sentenza n. 36258 del 2012 agli effetti dell’annullamento del d.m. 4 agosto 2006, che, con riferimento alle cd. <<droghe leggere>> aveva innalzato il quantitativo massimo giornaliero di principio attivo detenibile, previsto dal d.m. 11 aprile 2006, nella misura di 1000,00 mg., ed alla conseguente reintroduzione del limite previgente pari a 500 mg.) (Cassazione penale, sez. VI, 13/07/2017, n. 36209; principi, questi, ribaditi da ultimo da Cass. pen. sez. IV, 19/07/2018, n.49366).
Il che sta dunque evidentemente a significare che il dato probatorio atto a sostenere la configurabilità della aggravante in questione deve volgersi ad asseverare almeno il raggiungimento della soglia “minima” per ogni singolo episodio di violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.
2.3 L’AGGRAVANTE EX ART. 4 L. n.146/2006.
In punto di diritto, si è osservato che “ai fini della sussistenza dell’aggravante della transnazionalità di cui all’art. 4 della legge 16 marzo 2006 n. 146, il gruppo criminale organizzato, con il cui contributo il reato deve essere commesso, si identifica in un insieme di persone legate da rapporti stabili che abbia costituito un’organizzazione autonoma, anche minimale e priva di una formale definizione di ruoli, sebbene non occasionale ed estemporanea, impegnata in attività criminali in più di uno Stato”( cfr. Cass. Pen., sez. 5, sent. n. 8892 del 22/12/2014, Rv. 263420) ed, ancora, “la speciale aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della l. n. 146/2006, è applicabile al reato associativo, semprechè il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l’associazione a delinquere” (cfr. Cass. Pen., sez. U. sent. n. 18374 del 31.1.2013, Rv. 255035).
Più di recente secondo la Suprema Corte “la circostanza aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della legge 16 marzo 2006, n. 146, può applicarsi ai reati-fine consumati dai sodali di un’associazione per delinquere anche in caso di immedesimazione tra tale associazione e il gruppo criminale organizzato transnazionale” (così, Cassazione penale sez. V, 17/11/2016, n.7641).
In particolare, afferma la Cassazione che “come ben illustrato dalla Sezioni Unite, la L. n. 146 del 2006 ha introdotto la transazionalità non come “elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie delittuosa, destinata ad incrementare il già cospicuo novero di illeciti dell’universo penale. Si tratta invece di una peculiare modalità di espressione, o predicato, riferibile a qualsivoglia delitto (con esclusione, quindi, delle contravvenzioni) a condizione che lo stesso, sia per ragioni oggettive sia per la sua riferibilità alla sfera di azione di un gruppo organizzato operante in più di uno stato, assuma una proiezione transfontaliera”….Tale circostanza aggravante può quindi ben applicarsi anche ai reati-fine commessi dai sodali di un’associazione a delinquere ex art. 416 c.p. allorquando tale associazione si connoti quale “gruppo criminale organizzato” operante in più Stati esteri e fornisca un apporto causalmente rilevante, in chiave di causalità materiale, alla perpetrazione di tali reati…. A questo punto, può esaminarsi la (seconda) questione se sia applicabile la predetta circostanza aggravante al reato-fine nella misura in cui, secondo l’imputazione, sia ritenuto che abbiano concorso alla sua commissione i medesimi soggetti componenti del gruppo criminale organizzato (coincidente con l’associazione per delinquere), operante in più di uno stato. Anche la risposta a tale quesito deve essere affermativa…In proposito, va osservato che, in linea di principio, non può sussistere alcuna incompatibilità sotto il profilo ontologico, tra l’assumere la qualità di componenti del gruppo criminale organizzato (così come la qualità di associati ex art. 416 c.p.) e quella di concorrenti ex art. 110 c.p. nel reato-fine. Sul punto, ancora una volta è assai significativa la riflessione del Supremo Collegio nella sentenza n. 18374/13 secondo cui “in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe rivestito da taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sè sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, giacchè dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato”. Dunque, la circostanza che, nel caso di specie, la pubblica accusa abbia contestato il reato-fine in concorso agli stessi soggetti costituenti i partecipi dell’associazione a delinquere nonchè (ai fini dell’aggravante) componenti del gruppo criminale organizzato transnazionale non ha nessuna rilevanza ai fini dell’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 4 legge citata…” .
Analogamente si era espressa la giurisprudenza di legittimità in sentenze meno recenti (così Cass.pen. sez. VI, 18/11/2015, n.47217 secondo cui ”la circostanza aggravante speciale della transnazionalità prevista dall’art. 4 l. 16 marzo 2006 n. 146 può applicarsi anche ai reati fine consumati, integralmente o in parte, da appartenenti a un’associazione per delinquere pur se rispetto a quest’ultima l’aggravante non sia configurabile identificandosi il gruppo criminale transnazionale con tale associazione (sezioni Unite, 31 gennaio 2013, A.); conforme Cass. pen. sez. VI, 18/11/2015, n.47217 secondo cui “l’aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 l. 16 marzo 2006 n. 146, ancorché sia stata esclusa con riguardo ad un reato associativo, ben può essere riconosciuta con riguardo ai reati – fine che siano stati commessi nel territorio di più Stati, in attuazione del programma del medesimo sodalizio criminoso”).
Tutto ciò posto in ordine alla compatibilità dell’aggravante della transnazionalità con i reati – fine consumati nel contesto programmatico, o con l’apporto, di un gruppo organizzativo criminale transnazionale che sia anche associazione per delinquere, quanto alla configurabilità in concreto dell’aggravante, afferma Cass. pen. sez. III, 19/04/2016, n.23896 che “ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4 della legge n. 146 del 2006, è necessario che alla consumazione del reato transnazionale contribuisca consapevolmente un gruppo criminale organizzato, che sussiste in presenza della stabilità dei rapporti fra gli adepti, di una organizzazione seppur minimale, della non occasionalità o estemporaneità della stessa, e della finalizzazione alla realizzazione anche di un solo reato e al conseguimento di un vantaggio finanziario o comunque materiale. (Fattispecie in tema di traffico internazionale di stupefacenti in cui la S.C. ha riconosciuto l’aggravante nel fatto che il trasporto aereo della droga dal Sudamerica era stabilmente pianificato dallo stesso gruppo di soggetti in contatto costante con l’imputato, i quali avevano il compito di farla transitare, prima dell’arrivo in Italia, presso Paesi terzi al fine di vanificare le attività investigative).
Tanto posto in punto di diritto, ritiene questo Decidente che per quanto sopra esposto e per quanto si dirà sulla rilevanza penale di ciascun contributo nei paragrafi relativi alle posizioni dei singoli imputati, ritiene questo giudice che sussista l’aggravante contestata in quanto è evidente come i soggetti stranieri coinvolti nella vicenda, trafficanti di droga che rifornivano lo stupefacente tramite gommoni al largo dell’Algeria a soggetti di diversa nazionalità, imbarcati su un natante proveniente da Malta e diretto verso diversi paesi stranieri, avessero effettivi rapporti tra loro di natura tale da agire in maniera coordinata ed organizzata per realizzare finalità illecite proprie di un sodalizio deputato al traffico internazionale di marijuana su vasta scala e che senza l’appoggio di strutture e persone operanti in più Stati non sarebbe stata possibile la commissione del reato di cui al suindicato capo d’imputazione.
- PROFILI GIURIDICI INERENTI IL MATERIALE PROBATORIO
Gli elementi probatori posti a fondamento della decisione sono stati tratti da questo Decidente dai servizi di osservazione, dai sequestri della sostanza stupefacente, dagli arresti in flagranza e dalle dichiarazioni rese dai coimputati anche in procedimento connesso al presente.
Del contenuto e del tenore di essi si darà, ovviamente, contezza nel prosieguo della trattazione laddove verranno esaminati i fatti di cui ai singoli capi d’imputazione.
Tuttavia, preliminarmente, pare opportuno evidenziare i criteri di metodo seguiti da questo Giudice nella disamina delle risultanze processuali offerte dall’Ufficio del P.M. al fine di dimostrare la fondatezza dell’assunto accusatorio affrontando le questioni sollevate dai difensori degli imputati nel corso del processo e nell’arringa difensiva.
3.1) Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 c.p.p. o imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371, comma 2, lett. b) c.p.p.: criteri di valutazione di cui all’articolo 192, commi 3 e 4, c.p.p.; la regola di giudizio:”al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Quanto al valore probatorio di chiamate in reità o in correità, anche reciproche ed incrociate, in forza dei commi terzo e quarto dell’articolo 192 c.p.p. devono essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso, a norma dell’articolo 12 c.p., ovvero rese da soggetto imputato di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371, comma 2, lett. b), c.p.p.
Le regole in oggetto ineriscono la valutazione della prova e per tale motivo nessuna di esse è assistita da sanzioni di nullità, inammissibilità o inutilizzabilità ma possono rilevare in termini di carenza motivazionale.
Circa il procedimento logico-giuridico della valutazione in oggetto occorre in primo luogo affrontare il profilo della “credibilità del dichiarante”, sia esso confitente o accusatore.
La detta credibilità deve essere vagliata in relazione anche alla personalità del dichiarante, alle sue condizioni economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con l’accusato nonché alla genesi remota o prossima della sua risoluzione ed alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione o all’accusa a carico dei coautori o di altri soggetti.
In forza anche di consolidati criteri giurisprudenziali, la detta “attendibilità intrinseca” è argomentabile anche dalla provenienza delle dichiarazioni da soggetto a conoscenza della verità in quanto in ipotesi abbia concorso nella consumazione dei fatti delittuosi in oggetto o, quanto meno, abbia fatto parte del “contesto criminale di riferimento.
Agli stessi fini rileva il disinteresse che caratterizza il dichiarante ed in particolare l’assenza di motivi di astio o di odio.
La “credibilità intrinseca” del dichiarante non deve essere verificata attraverso discutibili scelte di vita dallo stesso manifestate, in ipotesi posteriormente alla sua narrazione, bensì tramite la ricerca dell’esistenza dei detti indici rilevatori che prescindono da comportamenti successivi all’eventuale scelta di dichiarare posti in essere dallo stesso soggetto.
Sicché, un apprezzamento negativo della personalità del dichiarante non vale di per sé ad escluderne la credibilità intrinseca. Allo stesso modo una valutazione positiva del dichiarante e della sua affidabilità già sperimentata non esime dalla verifica in rapporto ad ogni singola attribuzione di responsabilità.
In secondo luogo, in ordine logico, occorre valutare l’“attendibilità delle dichiarazioni” rese verificandone l’intrinseca coerenza e consistenza e le caratteristiche.
Tra i criteri della detta verifica rilevano la spontaneità, l’autonomia, la precisione e la completezza della narrazione dei fatti, in ipotesi anche con riferimento alla ricchezza dei dettagli, nonché la coerenza e la costanza con riferimento all’oggetto della prova ed in particolare in merito al nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere.
L’autonomia deve essere in particolare intesa anche come assenza di reciproca conoscenza delle dichiarazioni rese da più dichiaranti mentre l’elemento della coerenza è costituito anche dalla ricchezza dei contenuti descrittivi dei racconti resi, tale da portare ad escludere che gli stessi siano frutto di invenzioni.
All’esito dei due positivi giudizi, ed al fine della necessaria conferma di attendibilità, devono essere individuati ed esaminati “riscontri esterni” necessariamente oggettivi, soggettivi ed individualizzanti in quanto tali da riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte.
Solo successivamente è dato procedere ad una valutazione unitaria della “chiamata” e dei detti “elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” per far assurgere le dichiarazioni in oggetto a valore di mezzo di prova e non di mero indizio, ai sensi del citato articolo 192 c.p.p..
La dichiarazione in esame, pertanto, è idonea a costituire oggettivo sostegno del libero convincimento del Giudice se suffragata da altri, estrinseci, elementi o dati probatori di qualsivoglia tipo o natura.
Il riscontro non deve necessariamente consistere in una prova distinta di colpevolezza, che renderebbe superflua la verifica dell’accusa, potendo essere individuato in elementi fattuali e logici che ne dimostrino per taluni effetti la veridicità e, integrandosi con le dichiarazioni in oggetto, ne garantiscano l’attendibilità anche estrinseca.
Il detto riscontro, rappresentativo o logico, deve essere quindi dotato di consistenza tale da resistere agli elementi contrari dedotti dall’imputato ed in tal senso può essere considerata anche l’ulteriore “chiamata”.
In tale ultimo caso è necessario che l’ulteriore chiamata di correo che funga da riscontro, in ipotesi anche “reciproco”, sia dotata di propria efficacia probatoria e capacità sinergica nell’incrocio con le altre.
Di talché, l’affermazione di responsabilità può essere fondata sulla valutazione unitaria di una pluralità di chiamate convergenti sempre che non siano frutto di collusioni o di intenti calunniatori (così, Cass. pen. , sez. VI , 06/02/1997 , n. 474 secondo cui “Anche una pluralità di dichiarazioni di correi, tutte fra loro coincidenti, può essere ritenuta idonea a confermare l’attendibilità dell’accusa formulata da uno dei coimputati. La sufficienza e l’idoneità delle c.d. “chiamate di correo incrociate” debbono però ritenersi subordinate all’avvenuto accertamento non solo della loro attendibilità intrinseca, ma anche della coincidenza del loro contenuto e della loro autonomia, così da escludere il dubbio di reciproche influenze e di un successivo allineamento di dettagli, in origine divergenti in ognuna di esse. Deve, dunque, essere garantito anche l’effettivo rispetto del pur valido principio che l’attendibilità intrinseca di una chiamata in correità non può essere desunta che dalla spontaneità e dalla costanza di essa, elementi che debbono formare oggetto di accurata analisi da parte del giudice del merito”); Cass. pen. , sez. III , 18/02/1993 secondo cui:”Le dichiarazioni accusatorie di un coimputato acquisiscono valore probatorio unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità. A tal fine non è necessario che la conferma venga da elementi di natura diversa potendo provenire anche dalle dichiarazioni di altri coimputati”); Cass. pen. sez. I, 25/06/1990 secondo cui “il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso necessitano di un riscontro esterno, la cui natura e specie non sono predeterminabili, ma la funzione di esso non può essere mai quella di fornire la prova della verità del fatto da dimostrare, bensì solo quella di dimostrare che il coimputato, in relazione a circostanze non marginali concernenti il destinatario delle dichiarazioni accusatorie, ha detto la verità. Non può pertanto escludersi, in via di principio che, in presenza di date condizioni, anche una pluralità di dichiarazioni di correi, tutte tra loro coincidenti, possano esser ritenute idonee a confermare l’attendibilità dell’accusa formulata dal coimputato. Deve però essere certo che i coimputati abbiano detto la verità e perché ciò possa affermarsi, appare indispensabile che il giudizio di attendibilità intrinseca di ogni chiamata sia particolarmente severo e scrupoloso, in modo da allontanare ogni possibile dubbio di reciproche influenze e di progressivo allineamento dei dettagli originariamente divergenti di ciascuna di esse. Deve, cioè, essere garantito l’effettivo rispetto del principio, tuttora valido, che l’attendibilità intrinseca non può essere desunta da altro che dalla presenza dei requisiti del disinteresse, dalla spontaneità e dalla costanza: elementi, questi ultimi, che debbono formare oggetto di analisi particolarmente accurata da parte del giudice di merito, il quale tra l’altro, deve dare conto nella motivazione, dei criteri seguiti e delle scelte adottate).
Il requisito della cosiddetta “convergenza del molteplice” non deve essere inteso in termini di piena sovrapponibilità, che potrebbe essere in ipotesi anche sospetta, ma come concorrenza dei momenti essenziali delle stesse dichiarazioni in riferimento al nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere.
Deve quindi privilegiarsi l’aspetto sostanziale della “concordanza del molteplice” che deve comunque essere sufficientemente individualizzante e deve riguardare direttamente sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni attribuitegli.
Sicché, le plurime dichiarazioni accusatorie per poter essere reciprocamente confermate devono mostrarsi convergenti, in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione, specifiche, ossia sufficientemente individualizzanti, oltre che indipendenti in quanto non derivanti da intese fraudolente, da suggestioni o da condizionamenti che possano inficiare la concordanza.
Nei termini di cui innanzi devono difatti essere lette e valutate le cosiddette “divergenze inevitabili”, la mancanza di “specifiche indicazioni su particolari” e la mera “defaillance mnemonica” tali comunque da non intaccare il nucleo essenziale del racconto.
Trattasi di divergenze e mancanze in ipotesi legate a molteplici fattori tra i quali l’abilità di chi pone le domande, specie se esse sono suggestive, la capacità di sintesi e di espressione del singolo soggetto, l’ampiezza e la completezza delle notizie apprese dalle fonti de relato, il calo di attenzione in chi risponde, la capacità di ricordare nonché il richiamo di un particolare che sollecita altri ricordi sopiti.
Premesso il passaggio logico-giuridico dalla verifica della “credibilità intrinseca” del dichiarante a quella dell’“attendibilità delle dichiarazioni” ed alla successiva “riscontrablità estrinseca” come evidenziato necessita procedere ad una valutazione unitaria della “chiamata” e dei detti “elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” per far assurgere le dichiarazioni in oggetto a valore di mezzo di prova e non di mero indizio, ai sensi del citato articolo 192 c.p.p..
Le valutazioni di cui innanzi quindi non possono prescindere anche da una considerazione complessiva dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca e dei riscontri.
Gli indici di valutazione sono difatti funzionali a fondare un giudizio complessivo e al contempo relativo alle circostanze del caso concreto sicché necessita quel minimo di flessibilità di valutazione al fine di rendere possibile il concretizzarsi dei principi nei singoli casi concreti.
Non è quindi richiesta una rigida “convergenza del molteplice” in quanto la valutazione delle chiamate deve essere effettuata caso per caso, con un prudente grado di flessibilità, e tenendo in debito conto sia la solidità della riconosciuta attendibilità intrinseca delle stesse sia la loro compatibilità all’interno dell’intero quadro probatorio acquisito.
All’esito del detto procedimento sarà difatti possibile verificare l’autosufficienza delle chiamate, nel senso che l’una costituisce riscontro anche individualizzante dell’altra, ovvero se per assurgere a prova sia necessario un ulteriore elemento confermativo esterno tale da riferire il fatto al chiamato.
La menzionata esigenza di una valutazione complessiva rileva anche sotto altri aspetti.
Essendo imposta una valutazione unitaria dei due detti aspetti, ancorché logicamente scomponibili, della “credibilità soggettiva” del dichiarante e dell’“attendibilità oggettiva” delle sue dichiarazioni in presenza di elementi incerti in ordine all’attendibilità del racconto deve essere vagliata la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, salvo in caso estremo di una sicura inattendibilità del dichiarato.
Il convincimento del Giudice deve difatti formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo.
Trova difatti applicazione anche il principio della “valutazione frazionata” delle dichiarazioni accusatorie con possibile attribuzione di piena attendibilità e valenza probatoria a tutte e solo quelle parti di esse che risultino suffragate da idonei elementi di riscontro.
Per l’operatività del detto principio di frazionabilità non deve comunque sussistere una insanabile interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti.
Importante in questo senso la recente pronuncia della Suprema Corte, Cass. pen. sez. I, 27/04/2017, n.18018, secondo cui “in tema di valutazione della chiamata in correità, vale il principio di “frazionabilità” delle dichiarazioni accusatorie rese dalla stessa persona, nel senso che l’esclusione dell’attendibilità di una parte del racconto non implica di per sé un giudizio di inattendibilità con riferimento alle altre parti del medesimo racconto che risultino intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, ma ciò a condizione, da un lato, che non sussista interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa (o comunque inattendibile) e le rimanenti parti del racconto, e, dall’altro, che l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante. Per l’effetto, l’applicazione del principio della valutazione “frazionata” esige la puntuale spiegazione, da parte del giudice di merito, delle ragioni (rappresentate, per esempio, dalla complessità dei fatti, dal tempo trascorso dal loro accadimento, dalla volontà del dichiarante di non coinvolgere nel reato un prossimo congiunto o una persona a lui legata da vincoli affettivi o amicali) per le quali la parte della narrazione che è risultata smentita non è idonea a inficiare il giudizio positivo sulla credibilità soggettiva del dichiarante, che costituisce il primo e fondamentale momento valutativo della affidabilità della fonte di prova”.
Infine, “in tema di prova, ai fini dell’affermazione della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio la chiamata di correo esige, oltre alla valutazione in ordine alla sua estrinseca attendibilità del dichiarante (avuto riguardo, in primo luogo, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi remota e prossima della scelta processuale da lui compiuta; in secondo luogo, alle caratteristiche delle dichiarazioni accusatorie, sotto il profilo della loro precisione, coerenza, costanza e spontaneità), riscontri estrinseci a carattere individualizzante, cioè riguardanti direttamente l’incolpato, dotati di idoneità dimostrativa in relazione non soltanto al fatto reato contestato ma anche all’attribuzione dello stesso alla persona del chiamato, mentre non è richiesto detti riscontri abbiano natura di prova “autosufficiente” (così, Cass. pen. , sez. VI , 11/07/2018 , n. 45733).
Affinché la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio sia rispettata occorre che il reato sia attribuibile all’imputato con un alto grado di credibilità razionale: le ipotesi alternative devono dunque risultare prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (fattispecie relativa ad un sinistro in cui l’imputato non si era fermato per prestare soccorso)” (così, Cass. pen. , sez. IV , 03/05/2016 , n. 41968).
“In tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di assoluzione dall’imputazione di omicidio per strangolamento, pronunciata in appello in riforma della sentenza di primo grado, sulla base di una rivalutazione complessiva di una serie di dati tanatologici che risultavano compatibili unicamente con la morte per impiccagione)” (così, Cass. pen. sez. I, 12/04/2016, n.20461).
- La genesi del procedimento e le dichiarazioni rese dagli imputati.
In data 2.6.2018 verso le ore 18,30 ufficiali appartenenti alla Guardia di Finanza – Nucleo Polizia Economica Finanziaria di Palermo ponevano in stato di arresto gli odierni imputati (unitamente agli altri sopra indicati per i quali si è proceduto separatamente) sulla base dei fatti di seguito esposti.
Nell’ambito di un’attività di analisi delle fonti informatiche aperte (sito web “Vessel Finder”), condotta dal Gruppo Aeronavale di Messina a partire dal 27 maggio 2018, emergevano elementi di potenziale interesse investigativo relativi all’imbarcazione “M/Y QUEST” e ciò in ragione dell’anomalia dell’itinerario seguito.
In particolare, lo studio del percorso effettuato dalla “M/Y QUEST” evidenziava che la stessa fosse partita in data 22 maggio dal porto di La Valletta (Malta) e che, prima di intraprendere tale navigazione, la nave risultava fare riferimento ad uno Stato di bandiera diverso da quello olandese, poi verificato. Inoltre l’imbarcazione dichiarava inizialmente, quale porto di destinazione, “GHAZA”, ragionevolmente identificabile nel porto di “GHAZAOUET” – Algeria, per poi modificare, a seguito della drastica riduzione della velocità e della conseguente inversione di rotta, il porto di destinazione, indicando “ALEXANDIA” da identificare nel porto di Alexandria in Egitto; infine, nel corso della navigazione, la nave non faceva ingresso nelle acque territoriali di nessun paese rivierasco.
Da ulteriori approfondimenti constava che l’imbarcazione, la quale risultava battente bandiera olandese, era partita da Gibilterra (dato, per vero, poi non convalidato da ulteriori elementi di riscontro) e che era diretta ad Alessandria senza avere un proprietario di riferimento.
La rotta anomala e l’incoerenza tra le informazioni formali date e gli elementi oggettivi osservati, tra cui l’assenza di riconducibilità ad una società armatrice e soprattutto la carenza di un impiego del mezzo compatibile con le rotte assunte fino a quel momento, induceva la polizia giudiziaria operante a richiedere alla DCSA l’interessamento dello Stato di bandiera della nave affinché fosse rilasciata l’autorizzazione al controllo a bordo ai sensi dell’art.17 della Convenzione di Vienna del 1988 (All. 9 al verbale di arresto).
Il magistrato di riferimento olandese rilasciava in via provvisoria e d’urgenza la necessaria autorizzazione all’abbordaggio (riservandosi di trasmettere il formale titolo autorizzatorio, poi pervenuto in data 4.6.2018). Così la moto nave “Quest” veniva “abbordata” con notifica al Comandante dell’imbarcazione del contenuto dell’autorizzazione a procedere al controllo rilasciato dallo Stato di bandiera.
L’equipaggio risultava essere composto da nove uomini, incluso il Comandante, di varie nazionalità, come da crew list, per vero priva di data.
All’interno di una cella frigorifera, occultata da casse di acqua minerale, si rinvenivano numerosi involucri del peso di circa 30 e 38 chilogrammi ciascuno, contenenti sostanza stupefacente del tipo hashish, confezionata in sacchi di iuta. Riscontrata l’ipotesi investigativa si provvedeva a condurre l’imbarcazione scortata dalle unità navali del Corpo in direzione del porto di Catania dove la stessa giungeva alle ore 11:00 del giorno 2 maggio 2018.
Giunti in porto, vengono recuperati ulteriori n. 24 sacchi di iuta, nascosti in un gavone di prua, il cui accesso era occultato da un tappeto per un totale di 299 colli e per un peso complessivo di kg. 10.366.
Si procedeva, pertanto, a trarre in arresto i membri dell’equipaggio nella flagranza del reato di trasporto e detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente.
L’unico soggetto che ha rilasciato dichiarazioni spontanee nell’immediatezza dei fatti, una volta sbarcato a Catania, è stato l’allora coimputato OMISSISS Adrian Florin, Comandante del natante.
La sostanza stupefacente, gli strumenti annessi ed il natante venivano posti in sequestro.
Seguiva la convalida dell’arresto e l’applicazione della misura cautelare detentiva nei confronti di tutti gli imputati.
Il Omississ dichiarava che il viaggio in mare era stato programmato e curato nei dettagli dal maltese Paul OMISSISS, imprenditore attivo in più settori (dai trasporti internazionali all’edilizia), il quale, con l’evidente complicità di un più ampio contesto organizzato, aveva arruolato l’equipaggio, preparato l’imbarcazione, cambiando nome sullo scafo e sui documenti, ed alterato i dati sul sistema di rilevamento satellitare per nascondere la rotta effettiva (con riferimento a Paul OMISSISS va evidenziato che le indagini svolte hanno accertato come tale soggetto risulta essere il proprietario della moto nave che nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando – nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati in procedimento connesso OMISSISS Omississ e AHMED MOHAMED ABDEL Rahim El Refaey).
In sede di interrogatorio il Omississ confermava quanto sopra riferito precisando ulteriori elementi.
L’uomo dichiarava di conoscere bene Omississ, per avere lavorato nella di lui società commerciale, la “PATRON GROUP”, negli anni recenti alla guida di rimorchiatori. Josett ZAMIT, sorella di Paul Omississ, nel mese di maggio lo contattava in Romania, proponendogli di guidare una nave per conto di un amico di Paul per 4.000,00 euro al mese senza dirgli dove sarabbe stata destinata e per quale scopo, ed egli accettava. Gli avrebbe pagato anche il biglietto aereo fino a Malta. Era arrivato a bordo il 19 maggio ed il successivo 21 del mese era arrivato anche Paul sulla nave assieme a Omississ Bonelli. Il 21 maggio l’uomo rilevava varie anomalie nell’assunzione del governo della imbarcazione. Il 22 maggio partivano dal porto di malta con destinazione Tunisia.
Benchè egli fosse il comandante, infatti, Omississ poneva di fatto a capo dell’equipaggio Omississ Omississ (parente di Omississ), primo ufficiale a bordo, tanto che gli veniva anche assegnata la cabina migliore, cosa di cui l’uomo si era stupito ma, in considerazione dell’atteggiamento minaccioso ed autoritario del Omississ nel corso del viaggio, spalleggiato dai due egiziani e dal giovane olandese, non aveva inteso reagire o chiedere spiegazioni. Omississ spiegava che OMISSISS Omississ era stato il Comandante di un’altra imbarcazione, la MED PATRON, all’interno della “PATRON GROUP” e che tutte le disposizioni e la supervisione delle operazioni di cambio della denominazione erano state impartite da OMISSISS Omississ e dallo stesso Paul OMISSISS, che si recava spesso al porto, salendo a bordo dell’imbarcazione dicendo al Omississ che avrebbe dpvuto prendere indicazioni dal Omississ.
Omississ scopriva che sui documenti ufficiali la nave era denominata “SEA VIEW”, ma il giorno prima della partenza (il 21.5.2018), la nave assumeva il nome “M/Y QUEST” e cambiava perfino bandiera (in olandese). Dichiarava peraltro di avere contribuito a togliere gli adesivi della vecchia denominazione, mentre un altro membro dell’equipaggio, in particolare, l’egiziano MOHAMED Elbosaty, aveva pitturato la nuova scritta. Scopre altresì che la stazione radio non funzionava e che sulle mappe non veniva tracciata la rotta. Tra l’altro, Paul OMISSISS faceva intervenire un tecnico per cambiare i dati nel sistema A.I.S. (Authomatic Identification System) per la rilevazione ed il tracciamento delle imbarcazioni in mare, così determinandone la manipolazione e dunque la futura elusione dei controlli.
Partivano il 22.05.2018 dal porto di Valletta (Malta). La destinazione era la Tunisia, come risultava dal documento intestato “Port Clearance – Custom House Malta ” che esibiva (v. all. 1).
L’uomo non aveva chiesto spiegazioni sul punto perché si trattava di decisioni che spettavano all’armatore non al comandante e non si era messo in allarme perché si faceva anche altre volte il cambio di bandiera. Lui prendeva ordini e basta. Non si era stupito, quindi, in un primo momento.
Pur non avendo i documenti con la nuova denominazione dell’imbarcazione, Paul gli consegnava il documento di viaggio e gli ordinava di partire quel giorno. Alla sua domanda sulla destinazione, Paul rispondeva che lo avrebbe tenuto informato OMISSISS Omississ. A quel punto partivano, scortati dalla pilotina e con il pilota del porto a bordo dell’imbarcazione, secondo una precisa organizzazione. Nessuno si era lamentato di nulla prima della partenza. Uscivano dal porto con destinazione Tunisi.
Sin dalla partenza, il giovane olandese OMISSISSstazionava sempre in plancia e aveva sempre in mano un telefono satellitare, portato a bordo da Paul OMISSISS prima della partenza, con il quale usava parlare e mandare messaggi a terze persone (appartandosi a prua per non farsi sentire dagli altri) circostanza, questa, che era stata riferita al Tanasa sin da subito da Omississ Omississ. Parlava sottovoce e tendeva ad appartarsi, come se non volesse farsi ascoltare. Spesso parlava con Omississ Omississ con il quale si appartava e, dopo avergli parlato, inviava messaggi con il Omississ.
Omississ Omississ aveva un atteggiamento autoritario, spalleggiato da altri membri dell’equipaggio, soprattutto l’olandese e i due egiziani. Gli altri erano più distaccati.
Durante il viaggio, OMISSISS Omississ gli ordinava di cambiare rotta e di dirigersi verso le coste algerine dove fermava il natante a circa 25 miglia dalla terraferma (mentre subito prima avevano aumentato la velocità) e girava la nave mantenendola con la prua per dare la possibilità di fare dossi alle onde. Inoltre Omississ gli diceva di non inserire il cambio di rotta né il programma di viaggio nel giornale di bordo ed il Omississ si limitava ad inserire i dati solo ogni 12 ore, due volte al giorno, latitudine e longitudine (tanto che quando erano arrivati i militari della Guardia di finanza gli stessi chiedevano al Omississ dove fossero le rotte tracciate).
Una volta arrivati in Algeria verso il 25 maggio di sera, l’imbarcazione veniva avvicinata da due gommoni dal lato destro. L’olandese ed il OMISSISS raggiungevano i soggetti sui gommoni (uomini vestiti di nero), pur non scendendo mai dall’imbarcazione. Pur avendo una visione parziale, precisa che sui gommoni c ‘erano circa 4/5 persone; ne vede una salire per pochi minuti sul loro natante per poi ritornare sul gommone. Appena i due si allontanano dalla plancia, egli scatta delle foto dei gommoni che si avvicinavano. Lui si trovava da solo in plancia. Le operazioni di trasbordo delle valigette dai gommoni a bordo fatte utilizzando la gru di bordo, durano circa un’ora, non è in grado di dire chi nell’equipaggio abbia contribuito, ma ritiene un po’ tutti perché non c’era nessuno con lui e quindi pensava che fossero tutti impegnati a collaborare nel trasbordo. Egli si rendeva conto che un’attività illecita era in corso. Alla ripartenza OMISSISS indicava la nuova rotta con destinazione Alessandria d’Egitto, ma precisava che si sarebbero dovuti fermati vicino alla Libia nel porto di TOBRUK. All’altezza di Pantelleria, agganciando dei ponti radio, contattava telefonicamente la moglie in Romania, rappresentandole di avere caricato a bordo merci strane (forse droga o armi). Al che OMISSISS, vedendo sia lui sia il croato utilizzare il telefono, requisiva con volenza il cellulare a tutti i membri dell’equipaggio, gridando trattarsi di un ordine di Paul OMISSISS. OMISSISS ordinava poi di andare velocissimi verso Alessandria e poi cancellava dalle mappe le rotte effettuate.
In sede di interrogatorio alla domanda del gip se l’imputato avesse visto negli altri membri dell’equipaggio un comportamento particolare dopo che avevano preso le balle l’uomo risponde che il direttore di macchina croato (Stojanovic) gli chiedeva:”che facciamo”? perché si rendeva conto del fatto che un’attività illecita era in corso assieme all’altro ucraino terzo uomo della macchina, Emin Omississ.
Omississ si avvaleva della facoltà di non rispondere, limitandosi a dichiarare di essere stato addetto alle macchine sotto coperta.
AHMED MOHAMED ABDEL Rahim El Refaey si limitava a riferire di avere accettato l’offerta di salpare a bordo della Quest per il compenso di 2.000,00 euro al mese, senza sapere dire da parte di chi, e di avere in ciò seguito il suo connazionale. Nega di avere visto alcunché
MOHAMED Elbosaty riconosceva di lavorare per Paul Omississ da sette anni. Era stato Omississ a proporgli di fare questo viaggio per un suo amico per il compenso di 2.000,00 euro al mese. La rotta inziale era Alessandria di Egitto. Aggiungeva che anche Ahmed Refey aveva lavorato per Omississ altre volte. Ammetteva di avere, insieme ad altri membri dell’equipaggio, caricato a bordo una grande quantità di balle da due gommoni al largo della Tunisia e di averli poi collocati sotto coperta. Tutto avviene per ordine di Omississ [Omississ]. Assumeva di non avere trovato nulla di strano in questa operazione e di non avere posto domande.
STOJANOVIC Savo, capo macchinista, dichiarava di avere accettato via internet l’offerta di lavoro per questo viaggio come capo macchinista, per imparare come funzionavano le cose all’interno della parte meccanica, da parte di una compagnia, Patron Group, compagnia diversa da quella alla quale apparteneva la nave sulla quale era poi salito da Malta. Non aveva mai visto il relativo contratto di lavoro, mai consegnatogli.
Aveva notato sin dall’inizio numerose anomalie nella predisposizione e conduzione del viaggio (mancavano Omississ e internet a bordo, il nome del natante era stato cambiato il giorno prima della partenza senza adempiere alle necessarie procedure formali, non erano stati prodotti documenti attestanti la presa in consegna del carburante prelevato, non gli era stato detto dove sarebbero andati). Pur non essendogli mai capitato tutto questo nella sua vita (testuali parole pronunciate dall’imputato), aveva accettato di partire perché gli era stato detto che avrebbero fatto due, tre giorni di prova per poi rientrare.
Era stato prelevato all’aeroporto di Malta da Paul Omississ che aveva visto poi anche sulla nave prima di partire. All’interno della nave dava ordini Omississ Omississ.
L’Omississ gli aveva chiesto fino a quale velocità poteva andare la nave per capire quale distanza avrebbero potuto raggiungere.
Durante la navigazione, quando gli era stato ordinato di andare verso Alessandria d’Egitto, dopo essere stati vicino le coste della Tunisia, verso l’Algeria, piuttosto che ritornare a Malta, lui aveva detto al capitano che non era molto contento di quella nave e che quando sarebbero arrivati a Malta sarebbe voluto tornare a casa. Anche il capitano gli aveva detto che sarebbe voluto tornare a casa.
Su domanda del gip se si fosse accorto che la nave si era fermata al largo delle coste algerine l’imputato dichiarava che, una volta arrivati nelle acque dell’Algeria, la nave aveva rallentato perché stava aspettando ordini; sempre su domanda del gip rispondeva che non si era accorto che si erano avvicinate imbarcazioni più piccole alla nave perché lui si trovava nella parte bassa della nave, dove si trova la sala macchine, e lui dormiva. Nella nave si trovava anche una sala in cui venivano collocate merci e vi era un grande frigo non funzionante ma lui non si era accorto che era stato messo in quello spazio il grande quantitativo di trecento colli.
Altri due ragazzi ucraini erano addetti alle macchine.
Omississsi avvaleva della facoltà di non rispondere, assumendo solo che quella era la sua prima esperienza marinara e che voleva vedere se gli piaceva il lavoro, l’equipaggio per poi decidere se andare a lavorare o fare qualcos’altro in Olanda.
OMISSISS Emin ricostruiva alcuni passaggi delle fasi che hanno preceduto il viaggio.
Dichiarava di avere lavorato su quella barca già da cinque mesi fino a quando la nave, appartenente prima ad altra società, era stato acquistato nel mese di aprile da Paul Omississ che aveva programmato di andare a Malta. Quest’ultimo vi fece un primo sopralluogo a metà aprile, per ritornare a metà maggio con i due egiziani e il maltese (Omississ). Assieme a lui c’era anche Omississ. Nella nave lui era aiuto macchinista anche se non aveva alcuna abilitazione. Dovevano andare a fare delle prove per vedere come si muoveva l’imbarcazione. Gli ordini li dava Omississ, il secondo comandante. L’imputato chiese agli altri dell’equipaggio quando sarebbero tornati a Malta e questi rispondevano che sarebbero andati verso Alessandria d’Egitto. Era certo di non essersi reso conto che il natante si fosse fermato a un certo punto e che avesse caricato della merce. Per lui la stiva era rimasta sempre vuota. Si era reso conto del cambio della bandiera e del nome senza formalità ritenendola un’anomalia. Prima aveva affermato che l’avevano cambiata Omississ, gli egiziani, l’Olandese ed il ragazzo ucraino, poi affermava di non ricordare chi fosse.
OMISSISS Salvatore, pur negando l’addebito, faceva alcune rivelazioni.
Dichiarava di aver lavorato per la ditta di Paul Omississ nei cantieri edili da cinque mesi, in particolare nell’Hotel Solana. L’Omississ gli aveva proposto di andare a lavorare come cuoco in una nave diretta in Tunisia per andare a prendere delle persone per dieci, undici giorni. Il compenso sarebbe stato tra i quattro e i dieci mila euro in base al numero delle persone che sarebbero state caricate. L’imputato aveva accettato pur sapendo di soffrire il mal di mare.
Era salito sulla nave il 19; si trovavano già lì Omississ Omississ, i due egiziani ed i tre ragazzi che lavoravano giù nei motori.
L’indomani sarebbe arrivato il Omississ, il Comandante. Il Omississ comandava. Al Omississ questa cosa non dava fastidio né protestava, rideva sempre.
Non gli sembrava che il Omississ avesse un tono autoritario.
Ricordava solo che inizialmente la rotta era verso la Tunisia, il giorno dopo la rotta era all’incontrario.
Non sapeva nulla del fatto che la nave si fosse fermata e che dei gommoni si fossero avvicinati perché dormiva a causa delle pillole che prendeva per il mal di mare. Aveva sentito però dei rumori ad un certo punto del viaggio vicino alla sua camera e quando erano arrivati i militari della Guardia di finanza glielo aveva riferito e li aveva portati nella sua camera.
Aveva capito che qualcosa non andava quando Omississ gli aveva tolto il telefono al ritorno verso Lampedusa, quando lui aveva voglia di sentire la moglie ed i figli, dicendo:”non dobbiamo chiamare, non dobbiamo fare segnale, non dobbiamo procurare segnali”.
L’imputato aveva commentato l’accaduto con il Comandante che gli aveva detto che stavano andando verso l’Egitto per fare manutenzione sulla nave.
Il biondino olandese stava sempre sopra, veniva ogni tanto sotto per mangiare e ritornava sopra; aveva con sé il telefono satellitare con cui chiamava e mandava messaggi. Comunicava con Omississ in inglese, Omississ gli rispondeva dandogli istruzioni e lui ricopiava di nuovo il messaggio. Aveva anche numerosi cellulari normali.
Sostiene di non essersi reso conto che il natante si sia fermato a un certo punto e che abbia caricato della merce. Per lui la stiva è rimasta sempre vuota. Riconosce di avere percepito che qualcosa di anomalo e irregolare era successo quando Omississ ha strappato con forza a tutti loro il cellulare nel momento in cui, avendo agganciato dei ponti radio, hanno potuto contattare le famiglie.
Omississ Omississ si avvaleva della facoltà di non rispondere.
Nel proc. pen. n. 5651/18 RG gip a carico di Paul Omississ venivano sentiti, poi, in sede di incidente probatorio gli imputati ed i coimputati del presente procedimento come imputati in procedimento connesso (quello per cui si procede).
In questa sede il Omississ confermava essenzialmente quanto già precedentemente dichiarato.
Il Omississ, sentito nella medesima sede, dichiarava di essere nipote dell’Omississ, che gli aveva offerto questo lavoro all’interno della nave avendo lo stesso un’esperienza di quindici anni di navigazione; avendo lavorato per l’Omississ. Sapeva che sarebbe stato un viaggio di prova. Lui aveva il ruolo di Primo ufficiale. La rotta della nave era verso la Tunisia dove si sarebbe dovuto cambiare equipaggio.
Ad un certo punto, all’altezza di Pantelleria, aveva sentito il capitano mentre parlava al telefono chiedere 5000,00 euro all’interlocutore dicendo “ho dei problemi” quando si era trovato davanti il Omississ.Il giorno dopo la nave aveva cambiato direzione; non sapeva altro perché la navigazione era nelle mani del Comandante. I comandi li dava il Comandante e li passava agli altri.
Aveva visto due gommoni che portavano merce. Il comandante gli aveva detto che avrebbero dovuto portare questi pacchi contenenti sigarette a bordo e lui aveva dato ordini a Mohamed; quest’ultimo li prendeva con la gru ed i due ucraini li sistemavano dentro la nave nella cella frigorifero.
Ammetteva di aver preso i cellulari dei membri dell’equipaggio per evitare che li potessero usare. L’uomo aveva visto che stavano per arrivare i militari della Guardia di finanza ed avendo capito che qualcosa non andava voleva evitare che gli altri potessero parlare al telefono; non lo aveva preso solo al capo macchinista croato perché lui veniva dall’aereoporto e non conosceva nessuno a differenza degli altri.
Non sapeva se il ragazzo olandese o qualcun altro avesse un telefono satellitare.
Conclude dicendo che per tre giorni aveva dolori e da solo aveva estratto un dente.
In sede di incidente probatorio il Groeneweg si avvaleva della facoltà di non rispondere.
All’udienza del 19 giugno 2019 l’imputato dichiarava di aver trovato l’annuncio di lavoro su internet per pulire la nave e stare sul dec. Dopo due giorni di navigazione era venuto a sapere che avrebbero dovuto trasportare delle sigarette. Produceva una lettera scritta a mani proprie in cui dichiarava di pentirsi di quello che aveva fatto e sperava di poter imparare dai propri errori contando in un futuro di studi ed impegno personale.
Dopo cinque giorni, vedendo “queste persone” si era accorto che non erano sigarette perché il carico era molto più pesante. Se avesse saputo che il trasporto riguardava hashish e non sigarette avrebbe preso il volo ma trovatosi sulla nave cosa avrebbe potuto fare? Buttarsi in mare? Si scusava con la propria famiglia.
Il Omississ che in sede di interrogatorio si era avvalso della facoltà di non rispondere, limitandosi a dichiarare di essere stato addetto alle macchine sotto coperta nella plancia e di non sapere nulla della droga e che Omississ mentre dormiva gli aveva sottratto il telefono così che non aveva più potuto parlare con i suoi familiari, dichiarava in sede di incidente probatorio che era stato Paul Omississ ad organizzare il viaggio in mare ingaggiandolo e che tutti gli ordini partivano da lui.
L’Omississ non gli aveva detto quale sarebbe stata la somma che gli avrebbe dato, dicendogli solo che avrebbero stipulato un contratto che, però, non gli sarebbe mai stato dato, né dove sarebbero andati. Aveva lavorato sulla vecchia nave Sea View che poi era stata venduta; aveva avuto qualche problema e avrebbero dovuto essere licenziati ma il nuovo proprietario gli aveva offerto un nuovo lavoro sulla stessa nave.
L’uomo, marinaio e medico, lavorava a bordo della nave come addetto al motore nel reparto dei macchinari pur essendosi lo stesso opposto non avendo le competenze specifiche.
Era stato tutto il tempo nel reparto macchinari, non era mai salito sul ponte, se non una sola volta per chiedere informazioni, perciò non sapeva la rotta della nave da quando era partita da Malta.
Sapeva che sarebbe stato un viaggio di prova e sarebbero tornati subito al porto.
Non aveva mai sentito dare ordini dal capitano ma solo da Omississ Omississ.
L’unico che aveva un telefono satellitare era il ragazzo olandese. Non lo mollava mai, lo teneva con sé anche la notte.
Mentre si stava riposando fuori dal turno il Omississ gli chiedeva di dare una mano alla ciurma per caricare dei pacchi; si trovavano lì già l’egiziano Ahmed ed il collega Emin ai quali Omississ aveva chiesto di smistarli e di sistemarli nelle stanze. Non sapeva chi avesse preso il carico, né chi l’avesse portato in barca; per sistemarli erano stati coinvolti tutti quanti, gestiti dal Omississ. Forse non aveva visto solo il capitano che era sul ponte. Alla fine li aveva raggiunti Omississ.
Nessuno sapeva cosa ci fosse dentro i pacchi perché tutti gli dicevano che non lo sapevano, che non avevano informazioni o che non capivano la domanda; Omississ Omississ gli diceva di farsi i fatti suoi.
L’operazione si era svolta in mare aperto ed era durata circa due ore. La nave si era fermata per poi proseguire la navigazione.
I pacchi, molto pesanti, erano stati sistemati in una stanza per la merce ed all’interno di una cella frigorifero guasta.
Dopo aver caricato i pacchi, quando erano arrivati nelle acque di Sicilia, l’imputato aveva visto che c’era connessione per chiamare ma in quel momento era entrato senza bussare il collega Salvatore (Omississ) che era italiano ed aveva preso i telefonini dicendo tramite gesti che li aveva presi su ordine di Omississ portandoli sul ponte.
All’udienza del 13 febbraio 2019, dopo l’ammissione del rito abbreviato, l’imputato rendeva dichiarazioni spontanee sostanzialmente confermando quanto precedentemente detto e specificando che il nuovo proprietario della nave presso cui aveva lavorato, Paul Omississ, gli aveva offerto di lavorare sulla nave come marinaio e di svolgere un servizio di medico a bordo se qualcuno ne avesse avuto necessità; inizialmente sulla nave si trovava con Omississche lavorava nella cabina dei motori; non parlava inglese e chiedeva aiuto ad Emin per tradurre. Solo dopo la partenza gli era stato detto dal Omississ che lo scopo della navigazione sarebbe stato il controllo dei motori ed il funzionamento della nave anche se lui si era opposto per mancanza di competenze specifiche.
Quando gli era stato ordinato di sistemare il carico proveniente dai gommoni lui aveva chiesto ad Emin cosa vi fosse dentro ma l’imputato non sapeva dare una risposta. L’egiziano Ahmed aveva fretta e li sollecitava continuamente; dopo mezz’ora li avevano raggiunti tutti i marinai, gli egiziani, l’olandese, l’italiano.
Quanto al sequestro del cellulare, avvenuto cinque giorni dopo, aveva litigato con il comandante e con il Omississ salendo sul ponte del comando chiedendogli di restituirglielo ma invano.
Emin confermava di aver spostato le casse con l’imputato, con il Omississ e con tutti gli altri su ordine del Omississ e degli egiziani.
L’Omississ, sempre in sede di incidente probatorio, confermava sostanzialmente quanto già dichiarato in sede di incidente probatorio.
Precisava che non aveva stipulato alcun contratto con l’Omississ, nuovo proprietario della nave, né aveva parlato con nessun altro della retribuzione da ricevere. Nessuno gli aveva dato indicazioni su dove dovevano andare; gli era stato detto che sarebbe rimasta in mare per fare una specie di test, una prova. Le informazioni le riceveva dal ponte della nave mentre lui si trovava nel reparto macchinari. Gli ordini li dava Omississ.
All’udienza del 13 febbraio 2019, dopo l’ammissione del rito abbreviato, l’imputato rendeva dichiarazioni spontanee.
A differenza di quanto dichiarato in sede di interrogatorio di garanzia, l’Omississ affermava di aver lavorato per due mesi (non cinque) all’interno della nave. Poi era arrivato anche il Omississ.
A metà maggio erano venuti anche Omississ ed i due egiziani. Poi era arrivato anche l’Omississ ed il ragazzo olandese. Lui si trovava nella sala controlli. Sentiva persone che si spostavano e che saltavano. E’ uscito fuori.
Ed è andato nella parte laterale. Dove ha incontrato il Omississ che stava prendendo delle scatole.
Sceso giù nella sala Cargo ha visto un uomo egiziano e gli ha chiesto cosa fossero le scatole; l’uomo gli rispondeva che doveva aiutare e basta; anche Omississ, nel frattempo sceso, diceva a lui ed al Omississ di aiutare mettendo le scatole nella parte sotto dove c’era la sala passeggeri. Poi sono venute tutte le altre persone e Omississ ha detto agli altri di aiutare a mettere queste cose nella stanza cargo.
Dopo hanno navigato. Era andato nella cabina a dormire fino a quando non si era svegliato l’indomani mattina alle quattro.
Il Omississ confermava in sede di incidente probatorio quanto già dichiarato specificando che l’Omississ gli aveva detto che qualsiasi cosa sarebbe successa a bordo della nave lui si sarebbe dovuto rivolgere a Omississ Omississ.
All’udienza del 13 febbraio 2019 il Omississ rendeva dichiarazioni spontanee; dichiarava che avrebbe voluto parlare con i militari della Guardia di finanza giunti sulla nave e che questi non glielo avevano consentito dicendogli che il Comandante avrebbe potuto fornire elementi ulteriori rispetto a lui. Si professava innocente ed ignaro del fatto che a bordo era stata trasportata droga.
Sempre in sede di incidente probatorio lo Stojanovic confermava quanto già dichiarato in sede di incidente probatorio e precisava che l’Omississ gli aveva detto inizialmente che era necessario fare un giro di prova perché la nave era ferma da circa due anni perciò prima avrebbero dovuto verificare che la nave avrebbe potuto funzionare. Non aveva avuto alcun rapporto con gli altri membri dell’equipaggio se non scambiando parole del tipo: “buongiorno”.
Ad un certo punto gli era stato detto di cambiare rotta per andare vero l’Egitto per riparare navi.
La cosa gli era stata comunicata dal primo ufficiale Omississ.
Il compenso pattuito era di 4500,00 euro ma non ha mai ricevuto il denaro promesso. Si aspettava che gli avrebbero dato copia del contratto.
All’udienza del 13 febbraio 2019 l’imputato dichiarava di aver lavorato come direttore di macchina e capo macchinista da venticinque anni e che era importante acquisire la scatola nera del ponte per capire dove è diretta l’imbarcazione e quella della sala macchine per vedere quanti macchinari erano in funzione, a che velocità andava la nave e cosa faceva l’equipaggio.
All’udienza del 19 giugno 2019 l’imputato rilasciava ulteriori dichiarazioni spontanee chiedendo l’acquisizione dei libri di bordo non sequestrati dalla Guardia di finanza.
Nel corso del procedimento i difensori dell’imputato producevano le dichiarazioni di Kristian Budisa, acquisite ex art. 391 bis c.p.p. L’uomo, amico di vecchia data dell’imputato, dichiarava di conoscere lo Stojanovic da sempre, essendo amico del figlio; era persona onestissima che aveva lavorato per anni presso una compagnia inglese dalla quale era stato sbarcato per problemi di riduzione del personale; sapeva che stava cercando lavoro da mesi spedendo il curriculum su internet.
Venivano prodotte, altresì, dai difensori dell’imputato le dichiarazioni di Stojanovic Dino, figlio dell’imputato e suo collega presso la compagnia inglese nella quale lavorava il padre, “Atlantics marine navigation”, acquisite ex art. 391 bis c.p.p.; il dichiarante confermava quanto detto dall’amico dichiarando, altresì, che lo stesso non aveva mai avuto rapporti con alcuno dei membri dell’equipaggio né aveva mai lavorato alle dipendenze della compagnia Patron Group. Prima di salpare aveva chiamato il figlio dicendogli che nonostante le condizioni della nave non fossero ottimali, considerato il compenso pattuito, aveva deciso di partire; il giorno prima di partire lo aveva informato che avrebbero fatto un test sulle condizioni della nave e che aveva notato un incremento dei membri dell’equipaggio; dopo quattro giorni dalla partenza gli aveva detto che non si trovava bene a bordo della nave a causa delle condizioni della nave e della compagnia e che al rientro a Malta avrebbe dato le dimissioni spiegandogli meglio al suo rientro.
Veniva, ancora, acquisita ulteriore documentazione prodotta dai difensori dell’imputato, alla quale è stato subordinato il rito abbreviato richiesto, consistente nei tabulati telefonici sul traffico del cellulare dell’imputato, nel suo curriculum vitae e nella lettera di impiego della compagnia inglese “Atlantic Crewing”.
- Le singole posizioni processuali.
Nei paragrafi che seguono verranno esaminate le posizioni dei singoli imputati con specifica indicazione degli elementi probatori utilizzati ai fini della decisione.
Va premesso che la scelta di procedere in base alle posizioni ha determinato la ripetizione dei riferimenti al materiale probatorio contenente elementi a carico per più di un imputato.
Tale metodologia, seppur per certi versi ridondante, è stata seguita al fine di consentire – in relazione a ciascuno degli imputati – l’indicazione complessiva degli elementi considerati da questo Giudice rilevanti al fine della dimostrazione o dell’esclusione della penale responsabilità degli stessi in ordine alla fattispecie di reato loro contestata.
5.1 Groeneweg Thys.
Gli elementi che seguono consentono di ritenere l’imputato responsabile del reato ascrittogli.
Rileva, innanzitutto, questo giudice come l’imputato, che inizialmente si era avvalso della facoltà di non rispondere sia in sede di interrogatorio di garanzia sia in sede di incidente probatorio, quale imputato in procedimento connesso, ha successivamente rilasciato dichiarazioni spontanee in sede di udienza dopo l’ammissione del rito abbreviato da parte del giudice.
In base alle uniche dichiarazioni rese dallo stesso sopra riportate nel pargarafo 4, emerge come lo stesso, dopo aver aderito ad un annuncio di lavoro su internet per pulire la nave e stare sul dec, dopo due giorni di navigazione era venuto a sapere che avrebbero dovuto trasportare delle sigarette ma solo al momento del trasporto della merce si era accorto del fatto che i pacchi erano troppo pesanti per poter trattarsi di sigarette.
Richiamandosi questo giudice ai principi giuridici sopra espressi in relazione alla sussistenza del concorso di persone nel reato, si ritiene che nel caso di specie le modalità comportamentali dell’imputato, desumibili dalle dichiarazioni dello stesso e da quelle dei coimputati (unici elementi concreti, questi, unitamente alle massime di esperienza o ai ragionamenti basati sull’id quod plerumque accidit, dai quali poter desumere le prove nel procedimento de quo in mancanza di ulteriori e diversi riscontri esterni), evidenzino sia il contributo oggettivo sia quello soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto contestato.
Ed invero, quanto al profilo oggettivo l’aver aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi contenenti marijuana, aver utilizzato il telefono satellitare durante la navigazione ed aver supportato il Omississ, certamente coinvolto nell’illecito perpetrato in base a quanto dichiarato concordemente dagli imputati, integra senz’altro quel contributo causale idoneo per l’integrazione del concorso nella condotta illecita contestata.
Sussiste altresì l’elemento soggettivo del dolo consistente nel preventivo accordo criminoso con gli organizzatori del viaggio.
Sul punto, deve rilevarsi come, contrariamente a quanto ritenuto dal difensore nell’arringa difensiva, non possa ritenersi credibile quanto dichiarato dall’imputato circa la mancata conoscenza da parte dello stesso del fatto che i pacchi contenessero droga fino al momento in cui li aveva caricati in nave e trasportati né quanto affermato sulla impossibilità di tenere una condotta alternativa al momento della “scoperta” e sul fatto di essere stato assunto sulla base di una offerta di lavoro trovata sul web e ciò per le ragioni di seguito indicate.
Innanzitutto appaiono davvero generiche, vaghe e non confermate da alcuno degli altri coimputati le dichiarazioni rese dall’imputato in relazione alla scoperta, dopo due giorni dalla navigazione, di dover trasportare sigarette non essendo stato chiarito chi gli avrebbe dato questo ordine né le modalità con cui lo stesso era venuto a saperlo a fronte della dichiarata adesione da parte dell’uomo ad una offerta lavorativa su internet (peraltro, anche laddove si ritenesse veritiero quanto affermato, la successiva scoperta del reale contenuto illecito dei pacchi non consentirebbe comunque di escludere il dolo in capo all’imputato che sarebbe comunque sussistente dal momento della realizzazione del reale contenuto dei pacchi).
In secondo luogo, a fronte della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese per le ragioni anzidette, assume rilievo decisivo nel senso di ritenere sussistente l’elemento soggettivo la mancanza di qualsiasi reazione dell’imputato nel momento in cui gli sarebbe stato ordinato di caricare e sistemare i carichi di droga: in particolare, nessuno dei coimputati riferisce di reazioni di disappunto deciso e vigoroso rispetto all’opera di caricamento dei numerosi pacchi pesanti e voluminosi che andavano nascosti nella cella frigorifero della stiva a fronte della “scoperta” di dover caricare droga piuttosto che sigarette (appare improbabile che se vi fosse stata siffatta reazione nessuno dei sette membri dell’equipaggio, esclusi il capitano ed il Omississ, abbia riferito di “giustificate” grida o tentativi di ribellione da parte di alcuno).
Ancora il fatto che il Omississ desse ordini ai membri dell’equipaggio (circostanza questa ricorrente in tutte le dichiarazioni dei coimputati, i quali non avevano motivo di mentire sul punto, ad eccezione di quelle del Omississ stesso -certamente interessato ad escludere la propria responsabilità e, dunque, inattendibile per quanto diffusamente esposto nel paragrafo sulla posizione dello Stojanovic – e dei due egiziani che invece riferivano di ordini dati dal Omississ anche al Omississ, entrambi inattendibili in quanto additati come colpevoli da tutti gli altri coimputati) non esclude, ad avviso di questo giudice, a differenza di quanto rilevato dal difensore, la consapevolezza e la volontà dell’imputato di partecipare all’illecito contestato non essendo incompatibile con l’esistenza di un accordo criminoso il conferimento dell’incarico di direzione dell’attività di organizzazione dei compiti sulla nave e dell’intero progetto criminoso ad un soggetto determinato se tale circostanza viene letta unitamente alle altre circostanze di seguito richiamate:
innanzitutto la posizione dell’imputato, quale emerge dalla descrizione del suo ruolo da parte del Omississ, del Omississ e del Omississ (e, comunque, non smentita dagli altri coimputati) è quella di un soggetto che, lungi dal ricoprire un incarico meramente esecutivo, era il braccio destro del Omississ tanto da essere l’unico che utilizzava il telefono satellitare portato nella nave dall’Omississ, così come era stato riferito dallo stesso Omississ al Omississ prima della partenza.
In particolare il Omississ dichiarava che sin dalla partenza, “il giovane olandese OMISSISSstazionava sempre in plancia e aveva sempre in mano un telefono satellitare, portato a bordo da Paul OMISSISS prima della partenza, con il quale usava parlare e mandare messaggi a terze persone (appartandosi a prua per non farsi sentire dagli altri) circostanza, questa, che era stata riferita al Omississ sin da subito da Omississ Omississ. Parlava sottovoce e tendeva ad appartarsi, come se non volesse farsi ascoltare. Spesso parlava con Omississ Omississ con il quale si appartava e, dopo avergli parlato, inviava messaggi con il Omississ. ….Omississ Omississ aveva un atteggiamento autoritario, spalleggiato da altri membri dell’equipaggio, soprattutto l’olandese e i due egiziani….Una volta arrivati in Algeria verso il 25 maggio di sera, l’imbarcazione veniva avvicinata da due gommoni dal lato destro. L’olandese ed il OMISSISS raggiungevano i soggetti sui gommoni (uomini vestiti di nero), pur non scendendo mai dall’imbarcazione…”; Omississ dichiarava che l’unico che aveva un telefono satellitare era il ragazzo olandese. Non lo mollava mai, lo teneva con sé anche la notte; Omississ dichiarava che l’imputato che stava sempre sul ponte aveva un telefono satellitare con cui chiamava e mandava messaggi. Comunicava con Omississ in inglese, Omississ gli rispondeva dandogli istruzioni e lui ricopiava di nuovo il messaggio”.
Le predette dichiarazioni, in base ai principi giuridici enunciati nell’apposito paragrafo, appaiono credibili innanzitutto perché provengono da soggetti coinvolti nel medesimo contesto illecito dell’odierno imputato; in secondo luogo appaiono in sé compete, logiche e prive di contraddizioni; infine non risultano dagli atti motivi di astio, odio o interesse dei dichiaranti nei confronti dell’imputato non potendo incidere le predette dichiarazioni in alcun modo sulla innocenza o colpevolezza dei dichiaranti stessi e, pertanto, non apparendo le stesse finalizzate in alcun modo ad alleggerire la posizione dei singoli dichiaranti nel procedimento de quo.
Inoltre, a parte gli ulteriori riscontri esterni di natura logica o rappresentativa (così, ex pluribus, Cass. pen., Sez. 4, 10-12- 2004 n. 5821) che di seguito verranno indicati, un importante riscontro esterno è costituito dalle singole dichiarazioni, sostanzialmente conformi, di tutti e tre i dichiaranti che, pertanto, si riscontrano tutti tra loro.
Infine, sulla base di quanto affermato nel paragrafo n. 3.1 sul principio della “valutazione frazionata” delle dichiarazioni accusatorie, ad avviso di questo giudice nel caso di specie la credibilità ed attendibilità dei dichiaranti in relazione ad una parte soltanto delle relative dichiarazioni non può essere messa in dubbio dalla valutazione della inattendibilità degli stessi per alcune delle restanti parti delle dichiarazioni (per quanto sarà esposto ed argomentato nei paragrafi relativi alle singole posizioni dei dichiaranti) e ciò in quanto appare evidente che la ragione della esclusione della attendibilità di questi ultimi (che riguarda le sole dichiarazioni rese su se stessi ed il loro ruolo nella vicenda de qua) sta nella accertata, evidente intenzione di alleggerire la propria posizione (“nemo tenetur se detegere”) senza che vi siano riscontri esterni idonei a suffragare le predette dichiarazioni, motivazione, questa, che invece non ha ragion d’essere rispetto alle dichiarazioni rese sull’odierno imputato che non incidono in alcun modo sulla innocenza o colpevolezza dei dichiaranti stessi per quanto sopra già detto e che sono riscontrate da diversi elementi esterni.
Pertanto, l’uso del telefono satellitare, i contatti continui con il Omississ, il fatto che lo stesso imputato abbia raggiunto gli uomini che si trovavano sul gommone, la rassicurazione del Omississ fatta al Omississ prima della partenza sull’uso del telefono satellitare da parte dell’imputato evidenziano una complicità con il Omississ, sicuramente coinvolto nel traffico illecito per quanto concordemente affermato da tutti gli imputati, che non possono non integrare non solo una piena consapevolezza e volontà del reato contestato ma, altresì, un pregresso accordo criminoso tra l’imputato, il Omississ, l’Omississ ed il gruppo di rilevanza sovranazionale da quest’ultimo capeggiato.
Tutto quanto testè esposto, unitamente alle motivazioni che si riporteranno nei paragrafi sugli altri imputati, consente di smentire senz’altro la sussistenza della sudditanza dell’imputato, costretto da minaccia e comandi altrui, ritenuta, viceversa, dal difensore dell’imputato nell’arringa.
Ulteriore decisivo argomento di formidabile riscontro esterno della colpevolezza dell’imputato è, infine, la mancata dissociazione immediata dal progetto criminoso dello stesso sin dal momento dell’arrivo dei militari della Guardia di finanza presso il natante.
Ed invero, se fosse realmente corrispondente al vero la circostanza che l’imputato si era pentito di aver dovuto trasportare la droga (convinto inizialmente di dover, invece, trasportare sigarette ed ignaro della finalità illecita del viaggio appena effettuato), una volta visti i militari salire a bordo della nave lo stesso avrebbe potuto finalmente chiedere loro aiuto, denunciare i fatti ed aiutarli nel trovare il nascondiglio dei pacchi caricati a bordo cosa, questa, di cui invece non vi è traccia negli atti del procedimento.
Non risulta nemmeno da nessuna delle dichiarazioni rese dai coimputati che questi ultimi siano stati costretti in qualsiasi modo da qualcuno dell’equipaggio a non parlare prima dell’arrivo dei militari stessi che avevano dato avviso del fatto che avrebbero ispezionato la nave, per quanto risulta dal verbale versato in atti.
Infine, ulteriore elemento di riscontro in relazione alla mancata immediata reazione dell’imputato rispetto all’attività illecita asseritamente voluta da altri, è l’esercizio iniziale della facoltà di non rispondere da parte dell’imputato in sede di interrogatorio di garanzia ed in sede di incidente probatorio cosa che, pur integrando senz’altro un diritto riconosciuto dall’ordinamento, letta unitariamente ai predetti elementi da un lato concorre ad integrare quegli indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di ritenere senz’altro colpevole il Groneghen e, dall’altro lato, lumeggia le dichiarazioni rese successivamente come espressione di una scelta difensiva piuttosto che di reale resipiscenza conforme alla verità dei fatti.
La predetta ricostruzione dei fatti non può essere scalfita, da ultimo, dalla giovane età ed incensuratezza dell’imputato essendo questi elementi, valorizzati invece dal suo difensore, di per sé neutri ed, anzi, essendo conveniente per la criminalità organizzata arruolare adepti giovani, volenterosi e capaci privi di precedenti penali per la realizzazione di progetti criminosi.
Va pertanto affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato ascrittogli.
Va riconosciuta altresì l’aggravante di aver commesso il fatto in numero superiore a tre persone in concorso tra loro stante il riconoscimento della responsabilità penale al predetto numero di imputati.
Va riconosciuta inoltre l’aggravante dell’ingente quantità.
Richiamandosi ai principi espressi nel paragrafo 2.2, va detto che nel caso di specie, in virtù del complessivo principio attivo accertato come esistente nella complessiva sostanza caduta in sequestro riferita all’unica condotta illecita contestata (ricavabile dall’esito dell’accertamento tecnico n. 1475/18 del 12.07.2018 depositato dal P.M. all’udienza del 19.06.2019), sulla base dei principi richiamati, deve ritenersi la sussistenza della suddetta aggravante, per il superamento del limite soglia indicato nelle pronunce sopra citate avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto quali il numero delle dosi ricavabile, il numero dei tossicodipendenti rifornibili, l’oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, la dimensione internazionale del traffico in oggetto destinato a saturare un mercato di amplissime dimensioni territoriali e umane).
Va altresì riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 4 Legge 164/2006.
Ed invero, richiamandosi sempre ai principi giuridici espressi dalla recente giurisprudenza di legittimità riportata nel paragrafo 2.3, il riconoscimento dell’aggravante stessa non discenderà certo dall’appartenenza al sodalizio criminoso, ma solo dall’aver fornito o meno un contributo materialmente o moralmente rilevante secondo i comuni principi in tema di concorso di persone nel reato.
Nel caso di specie, ferma restando l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della predetta aggravante, della mancanza di prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso di rilievo internazionale capeggiato dall’Omississ e l’indubbia esistenza sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti di un gruppo organizzato impegnato in più Stati facente capo ai trafficanti della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria (per quanto risulta dalle dichiarazioni dei coimputati rese nel procedimento connesso sull’Omississ e dal ruolo svolto anche in passato dall’Omississ in diverse attività illecite internazionali svolte in più Stati -le indagini svolte dalle F.F.O.O. individuano tale soggetto come il proprietario della moto nave che già nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando e nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati nel procedimento connesso OMISSISS Omississ e AHMED MOHAMED ABDEL Rahim El Refaey- che evidenziano chiaramente il collegamento dell’Omississ con il gruppo internazionale e l’organizzazione del trasporto facente capo ai trafficanti algerini della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria operante almeno tra Malta e Algeria ove è avvenuto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente), ritiene questo giudice che l’effettivo apporto fornito dall’imputato al Omississ ed all’Omississ nella realizzazione del reato contestato, così come sopra accertato, unitamente alle particolari modalità dell’azione realizzatasi mediante il caricamento di 300 colli contenenti 10 tonnellate di droga in alto mare, con un equipaggio composto da soggetti di diversa nazionalità, previo trasbordo da due gommoni portati da soggetti che hanno raggiunto il natante in acque internazionali, al largo dell’Algeria, consenta senz’altro di desumere il raggiungimento della prova della sua piena consapevolezza sull’esistenza del sodalizio e sui suoi scopi illeciti ex art. 59 comma 2 c.p. (così, Cass. pen. sez. VI, 13/10/2016, n.52321) potendosi desumere da tutti gli elementi sopra individuati il coinvolgimento dell’imputato anche negli accordi che hanno preceduto il carico ed il trasporto della droga da parte del gruppo come “ganglio essenziale” della vicenda nell’interesse del gruppo stesso soprattutto in considerazione delle istruzioni date dall’imputato all’esterno con l’uso del telefono cellulare previo concerto con il Omississ per farsi raggiungere ed individuare dai trafficanti di droga sui gommoni, circostanza, questa, concordata con quest’ultimo già prima della partenza per quanto dichiarato dal Omississ (della cui attendibilità, sul punto, non si ha motivo di dubitare per le ragioni anzidette).
Per tutte le ragioni anzidette va affermata la responsabilità penale dell’imputato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, non si ritiene possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche considerato che la sola incensuratezza dell’imputato e la giovane età non sono elementi sufficienti per concederle e che non è ricavabile dagli atti alcun elemento favorevolmente valutabile ex art. 62 bis c.p. soprattutto alla luce del complessivo comportamento processuale in alcun modo collaborativo con le autorità nel rivelare elementi utili per le indagini; inoltre, la lettera di scuse depositata all’udienza del 19 giugno scorso appare dettata da una strategia processuale piuttosto che da un vero e proprio pentimento.
Ciò posto si ritiene equa la pena finale di anni 4 mesi due giorni venti di reclusione ed euro 12.000,00 di multa così determinata: p.b. anni 3 e mesi sei di reclusione ed euro 9000,00 di multa ex art. 133 c.p. in considerazione delle gravi modalità dell’azione, dell’intensità del dolo, del ruolo in concreto svolto dall’imputato nella vicenda, quale braccio destro del Omississ e delle circostanze del fatto avvenuto di notte, in acque internazionali, su una nave non identificabile all’esterno per tutto quanto sopra detto, aumentato della metà nella misura di un anno e mesi tre di reclusione ed euro 4500,00 di multa ex artt. 80 comma 2 T.U. in materia di sostanze stupefacenti senza operare un ulteriore aumento per quest’ultima circostanza ex art. 63 comma 4 c.p. tenendo conto del fatto che il massimo di aumento edittale per quest’ultima circostanza è pari alla metà della pena (anni 4 e mesi 9 di reclusione ed euro 13.500,00 di multa), ulteriormente aumentato ex art. 73 D.p.r. 309/1990 comma 6 c.p. di 1/3 (anni 6 e mesi quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa), ridotta per il rito di 1/3 ad anni quattro mesi due giorni venti di reclusione ed euro 12.000,00 di multa.
5.2 Omississ
Gli elementi che seguono consentono di ritenere l’imputato responsabile del reato ascrittogli.
Rileva, innanzitutto, questo giudice come l’imputato, che inizialmente si era avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia, si è poi sottoposto ad esame nel corso dell’incidente probatorio sopra indicato ed ha, ancora successivamente, rilasciato dichiarazioni spontanee in sede di udienza dopo l’ammissione del rito abbreviato.
Tutte le dichiarazioni rese dall’imputato, sostanzialmente conformi tra loro e non smentite dall’Omississ (si richiamano sul punto relativo all’attendibilità dell’imputato le motivazioni espresse nel paragrafo sulla posizione del Omississ), evidenziano come l’organizzazione del viaggio finalizzato al traffico illecito di sostanza stupefacente fosse riconducibile a Paul Omississ, deus ex machina dell’intera operazione, ed il comando della nave al Omississ; inoltre, l’imputato, inizialmente all’oscuro dell’illiceità dell’intera operazione, salito a bordo della nave senza aver firmato un contratto con il solo scopo di fare un giro di prova finalizzato alla successiva assunzione stabile nella nave come marinaio ed all’occorrenza medico di bordo, avrebbe partecipato attivamente, assieme a tutti gli altri membri dell’equipaggio, alla sistemazione delle casse nella stiva su ordine del Omississ senza sapere cosa contenessero i pacchi saliti a bordo; dopo il caricamento degli stessi all’interno della nave, su ordine del Omississ, gli era stato sequestrato il cellulare (circostanza, questa, confermata anche dallo stesso Omississ).
Ciò posto, richiamandosi questo giudice ai principi giuridici sopra espressi in relazione alla sussistenza del concorso di persone nel reato, si ritiene che nel caso di specie le modalità comportamentali dell’imputato, desumibili dalle dichiarazioni dello stesso e da quelle dei coimputati (unici elementi concreti, questi, unitamente alle massime di esperienza o ai ragionamenti basati sull’id quod plerumque accidit, dai quali poter desumere le prove nel procedimento de quo in mancanza di ulteriori e diversi riscontri esterni), evidenzino sia il contributo oggettivo sia quello soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto contestato.
Ed invero, quanto al profilo oggettivo l’aver aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi contenenti marijuana integra senz’altro quel contributo causale sufficiente ed idoneo alla condotta illecita altrui già in atto.
Sussiste altresì la prova dell’elemento soggettivo consistente, quanto meno, nell’adesione volontaristica alla condotta illecita altrui.
Sul punto, deve rilevarsi come non possa ritenersi credibile quanto dichiarato dall’imputato circa la mancata conoscenza da parte dello stesso del contenuto dei pacchi trasportati in stiva né quanto affermato sulla coartazione della volontà dell’imputato da parte del Omississ valorizzata dal difensore del Omississ nel corso dell’arringa difensiva e ciò per le ragioni di seguito indicate.
Innanzitutto appare davvero improbabile che un marinaio che aveva già viaggiato su una nave stipulando regolare contratto non si stupisca dell’assenza di informazioni da parte del nuovo proprietario del natante sulla rotta da seguire, sia pure in relazione al giro di prova, sui giorni di permanenza in mare, sulla retribuzione che sarebbe stata corrisposta in caso di esito positivo della prova, nonché sulla mancanza di consegna di copia del contratto e, soprattutto, sull’imposizione da parte del Omississ dello svolgimento di un ruolo diverso da quello che lo stesso avrebbe dovuto e potuto fare in base alle proprie competenze specifiche.
Se fosse vero quanto dichiarato dall’imputato, quest’ultimo avrebbe accettato, senza protestare vigorosamente, di svolgere il delicato compito di controllo dei motori e di funzionamento di una nave senza averne le relative capacità tecniche con il rischio di far naufragare la nave stessa e di disperdere l’intero equipaggio in alto mare, rischio che difficilmente avrebbe potuto assumere, peraltro, lo stesso Omississ, affidandosi ad un marinaio inesperto per portare a termine l’imponente piano di trasportare 10.366 Kg di droga in alto mare in acque internazionali.
Ancora il fatto che il Omississ desse ordini ai membri dell’equipaggio (circostanza questa ricorrente in tutte le dichiarazioni dei coimputati, i quali non avevano motivo di mentire sul punto, ad eccezione di quelle del Omississ stesso -certamente interessato ad escludere la propria responsabilità e, dunque, inattendibile per quanto diffusamente esposto nel paragrafo sulls podizione dello Stojanovic- e dei due egiziani che invece riferivano di ordini dati dal Omississ anche al Omississ, entrambi inattendibili in quanto additati come colpevoli da tutti gli altri coimputati) non esclude, ad avviso di questo giudice, la consapevolezza e la volontà dell’imputato di partecipare all’illecito contestato non essendo incompatibile con la sussistenza del dolo generico richiesto per il perfezionamento della fattispecie il riconoscimento di un ruolo di direzione dell’ organizzazione dell’attività sulla nave e dell’intero progetto criminoso ad un soggetto determinato se tale circostanza viene letta unitamente alle altre circostanze di seguito richiamate:
- le iniziali dichiarazioni rese dal Omississ sullo stupore da questi manifestato per il fatto che l’Omississ aveva posto a capo dell’equipaggio il Omississ al quale era stata assegnata la cabina migliore e sull’atteggiamento minaccioso del Omississ che lo aveva spinto a non reagire appaiono non credibili in quanto contraddette dallo stesso nel momento in cui poco dopo dichiara di non essersi stupito né di aver chiesto spiegazioni sul cambio del nome della nave e della bandiera prima della partenza e sul cambio dei dati nel sistema A.I.S. (Authomatic Identification System) per la rilevazione ed il tracciamento delle imbarcazioni in mare per cagionarne la manipolazione (e dunque la futura elusione dei controlli) trattandosi di decisioni che spettavano all’armatore, non al comandante e perché lui prendeva ordini e basta; inoltre le predette dichiarazioni appaiono contraddette dalle dichiarazioni rese dal Omississ (che appare attendibile sul punto non avendo motivo di mentire trattandosi di circostanze che non alleggeriscono in alcun modo la propria posizione processuale, per quanto si dirà nel paragrafo sull’imputato) che non riferiva di alcun atteggiamento autoritario o minaccioso del Omississ nei suoi confronti o nei confronti del Omississ precisando, anzi, come quest’ultimo non fosse infastidito per la circostanza che gli ordini sulla nave li desse il Omississ e fosse, anzi, sorridente durante tutto il viaggio; infine, lo stesso Omississ in sede di interrogatorio su precisa domanda del giudice specificava di non essere stato mai minacciato dal Omississ che aveva solo un atteggiamento autoritario;
- il fatto che non siano state ritrovate armi nella nave è un indizio grave e preciso della consapevolezza degli organizzatori di poter contare su un equipaggio che fosse quanto meno in maggioranza consapevole della finalità illecita del viaggio non potendo gli stessi di certo rischiare che gli altri occupanti la nave, accortisi del reale motivo del viaggio in mare, potessero reagire in qualsiasi modo, anche buttando in mare o legando gli organizzatori o sottraendo il telefono satellitare all’imputato olandese compromettendo così la riuscita del progetto criminoso, potendo non essere sufficiente per realizzare il progetto criminoso una mera minaccia verbale;
- la mancanza di qualsiasi reazione da parte dell’imputato nel momento in cui gli sarebbe stato ordinato di sistemare i carichi di droga in stiva senza che nessuno gli avesse detto che cosa contenessero: in particolare, nessuno degli imputati riferisce di reazioni di disappunto deciso e vigoroso sull’opera di caricamento di numerosi pacchi pesanti e voluminosi che andavano nascosti nella cella frigorifero della stiva a fronte della asserita volontà di nasconderne il reale contenuto manifestata dai membri dell’equipaggio non rispondendo alle domande dell’imputato su cosa vi fosse dentro (appare improbabile che se vi fosse stata realmente siffatta reazione nessuno dei sette membri dell’equipaggio, esclusi il capitano ed il Omississ, abbia riferito di “giustificate” grida o tentativi di ribellione da parte di alcuno);
- la dichiarazione del Omississ (che non aveva alcun motivo di mentire sul punto non essendo detta circostanza in alcun modo rilevante in senso favorevole o meno per la sua posizione processuale) che nelle pagine 18-19 del verbale di interrogatorio di garanzia afferma che, dopo aver preso i pacchi, i due ucraini Omississ e Omississ, così come lui stesso e lo Stojanovic, avevano compreso l’illiceità del trasporto e, come loro, avevano capito che vi fosse droga.
In senso contrario a quanto sopra detto non può essere valorizzato come comportamento susseguente al reato, espressione di dissociazione dalla volontà criminale altrui, l’elemento pacifico, in quanto ammesso da tutti gli imputati, del “sequestro” dei telefoni cellulari a bordo posto in essere dal Omississ dopo il caricamento dei pacchi.
Ed invero, anche questo dato, letto unitamente a tutti gli altri elementi sopra evidenziati, non appare di per sé incompatibile con un accordo criminoso comune agli imputati e ciò in quanto la sottrazione dei telefoni cellulari a tutti i membri dell’equipaggio (dunque non solo a chi si professa innocente) appare inserirsi piuttosto in una modalità comportamentale finalizzata ad evitare che , dopo la realizzazione del trasporto illecito, qualcuno dei correi potesse voler comunicare con le proprie famiglie così commettendo una leggerezza ed esponendo di fatto tutti gli altri correi al rischio di farsi rintracciare.
Comprovano siffatta valutazione il fatto che il Omississ, ed anche gli altri imputati, non hanno dichiarato di volere utilizzare il cellulare per chiedere aiuto ma solo per poter chiamare le proprie famiglie visto che finalmente ci si trovava in un punto in cui i cellulari avevano campo nonché quanto dichiarato dal Omississ sulle parole riferite dal Omississ al momento della sottrazione dei cellulari (”non dobbiamo chiamare, non dobbiamo fare segnale, non dobbiamo procurare segnali”).
Ulteriore decisivo argomento di formidabile riscontro della colpevolezza dell’imputato (che annienta, altresì, la rilevanza del sequestro dei cellulari come argomento decisivo di prova dell’innocenza dell’imputato) è, infine, la mancata dissociazione immediata dal progetto criminoso del Omississ (e degli altri) sin dal momento dell’arrivo dei militari della Guardia di finanza presso il natante.
Ed invero, se davvero fosse corrispondente al vero la circostanza che l’imputato aveva subito la minaccia del Omississ per la sistemazione di pacchi di cui sconosceva il contenuto, ignaro della finalità illecita del viaggio appena effettuato, e gli fosse stato impedito di chiedere aiuto con il cellulare, una volta visti i militari salire a bordo della nave avrebbe potuto finalmente chiedere loro aiuto, denunciare i fatti ed aiutarli nel trovare il nascondiglio dei pacchi sospetti cosa, questa, di cui invece non vi è traccia negli atti del procedimento.
Non risulta nemmeno dalle dichiarazioni rese dagli imputati che questi ultimi siano stati costretti in qualsiasi modo da qualcuno dell’equipaggio a non parlare prima dell’arrivo dei militari stessi che avevano dato avviso del fatto che avrebbero ispezionato la nave, per quanto risulta dal verbale versato in atti.
Peraltro ulteriore elemento che comprova quanto testé detto sulla mancata reazione all’attività illecita asseritamente voluta da altri, è l’esercizio iniziale della facoltà di non rispondere da parte dell’imputato in sede di interrogatorio di garanzia circostanza questa che, pur integrando senz’altro un diritto riconosciuto dall’ordinamento, letta unitariamente ai predetti elementi da un lato concorre ad integrare quegli indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di ritenere senz’altro colpevole il Omississ e che, d’altro canto, lumeggia le dichiarazioni rese successivamente relativamente al dubbio su cosa contenessero i pacchi come espressione di una scelta difensiva piuttosto che di reale resipiscenza conforme alla verità dei fatti.
Pertanto, non può essere condiviso quanto affermato dal difensore dell’imputato nell’arringa difensiva in relazione alla analogia della situazione fattuale del caso di specie rispetto a quello analizzato e deciso nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 3229/2016 prodotta in atti e richiamata dallo stesso difensore non risultando provata qui alcuna coazione da parte degli organizzatori del viaggio illecito né alcuna ferma dissociazione dal progetto criminoso da parte dell’imputato per quanto sopra già detto.
Infine, per completezza, ritiene questo giudice che, anche laddove si ritenesse che l’imputato abbia detto il vero circa la mancata risposta degli altri membri dell’equipaggio sulla sua richiesta sul contenuto illecito delle sacche (circostanza questa ritenuta inverosimile per tutto quanto sopra detto) il mero dubbio non ha alcuna rilevanza scusante, considerati anche gli altri elementi forti di sospetto avvertiti dall’imputato, escludendo il mero dubbio la rilevanza dell’errore di fatto ex art. 47 c.p. perché mentre quest’ultimo determina nell’agente la convinzione dell’esistenza di una situazione di fatto che non ha rispondenza nella realtà o che ne ha una diversa, il dubbio, invece, suscita nell’agente un conflitto di giudizi, uno stato di incertezza che, fin quando permane, impedisce il formarsi di quella convinzione soggettiva che è caratteristica dell’errore (così, Cass. pen., sez. II, 19-04-1982; Cass. pen, sez. IV, 26-04-2005, n. 15388).
Va pertanto affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato ascrittogli.
Va riconosciuta, altresì, l’aggravante di aver commesso il fatto in numero superiore a tre persone in concorso tra loro stante il riconoscimento della responsabilità penale al predetto numero di imputati.
Va riconosciuta inoltre l’aggravante dell’ingente quantità.
Richiamandosi questo giudice ai principi giuridici espressi dalla giurisprduenza di legittimità richiamati nel relativo paragrafo, si ritiene che nel caso di specie, in virtù del complessivo principio attivo accertato come esistente nella complessiva sostanza caduta in sequestro riferita all’unica condotta illecita contestata (ricavabile dall’esito dell’accertamento tecnico n. 1475/18 del 12.07.2018 depositato dal P.M. all’udienza del 19.06.2019), sussista la suddetta aggravante, per il superamento del limite soglia indicato nelle pronunce sopra citate avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto quali il numero delle dosi ricavabile, il numero dei tossicodipendenti rifornibili, l’oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, la dimensione internazionale del traffico in oggetto destinato a saturare un mercato di amplissime dimensioni territoriali e umane).
Va riconosciuta, altresì, l’aggravante di cui all’art. 4 Legge 164/2006.
Nel caso di specie, richiamandosi questo giudice alle valutazioni dei principi giuridici espressi dalla Suprema Corte e richiamati nell’apposito paragrafo, ferma restando l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della predetta aggravante, della mancanza di prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso di rilievo internazionale capeggiato dall’Omississ e l’indubbia esistenza sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti di un gruppo organizzato impegnato in più Stati facente capo ai trafficanti della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria (per quanto risulta dalle dichiarazioni dei coimputati rese nel procedimento connesso sull’Omississ e dal ruolo svolto anche in passato dall’Omississ in diverse attività illecite internazionali svolte in più Stati -le indagini svolte dalle F.F.O.O. individuano tale soggetto come il proprietario della moto nave che già nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando e nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati nel procedimento connesso OMISSISS Omississ e omississ- che evidenziano chiaramente il collegamento dell’Omississ con il gruppo internazionale e l’organizzazione del trasporto facente capo ai trafficanti algerini della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria operante almeno tra Malta e Algeria ove è avvenuto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente) ritiene questo giudice che l’effettivo apporto fornito dall’imputato al Omississ ed all’Omississ nella realizzazione del reato contestato, così come sopra accertato, unitamente alle particolari modalità dell’azione realizzatasi mediante il caricamento di 300 colli contenenti 10 tonnellate di droga in alto mare, con un equipaggio composto da soggetti di diversa nazionalità, previo trasbordo da due gommoni portati da soggetti che hanno raggiunto il natante in acque internazionali, al largo dell’Algeria, consenta senz’altro di desumere il raggiungimento della prova della consapevolezza del Omississ sull’esistenza del sodalizio e sui suoi scopi illeciti almeno nel senso della “prevedibilità” o “ignoranza per colpa” della circostanza medesima richiesta ex art. 59 comma 2 c.p. (così, Cass. pen. sez. VI, 13/10/2016, n.52321).
Per tutte le ragioni anzidette va affermata la responsabilità penale dell’imputato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, non si ritiene possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche considerato che la sola incensuratezza dell’imputato non è elemento sufficiente per concederle e che non è ricavabile dagli atti alcun elemento favorevolmente valutabile ex art. 62 bis c.p..
Ciò posto si ritiene equa la pena finale di anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa così determinata: p.b. anni 3 di reclusione ed euro 8000,00 di multa ex art. 133 c.p. in considerazione delle gravi modalità dell’azione e delle circostanze del fatto avvenuto di notte, in acque internazionali, su una nave non identificabile all’esterno per tutto quanto sopra detto, aumentato della metà nella misura di un anno e mesi sei di reclusione ed euro 4000,00 di multa ex artt. 80 comma 2 T.U. in materia di sostanze stupefacenti senza operare un ulteriore aumento per quest’ultima circostanza ex art. 63 comma 4 c.p. tenendo conto del fatto che il massimo di aumento edittale per quest’ultima circostanza è pari alla metà della pena (anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 12000,00 di multa), ulteriormente aumentato ex art. 73 D.p.r. 309/1990 comma 6 c.p. di 1/3 (anni 6 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa), ridotta per il rito di 1/3 ad anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa.
5.3 Omississ
Ad avviso di questo giudice deve essere affermata la penale responsabilità dell’Omississ.
Rileva questo giudice, innanzitutto, come le dichiarazioni rese dall’imputato, non appaiono conformi tra loro relativamente agli aspetti di rilievo penale della vicenda per cui è procedimento.
In particolare, mentre in sede di interrogatorio di garanzia l’imputato aveva dichiarato di essere certo di non aver visto che la nave si fosse fermata né che fosse stata caricata merce (circostanze queste sostanzialmente confermate in sede di incidente probatorio), all’udienza del 19 giugno scorso l’Omississ dichiarava di aver partecipato attivamente, assieme agli egiziani, al Omississ ed al Omississ, alla sistemazione delle casse nella nave su ordine del Omississ senza sapere cosa contenessero i pacchi saliti a bordo.
Considerate le contraddizioni evidenti in cui è incorso l’imputato nelle dichiarazioni rese, rileva questo giudice che, tenuto conto del principio nemo tenetur se detegere e del fatto che le due dichiarazioni iniziali conformi sono state rese previa lettura degli avvisi di legge di cui all’art. 64 comma 3 c.p.p., deve ritenersi che certamente l’imputato ha mentito quando nega di essersi accorto che la nave si era fermata ed aveva caricato merce.
Appare credibile, invece, il fatto che l’imputato abbia aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi nella parte bassa della nave, circostanza, questa, confermata anche dal Omississ (sulla base delle motivazioni espresse sul punto nel paragrafo sulla posizione del Omississ al quale ci si richiama).
Ciò posto, richiamandosi questo giudice ai principi giuridici in materia di concorso di persone nel reato espressi nel relativo paragrafo, si ritiene che nel caso di specie le modalità comportamentali dell’imputato desumibili dalle dichiarazioni rese dallo stesso e dai coimputati (unici elementi concreti, questi, unitamente alle massime di esperienza o ai ragionamenti basati sull’id quod plerumque accidit, dai quali poter desumere le prove nel procedimento de quo in mancanza di ulteriori e diversi riscontri esterni), evidenzino sia il contributo oggettivo sia quello soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto contestato.
Ed invero, quanto al profilo oggettivo l’aver aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi contenenti marijuana integra senz’altro quel contributo causale sufficiente ed idoneo alla condotta illecita altrui già in atto.
Sussiste altresì la prova dell’elemento soggettivo consistente, quanto meno, nell’adesione volontaristica alla condotta illecita altrui.
Sul punto, deve rilevarsi come non possa ritenersi credibile quanto dichiarato dall’imputato circa la mancata conoscenza da parte dello stesso del contenuto dei pacchi trasportati in stiva per le ragioni sopra già esposte e per la conseguente inattendibilità dello stesso né quanto affermato sulla coartazione della sua volontà da parte del Omississ valorizzata dal di lui difensore nel corso dell’arringa difensiva e ciò per le ragioni di seguito indicate.
Innanzitutto appare davvero improbabile che l’imputato, che aveva già viaggiato su una nave per mesi non si stupisca dell’assenza di informazioni da parte del nuovo proprietario del natante sulla rotta da seguire, sia pure in relazione al giro di prova, sui giorni di permanenza in mare, sulla retribuzione che sarebbe stata corrisposta in caso di esito positivo della prova e, soprattutto, sullo svolgimento di un incarico diverso da quello che lo stesso avrebbe dovuto e potuto fare in base alle proprie competenze specifiche (è lo stesso imputato che dice di non avere l’abilitazione come aiuto macchinista).
Se fosse vero quanto dichiarato dall’imputato, quest’ultimo avrebbe accettato, senza protestare vigorosamente, di svolgere il delicato compito di stare nella sala macchine senza averne le relative capacità tecniche con il rischio di far naufragare la nave stessa e di disperdere l’intero equipaggio in alto mare, rischio che difficilmente avrebbe potuto assumere, peraltro, lo stesso Omississ, affidandosi ad un marinaio inesperto per portare a termine l’imponente piano di trasportare 10.366 Kg di droga in alto mare in acque internazionali.
Ancora il fatto che il Omississ desse ordini ai membri dell’equipaggio (circostanza questa ricorrente in tutte le dichiarazioni dei coimputati, i quali non avevano motivo di mentire sul punto, ad eccezione di quelle del Omississ stesso -certamente interessato ad escludere la propria responsabilità e, dunque, inattendibile per quanto diffusamente esposto nel paragrafo sulla posizione dello Stojanovic – e dei due egiziani che invece riferivano di ordini dati dal Omississ anche al Omississ, entrambi inattendibili in quanto additati come colpevoli da tutti gli altri coimputati) non esclude, ad avviso di questo giudice, la consapevolezza e la volontà dell’imputato di partecipare all’illecito contestato non essendo incompatibile con l’accordo criminoso con l’imputato il conferimento dell’incarico di direzione dell’ attività di organizzazione dei compiti sulla nave e dell’intero progetto criminoso ad un soggetto determinato se tale circostanza viene letta unitamente alle altre circostanze di seguito richiamate:
- le iniziali dichiarazioni rese dal Omississ sullo stupore da questi manifestato per il fatto che l’Omississ aveva posto a capo dell’equipaggio il Omississ al quale era stata assegnata la cabina migliore e sull’atteggiamento minaccioso del Omississ che lo aveva spinto a non reagire appaiono non credibili in quanto contraddette dallo stesso nel momento in cui poco dopo dichiara di non essersi stupito né di aver chiesto spiegazioni sul cambio del nome della nave e della bandiera prima della partenza e sul cambio dei dati nel sistema A.I.S. (Authomatic Identification System) per la rilevazione ed il tracciamento delle imbarcazioni in mare per cagionarne la manipolazione (e dunque la futura elusione dei controlli) trattandosi di decisioni che spettavano all’armatore, non al comandante e perché lui prendeva ordini e basta; inoltre le predette dichiarazioni appaiono contraddette dalle dichiarazioni rese dal Omississ (che appare attendibile sul punto non avendo motivo di mentire sul punto trattandosi di circostanze che non alleggeriscono in alcun modo la propria posizione processuale) che non riferiva di alcun atteggiamento autoritario o minaccioso del Omississ nei suoi confronti o nei confronti del Omississ precisando, anzi, come quest’ultimo non fosse infastidito per la circostanza che gli ordini sulla nave li desse il Omississ e fosse, anzi, sorridente durante tutto il viaggio; infine, lo stesso Omississ in sede di interrogatorio su precisa domanda del giudice specificava di non essere stato mai minacciato dal Omississ che aveva solo un atteggiamento autoritario.
- il fatto che non siano state ritrovate armi nella nave è un indizio grave e preciso della consapevolezza degli organizzatori di poter contare su un equipaggio (che fosse quanto meno in maggioranza) consapevole della finalità illecita del viaggio non potendo gli stessi di certo rischiare che gli altri occupanti la nave accortisi del reale motivo del viaggio in mare, potessero reagire in qualsiasi modo, anche buttando in mare o legando gli organizzatori o sottraendo il telefono satellitare all’olandese compromettendo così la riuscita del progetto criminoso, potendo non essere sufficiente una mera minaccia verbale;
- la mancanza di qualsiasi reazione dell’imputato nel momento in cui gli sarebbe stato ordinato di sistemare i carichi di droga in stiva senza che nessuno gli avesse detto che cosa contenessero: in particolare, nessuno degli imputati riferisce di reazioni di disappunto deciso e vigoroso sull’opera di caricamento di numerosi pacchi pesanti e voluminosi che andavano nascosti nella cella frigorifero della stiva a fronte della volontà di nasconderne il reale contenuto manifestata dai membri dell’equipaggio non rispondendo alle domande dell’imputato su cosa vi fosse dentro (appare improbabile che se vi fosse stata siffatta reazione nessuno dei sette membri dell’equipaggio, esclusi il capitano ed il Omississ, abbia riferito di “giustificate” grida o tentativi di ribellione da parte di alcuno);
- la dichiarazione del Omississ (che non aveva alcun motivo di mentire sul punto non essendo detta circostanza in alcun modo rilevante in senso favorevole o meno per la sua posizione processuale) che nelle pagine 18-19 del verbale di interrogatorio di garanzia afferma che, dopo aver preso i pacchi, i due ucraini Omississ e Omississ, così come lui stesso e lo Stojanovic, avevano compreso l’illiceità del trasporto e, come loro, avevano capito che vi fosse droga.
In senso contrario a quanto sopra detto non può essere valorizzato come comportamento susseguente al reato, espressione di dissociazione dalla volontà criminale altrui, l’elemento pacifico, in quanto ammesso dagli altri imputati, del “sequestro” dei telefoni cellulari a bordo posto in essere dopo il caricamento dei pacchi.
Ed invero, anche questo dato, letto unitamente a tutti gli altri elementi sopra evidenziati, non appare di per sé incompatibile con un accordo criminoso comune agli imputati e ciò in quanto la sottrazione dei telefoni cellulari a tutti i membri dell’equipaggio (dunque non solo a chi si professa innocente) appare inserirsi piuttosto in una modalità comportamentale finalizzata ad evitare che, dopo la realizzazione del trasporto illecito, qualcuno dei correi potesse voler comunicare con le proprie famiglie così commettendo una leggerezza ed esponendo di fatto tutti gli altri correi al rischio di farsi rintracciare.
Comprovano siffatta valutazione il fatto che l’imputato, ed anche gli altri coimputati, non hanno dichiarato di volere utilizzare il cellulare per chiedere aiuto ma solo per poter chiamare le proprie famiglie visto che finalmente ci si trovava in un punto in cui i cellulari avevano campo nonché quanto dichiarato dal Omississ sulle parole riferite dal Omississ al momento della sottrazione dei cellulari (”non dobbiamo chiamare, non dobbiamo fare segnale, non dobbiamo procurare segnali”).
Ulteriore decisivo argomento di formidabile riscontro della colpevolezza dell’imputato (che annienta, altresì, la rilevanza del sequestro dei cellulari come argomento decisivo di prova dell’innocenza dell’imputato) è, infine, la mancata dissociazione immediata dal progetto criminoso dell’imputato (e degli altri) sin dal momento dell’arrivo dei militari della Guardia di finanza presso il natante.
Ed invero, se davvero fosse corrispondente al vero la circostanza che l’imputato avesse subito la minaccia del Omississ per la sistemazione di pacchi di cui sconosceva il contenuto, ignaro della finalità illecita del viaggio appena effettuato e gli fosse stato impedito di chiedere aiuto con il cellulare, una volta visti i militari salire a bordo della nave avrebbe potuto finalmente chiedere loro aiuto, denunciare i fatti ed aiutarli nel trovare il nascondiglio dei pacchi sospetti cosa, questa, di cui invece non vi è traccia negli atti del procedimento.
Non risulta nemmeno da nessuna delle dichiarazioni rese dagli imputati che questi ultimi siano stati costretti da qualcuno dell’equipaggio in qualsiasi modo a non parlare prima dell’arrivo dei militari stessi che avevano dato avviso del fatto che avrebbero ispezionato la nave, per quanto risulta dal verbale versato in atti.
Peraltro ulteriore elemento che comprova quanto testé detto sulla mancata reazione all’attività illecita asseritamente voluta da altri, è l’aver mentito inizialmente sul contributo fornito nella sistemazione dei pacchi contenente la droga cosa che, pur integrando senz’altro un diritto riconosciuto dall’ordinamento, letta unitariamente ai predetti elementi da un lato concorre ad integrare quegli indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di ritenere senz’altro colpevole l’Omississ e, dall’altro lato, lumeggia le dichiarazioni rese successivamente relativamente al dubbio su cosa contenessero i pacchi come espressione di una scelta difensiva piuttosto che di reale resipiscenza conforme alla verità dei fatti.
Pertanto, non può essere condiviso quanto affermato dal difensore dell’imputato nell’arringa difensiva in relazione alla analogia della situazione fattuale del caso di specie rispetto a quello analizzato e deciso nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 3229/2016 prodotta in atti e richiamata dallo stesso difensore non risultando provata qui alcuna coazione da parte degli organizzatori del viaggio illecito né alcuna ferma dissociazione dal progetto criminoso da parte dell’imputato per quanto sopra detto.
Infine, per completezza, ritiene questo giudice che, anche laddove si ritenesse che l’imputato abbia detto il vero circa la mancata risposta degli altri membri dell’equipaggio sulla sua richiesta sul contenuto illecito delle sacche (circostanza questa ritenuta inverosimile per tutto quanto sopra detto) il mero dubbio non ha alcuna rilevanza scusante, considerati anche gli altri elementi forti di sospetto avvertiti dall’imputato, escludendo il mero dubbio la rilevanza dell’errore di fatto ex art. 47 c.p. perché mentre quest’ultimo determina nell’agente la convinzione dell’esistenza di una situazione di fatto che non ha rispondenza nella realtà o che ne ha una diversa, il dubbio, invece, suscita nell’agente un conflitto di giudizi, uno stato di incertezza che, fin quando permane, impedisce il formarsi di quella convinzione soggettiva che è caratteristica dell’errore (così, Cass. pen., sez. II, 19-04-1982; Cass. pen, sez. IV, 26-04-2005, n. 15388).
Va pertanto affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato ascrittogli.
Va riconosciuta altresì l’aggravante di aver commesso il fatto in numero superiore a tre persone in concorso tra loro stante il riconoscimento della responsabilità penale al predetto numero di imputati.
Va riconosciuta inoltre l’aggravante dell’ingente quantità.
Richiamandosi questo giudice ai principi giuridici espressi sul punto dalla Suprema Corte nell’apposito paragrafo, si ritiene che nel caso di specie, in virtù del complessivo principio attivo accertato come esistente nella complessiva sostanza caduta in sequestro riferita all’unica condotta illecita contestata (ricavabile dall’esito dell’accertamento tecnico n. 1475/18 del 12.07.2018 depositato dal P.M. all’udienza del 19.06.2019), sulla base dei principi richiamati, deve ritenersi la sussistenza della suddetta aggravante, per il superamento del limite soglia indicato nelle pronunce sopra citate avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto quali il numero delle dosi ricavabile, il numero dei tossicodipendenti rifornibili, l’oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, la dimensione internazionale del traffico in oggetto destinato a saturare un mercato di amplissime dimensioni territoriali e umane).
Non va invece riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 4 Legge 164/2006.
Ed invero, richiamandosi questo giudice ai principi giuridici espressi dalla giurisprudenza di legittimità illustrati nell’apposito paragrafo, ferma restando l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della predetta aggravante, della mancanza di prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso di rilievo internazionale capeggiato dall’Omississ e l’indubbia esistenza sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti di un gruppo organizzato impegnato in più Stati facente capo ai trafficanti della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria (per quanto risulta dalle dichiarazioni dei coimputati rese nel procedimento connesso sull’Omississ e dal ruolo svolto anche in passato dall’Omississ in diverse attività illecite internazionali svolte in più Stati -le indagini svolte dalle F.F.O.O. individuano tale soggetto come il proprietario della moto nave che già nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando e nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati nel procedimento connesso OMISSISS Omississ e AHMED MOHAMED ABDEL Rahim El Refaey- che evidenziano chiaramente il collegamento dell’Omississ con il gruppo internazionale e l’organizzazione del trasporto facente capo ai trafficanti algerini della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria operante almeno tra Malta e Algeria ove è avvenuto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente) ritiene questo giudice che l’effettivo apporto fornito dall’imputato al Omississ ed all’Omississ nella realizzazione del reato contestato, così come sopra accertato, unitamente alle particolari modalità dell’azione realizzatasi mediante il caricamento di 300 colli contenenti 10 tonnellate di droga in alto mare, con un equipaggio composto da soggetti di diversa nazionalità, previo trasbordo da due gommoni portati da soggetti che hanno raggiunto il natante in acque internazionali, al largo dell’Algeria, consenta senz’altro di desumere il raggiungimento della prova della consapevolezza dell’Omississ sull’esistenza del sodalizio e sui suoi scopi illeciti almeno nel senso della “prevedibilità” o “ignoranza per colpa” della circostanza medesima richiesta ex art. 59 comma 2 c.p. (così, Cass. pen. sez. VI, 13/10/2016, n.52321).
Per tutte le ragioni anzidette va affermata la responsabilità penale dell’imputato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, non si ritiene possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche considerato che la sola incensuratezza dell’imputato non è elemento sufficiente per concederle e che non è ricavabile dagli atti alcun elemento favorevolmente valutabile ex art. 62 bis c.p..
Ciò posto si ritiene equa la pena finale di anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa così determinata: p.b. anni 3 di reclusione ed euro 8000,00 di multa ex art. 133 c.p. in considerazione delle gravi modalità dell’azione e delle circostanze del fatto avvenuto di notte, in acque internazionali, su una nave non identificabile all’esterno per tutto quanto sopra detto, aumentato della metà nella misura di un anno e mesi sei di reclusione ed euro 4000,00 di multa ex artt. 80 comma 2 T.U. in materia di sostanze stupefacenti senza operare un ulteriore aumento per quest’ultima circostanza ex art. 63 comma 4 c.p. tenendo conto del fatto che il massimo di aumento edittale per quest’ultima circostanza è pari alla metà della pena (anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 12000,00 di multa), ulteriormente aumentato ex art. 73 D.p.r. 309/1990 comma 6 c.p. di 1/3 (anni 6 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa), ridotta per il rito di 1/3 ad anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa.
5.4 Omississ
Ad avviso di questo giudice deve essere affermata la penale responsabilità del Omississ.
Rileva questo giudice, innanzitutto, come le dichiarazioni rese dall’imputato, sopra riportate nel paragrafo 4, non appaiano credibili.
In particolare, appare difficile immaginare innanzitutto che possa essere stata offerta una retribuzione così alta (pari ad un importo compreso tra i quattro ed i dieci mila euro) per fare il cuoco su una nave per un periodo massimo di undici giorni e che detto importo fosse variabile in base al numero delle persone che sarebbero state caricate: non si comprende da dove avrebbero dovuto essere caricate queste ultime, la ragione del “prelievo” delle persone e della variazione del loro numero.
In secondo luogo appaiono tra loro contraddittorie le successive dichiarazioni rese dall’imputato stesso avendo quest’ultimo da un lato negato di essersi accorto del fatto che la nave si fosse fermata e che alcuni gommoni si fossero avvicinati perché dormiva a causa delle pillole che prendeva per il mal di mare (pur avendo affermato anche di aver sentito dei rumori vicino alla camera tanto da averlo riferito ai militari della Guardia di finanza), e dall’altro lato avendo dichiarato di aver capito che qualcosa non andava solo successivamente quando Omississ, dicendo:”non dobbiamo chiamare, non dobbiamo fare segnale, non dobbiamo procurare segnali”, gli aveva tolto il telefono al ritorno verso Lampedusa, quando lui aveva voglia di sentire la moglie ed i figli.
Nonostante i dubbi maturati, poi, l’imputato si era limitato a commentare l’accaduto con il Comandante che gli aveva detto che stavano andando verso l’Egitto per fare manutenzione sulla nave e, nonostante la risposta fornita, davvero priva di senso rispetto alla domanda posta, il Omississ non aveva fatto nulla di significativo per capire meglio la situazione né aveva protestato in alcun modo.
Infine, il tentativo dell’imputato di parlare con i militari della Guardia di finanza, una volta arrivati sulla nave, non risulta in alcun modo documentato dai verbalizzanti nei verbali versati in atti che fanno prova fino a querela di falso.
Appaiono, invece, credibili le dichiarazioni spontanee sostanzialmente conformi rese dai coimputati Omississ Volodymye ed Omississ Emin sulla circostanza che l’imputato italiano abbia aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi nella parte bassa della nave.
Ed invero le predette dichiarazioni (che provenendo da coimputati soggiacciono alle regole di cui all’art. 192 c. 3 c.p.p., così, Cass. pen., sez. VI , 03/10/2013 , n. 13085 e Cass. pen., 22.09.1998 n. 211392) non solo provengono da soggetti che non risulta abbiano motivi di astio nei confronti del Omississ e che si riscontrano tra loro ma non appaiono smentite né da quanto sostenuto dal Omississ (che sul punto si limita a dire di non aver potuto vedere chi aveva aiutato a caricare i pacchi trovandosi nella plancia della nave facendo solo una supposizione sulla presenza di tutti i membri dell’equipaggio dovuta al fatto che nessuno si trovava lì con lui in quel momento) né da quanto affermato da Mohamed Ali Elbosaty, in sede di interrogatorio di garanzia, essendosi lo stesso limitato a riferire della presenza di alcuni soltanto dei membri dell’equipaggio (ad eccezione del capitano, di chi stava ai motori e di chi cucinava sotto) nel momento del prelievo dei carichi dal gommone alla nave e non, invece, nel momento successivo della sistemazione dei pacchi nella stiva. Circostanza questa che, peraltro, collima perfettamente con quanto riferito dal Omississ sul fatto che lo stesso non sapeva chi avesse preso il carico dai gommoni e che era intervenuto successivamente per smistare e sistemare i pacchi nelle stanze solo dopo che l’egiziano Ahmed ed il collega Emin stavano già aiutando; quindi dopo una mezz’ora li avevano raggiunti gli egiziani, l’olandese, l’italiano.
Le diverse dichiarazioni rese dal Omississ devono ritenersi inattendibili per quanto meglio argomentato nel paragrafo seguente sulla posizione dello Stojanovic.
Richiamandosi questo giudice ai principi giuridici sopra esposti nell’apposito paragrafo sul concorso di persone nel reato, si ritiene che, nel caso di specie, le modalità comportamentali delll’imputato desumibili dalle dichiarazioni rese dallo stesso e dai coimputati (unici elementi concreti, questi, unitamente alle massime di esperienza o ai ragionamenti basati sull’id quod plerumque accidit, dai quali poter desumere le prove nel procedimento de quo in mancanza di ulteriori e diversi riscontri esterni), evidenzino sia il contributo oggettivo sia quello soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto contestato.
Ed invero, quanto al profilo oggettivo l’aver aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi contenenti marijuana integra senz’altro quel contributo causale sufficiente ed idoneo alla condotta illecita altrui in atto.
Sussiste altresì la prova dell’elemento soggettivo consistente nell’ accordo criminoso con gli organizzatori del viaggio.
Sul punto, deve rilevarsi come, a fronte delle dichiarazioni rese dai coimputati sul contributo concreto fornito dall’imputato nel sistemare a bordo della nave i pacchi contenenti marijuana, debba ritenersi che l’imputato abbia mentito sulle circostanze che riguardano la propria posizione processuale tentando di allontanare su di sé ogni sospetto e, soprattutto, sulla sua mancata conoscenza dell’arresto della nave e del caricamento dei pacchi dal gommone e, quindi, sulla mancanza di consapevolezza e volontà di concorrere nell’illecito contestato; inoltre, non appare convincente quanto sostenuto dal di lui difensore nell’arringa difensiva relativamente alla coartazione della sua volontà da parte degli organizzatori del traffico illecito proprio in considerazione del fatto che lo stesso Omississ nega qualsiasi tipo di coartazione subita da lui o dallo stesso Omississ da parte del Omississ o di chiunque altro (cfr. quanto sopra già riportato:”l’indomani sarebbe arrivato il Omississ, il Comandante. Il Omississ comandava. Al Omississ questa cosa non dava fastidio né protestava, rideva sempre. Non gli sembrava che il Omississ avesse un tono autoritario”) così contraddicendo quanto dichiarato dal Omississ sull’atteggiamento minaccioso del Omississ nei suoi confronti e nei confronti dei membri dell’equipaggio.
Ancora, assume rilievo la mancanza di qualsiasi reazione da parte dell’imputato: in particolare, nessuno degli imputati riferisce di reazioni di disappunto deciso e vigoroso sull’opera di caricamento di numerosi pacchi pesanti e voluminosi che andavano nascosti nella cella frigorifero della stiva (appare improbabile che se vi fosse stata siffatta reazione nessuno dei sette membri dell’equipaggio, esclusi il capitano ed il Omississ, abbia riferito di “giustificate” grida o tentativi di ribellione da parte di alcuno).
In senso contrario a quanto sopra detto non può essere valorizzato come comportamento susseguente al reato, espressione di dissociazione dalla volontà criminale altrui, l’elemento pacifico, in quanto ammesso da tutti gli imputati, del “sequestro” dei telefoni cellulari a bordo posto in essere dopo il caricamento dei pacchi.
Ed invero, anche questo dato, letto unitamente a tutti gli altri elementi sopra evidenziati, non appare di per sé incompatibile con un accordo criminoso già comune (o divenuto comune) a tutti gli imputati e ciò in quanto la sottrazione dei telefoni cellulari a tutti i membri dell’equipaggio (dunque non solo a chi si professa innocente) appare inserirsi piuttosto in una modalità comportamentale finalizzata ad evitare che, dopo la realizzazione del trasporto illecito, qualcuno dei correi si pentisse di quanto era stato fatto ovvero fosse intenzionato a comunicare con le proprie famiglie così esponendo di fatto tutti gli altri correi al rischio di farsi rintracciare.
In senso contrario a quanto sopra ritenuto non può assumere rilievo determinante la circostanza riferita dall’Omississ e dal Omississ sulla coartazione subita (gli sarebbe stato ordinato di caricare la merce e gli sarebbe stato detto:”state zitti”).
Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal difensore del Omississ in sede di repliche, il fatto che l’Omississ dica in sede di dichiarazioni spontanee che poi erano arrivate tutte le altre persone (incluso, tra queste, l’italiano) coincide con quanto detto dal Omississ sempre in sede di dichiarazioni spontanee in quanto quest’ultimo, mentre inizialmente parla dell’intervento dell’egiziano, subito dopo si corregge riportando dichiarazioni analoghe a quelle del coimputato.
Comprova siffatta valutazione il fatto che il Omississ, ed anche gli altri imputati, non hanno dichiarato di volere utilizzare il cellulare per chiedere aiuto ma solo per poter chiamare le proprie famiglie visto che finalmente gli stessi si trovavano in un punto in cui c’era campo nonché le stesse dichiarazioni rese dal Omississ sulle reali finalità del sequestro dei cellulari manifestate dal Omississ:”non dobbiamo chiamare, non dobbiamo fare segnale, non dobbiamo procurare segnali”, frasi che, formulate con il “noi” piuttosto che con il “voi”, postulano una intesa condivisa sul programma criminoso supportata certamente da una regia di comando che non appare, però, estranea, nelle intenzioni, agli altri membri dell’equipaggio.
Ulteriore decisivo argomento di formidabile riscontro della colpevolezza dell’imputato (che annienta, altresì, la rilevanza del sequestro dei cellulari come argomento decisivo di prova dell’innocenza dell’imputato) è, infine, la mancata dissociazione immediata dal progetto criminoso dell’imputato (e degli altri) sin dal momento dell’arrivo dei militari della Guardia di finanza presso il natante.
Ed invero, se davvero fosse corrispondente al vero la circostanza che all’imputato fosse stato impedito di chiedere aiuto con il cellulare, ignaro della finalità illecita del viaggio appena effettuato, una volta visti i militari salire a bordo della nave, lo stesso avrebbe potuto finalmente chiedere loro aiuto, denunciare i fatti ed aiutarli nel trovare il nascondiglio dei pacchi sospetti cosa, questa, di cui invece non vi è traccia nei verbali del procedimento, che fanno piena prova fino a querela di falso, nonostante le dichiarazioni rese dal Omississ sul punto.
Non risulta nemmeno da nessuna delle dichiarazioni rese dagli imputati che questi ultimi siano stati costretti da qualcuno dell’equipaggio in qualsiasi modo a non parlare prima dell’arrivo dei militari stessi che avevano dato avviso del fatto che avrebbero ispezionato la nave, per quanto risulta dal verbale versato in atti.
Peraltro ulteriore elemento che comprova quanto testé detto sulla mancata reazione all’attività illecita asseritamente voluta da altri è l’aver mentito sul contributo fornito nella sistemazione dei pacchi contenente la droga cosa che, pur integrando senz’altro un diritto riconosciuto dall’ordinamento, letta unitariamente ai predetti elementi concorre ad integrare quegli indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di ritenere senz’altro colpevole il Omississ.
Va pertanto affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato ascrittogli.
Va riconosciuta altresì l’aggravante di aver commesso il fatto in numero superiore a tre persone in concorso tra loro stante il riconoscimento della responsabilità penale al predetto numero di imputati.
Va riconosciuta inoltre l’aggravante dell’ingente quantità.
Richiamandosi ai principi giuridici già espressi nell’apposito paragrafo, nel caso di specie, in virtù del complessivo principio attivo accertato come esistente nella complessiva sostanza caduta in sequestro riferita all’unica condotta illecita contestata (ricavabile dall’esito dell’accertamento tecnico n. 1475/18 del 12.07.2018 depositato dal P.M. all’udienza del 19.06.2019), deve ritenersi la sussistenza della suddetta aggravante, per il superamento del limite soglia indicato nelle pronunce sopra citate avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto quali il numero delle dosi ricavabile, il numero dei tossicodipendenti rifornibili, l’oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, la dimensione internazionale del traffico in oggetto destinato a saturare un mercato di amplissime dimensioni territoriali e umane).
Va altresì riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 4 Legge 164/2006.
Ed invero, richiamandosi questo giudice ai principi giuridici espressi dalla giurisprudenza di legittimità illustrati nell’apposito paragrafo, ferma restando l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della predetta aggravante, della mancanza di prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso di rilievo internazionale capeggiato dall’Omississ e l’indubbia esistenza sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti di un gruppo organizzato impegnato in più Stati facente capo ai trafficanti della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria (per quanto risulta dalle dichiarazioni dei coimputati rese nel procedimento connesso sull’Omississ e dal ruolo svolto anche in passato dall’Omississ in diverse attività illecite internazionali svolte in più Stati -le indagini svolte dalle F.F.O.O. individuano tale soggetto come il proprietario della moto nave che già nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando e nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati nel procedimento connesso OMISSISS Omississ e AHMED MOHAMED ABDEL Rahim El Refaey- che evidenziano chiaramente il collegamento dell’Omississ con il gruppo internazionale e l’organizzazione del trasporto facente capo ai trafficanti algerini della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria operante almeno tra Malta e Algeria ove è avvenuto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente) ritiene questo giudice che l’effettivo apporto fornito dall’imputato al Omississ ed all’Omississ nella realizzazione del reato contestato, così come sopra accertato, unitamente alle particolari modalità dell’azione realizzatasi mediante il caricamento di 300 colli contenenti 10 tonnellate di droga in alto mare, con un equipaggio composto da soggetti di diversa nazionalità, previo trasbordo da due gommoni portati da soggetti che hanno raggiunto il natante in acque internazionali, al largo dell’Algeria, consenta senz’altro di desumere il raggiungimento della prova della sua piena consapevolezza sull’esistenza del sodalizio e sui suoi scopi illeciti ex art. 59 comma 2 c.p. (così, Cass. pen. sez. VI, 13/10/2016, n.52321) potendosi desumere da tutti gli elementi sopra individuati il pieno coinvolgimento dell’imputato negli accordi che hanno preceduto il carico ed il trasporto della droga da parte del gruppo soprattutto tenuto conto della pregressa conoscenza dell’Omississ da parte dello stesso, delle contraddizioni in cui lo stesso è incorso nel parlare dei fatti in oggetto e dell’assurdità delle dichiarazioni rese sull’ingaggio come cuoco nella nave per un compenso variabile tra quattro mila e dieci mila euro per le ragioni già esposte.
L’imputato va pertanto ritenuto penalemnte responsabile per tutte le ragioni anzidette.
Quanto al trattamento sanzionatorio, non si ritiene possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche considerata la mancanza di incensuratezza ed il fatto che in ogni caso non è ricavabile dagli atti alcun elemento favorevolmente valutabile ex art. 62 bis c.p..
Ciò posto si ritiene equa la pena finale di anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa così determinata: p.b. anni 3 di reclusione ed euro 8000,00 di multa ex art. 133 c.p. in considerazione delle gravi modalità dell’azione e delle circostanze del fatto avvenuto di notte, in acque internazionali, su una nave non identificabile all’esterno per tutto quanto sopra detto, aumentato della metà nella misura di un anno e mesi sei di reclusione ed euro 4000,00 di multa ex artt. 80 comma 2 T.U. in materia di sostanze stupefacenti senza operare un ulteriore aumento per quest’ultima circostanza ex art. 63 comma 4 c.p. tenendo conto del fatto che il massimo di aumento edittale per quest’ultima circostanza è pari alla metà della pena (anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 12000,00 di multa), ulteriormente aumentato ex art. 73 D.p.r. 309/1990 comma 6 c.p. di 1/3 (anni 6 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa), ridotta per il rito di 1/3 ad anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa.
5.5 Stojanovic Savo
Ciò posto, ad avviso di questo giudice deve essere affermata la penale responsabilità dello Stojanovic.
In punto di diritto, questo giudice si richiama ai principi giuridici già espressi negli appositi paragrafi sul concorso di persone nel reato e sulla valenza giuridica delle dichiarazioni degli imputati.
Ciò posto, rileva questo giudice, innanzitutto, come le dichiarazioni rese dall’imputato in relazione alla mancata consapevolezza del traffico illecito di droga realizzato all’interno e per mezzo della nave di cui era capo macchinista non appaiano credibili alla luce delle diverse dichiarazioni rese dagli altri coimputati nel corso del procedimento e di quelle rilasciate dal di lui figlio ex art. 391 bis c.p.p.
In particolare, la dichiarazione dell’uomo di essersi stupito soltanto del mancato rispetto di talune procedure all’interno della nave prima di salpare, della mancata consegna di copia del contratto, della mancata individuazione della rotta da seguire, del mancato rientro a Malta dopo i tre giorni promessi, di non essersi accorto del fatto che la nave si era fermata avendo la stessa solo rallentato e di dormire mentre si avvicinavano i gommoni alla nave e veniva caricata la merce, appaiono smentite dalle dichiarazioni rese dagli altri coimputati relativamente alla circostanza che la nave si era fermata nonché da quelle rese dal Omississ in sede di incidente probatorio relativamente al fatto che tutti i membri dell’equipaggio avevano aiutato a sistemare i pacchi contenenti marijuana nella parte bassa della nave.
Con riferimento alle sole dichiarazioni rese dall’Omississ a pag. 6 del verbale di interrogatorio fonoregistrato (l’imputato aveva negato che la nave si fosse fermata) le stesse non appaiono in alcun modo credibili inserendosi in un contesto più ampio di dichiarazioni finalizzate a negare in toto la propria responsabilità, poi del tutto modificate all’udienza del 13.02.2019 in sede di dichiarazioni spontanee per quanto sopra detto.
Ed invero, a fronte della domanda del gip se erano mai stati fermi per un’ora, un’ora e mezza l’imputato dichiarava che a un certo punto la nave aveva rallentato; quando il giudice incalzava:”ma si è fermata e ci sono state delle piccole imbarcazioni che si sono avvicinate? L’imputato rispondeva:”non l’ho visto questo…sono certo…non si è accorto di nulla”.
Pertanto, ritiene questo giudice che, in applicazione dei principi esposti nel paragrafo n. 3.1 sulla “valutazione frazionata” delle dichiarazioni accusatorie, non possa essere attribuita piena attendibilità e valenza probatoria alle dichiarazioni rese dall’Omississ.
Ed invero, richiamando i principi espressi da Cass. pen. sez. I, 27/04/2017, n.18018 (secondo cui “in tema di valutazione della chiamata in correità, vale il principio di “frazionabilità” delle dichiarazioni accusatorie rese dalla stessa persona, nel senso che l’esclusione dell’attendibilità di una parte del racconto non implica di per sé un giudizio di inattendibilità con riferimento alle altre parti del medesimo racconto che risultino intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, ma ciò a condizione, da un lato, che non sussista interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa (o comunque inattendibile) e le rimanenti parti del racconto, e, dall’altro, che l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante….”, ritiene questo giudice che l’Omississ non sia per nulla credibile essendo le relative affermazioni (di cui lo stesso si diceva “certo”) evidentemente finalizzate a negare la propria responsabilità penale e non trovando siffatte dichiarazioni supporto in alcun idoneo riscontro esterno ma essendo, anzi, del tutto smentite dalle dichiarazioni rese dagli altri coimputati che concordemente hanno affermato che la nave si era fermata nelle coste della Tunisia nonché da quelle successive rese dallo stesso imputato all’udienza del 13 febbraio 2019 che ha addirittura affermato di aver contribuito a sistemare i pacchi nella nave.
Quanto alle altre dichiarazioni rese dal Omississ (sul fatto che tutti i membri dell’equipaggio avevano aiutato a sistemare i pacchi contenenti marijuana nella parte bassa della nave), le stesse appaiono credibili in sé e comprovate dal riscontro esterno costituito dalle analoghe dichiarazioni rese dall’Omississ in sede di dichiarazioni spontanee all’udienza del 13 febbraio 2019.
Ed invero le predette dichiarazioni (che provenendo da coimputati soggiacciono alle regole di cui all’art. 192 c. 3 c.p.p., così, Cass. pen., sez. VI , 03/10/2013 , n. 13085 e Cass. pen., 22.09.1998 n. 211392) non solo provengono da soggetti che non risulta abbiano motivi di astio nei confronti dello Stojanovic e che si riscontrano tra loro ma non appaiono smentite né da quanto sostenuto dal Omississ (che sul punto si limita a dire di non aver potuto vedere chi aveva aiutato a caricare i pacchi trovandosi nella plancia della nave facendo solo una supposizione sulla presenza di tutti i membri dell’equipaggio dovuta al fatto che nessuno si trovava lì con lui in quel momento) né da quanto affermato da Mohamed Ali Elbosaty, in sede di interrogatorio di garanzia, essendosi lo stesso limitato a riferire della presenza di alcuni soltanto dei membri dell’equipaggio (ad eccezione del capitano, di chi stava ai motori e di chi cucinava sotto) nel momento del prelievo dei carichi dal gommone alla nave e non, invece, nel momento successivo della sistemazione dei pacchi nella stiva. Circostanza, questa che peraltro, collima perfettamente con quanto riferito dal Omississ sul fatto che lo stesso non sapeva chi avesse preso il carico dai gommoni mentre tutti avevano partecipato allo smistamento e la sistemazione dei pacchi nelle stanze e lui era intervenuto successivamente solo dopo che l’egiziano Ahmed ed il collega Omississ stavano già aiutando e con quanto riferito da quest’ultimo che dice che in un primo momento avevano aiutato solo lui, l’egiziano e Omississ e dopo erano arrivate tutte le altre persone e il Omississ gli aveva detto di aiutare a mettere quelle cose nella stanza cargo.
Inoltre il Omississ dichiarava che l’imputato, così come lo stesso Omississ, dopo il caricamento dei pacchi si era reso conto del fatto che era stata caricata droga dentro la nave e che, arrivati qualche giorno dopo in una zona in cui c’era campo, il Omississ aveva sequestrato a tutti il cellulare.
Si riportano di seguito le dichiarazioni del Omississ sul punto:”una volta arrivati in Algeria verso il 25 maggio di sera, l’imbarcazione veniva avvicinata da due gommoni dal lato destro. Lui si trovava da solo in plancia. Le operazioni di trasbordo delle valigette dai gommoni a bordo fatte utilizzando la gru di bordo, durano circa un’ora….. Egli si rendeva conto che un’attività illecita era in corso e che dentro i pacchi vi fosse droga. All’altezza di Pantelleria, agganciando dei ponti radio, contattava telefonicamente la moglie in Romania, rappresentandole di avere caricato a bordo merci strane (forse droga o armi). Al che OMISSISS, vedendo sia lui sia il croato utilizzare il telefono, requisiva il cellulare a tutti i membri dell’equipaggio, gridando trattarsi di un ordine di Paul OMISSISS. OMISSISS ordinava poi al croato di andare velocissimi verso Alessandria e poi cancellava dalle mappe le rotte effettuate…”. In sede di interrogatorio alla domanda del gip se il Omississ avesse visto negli altri membri dell’equipaggio un comportamento particolare dopo che avevano preso le balle l’uomo rispondeva che il direttore di macchina croato (Stojanovic) gli chiedeva:”che facciamo”? perché anche lui “sapeva”, si rendeva conto di quello che stavano facendo (pagg. 17-19 verbale interrogatorio fonoregistrato).
Il sequestro dei cellulari a tutti i membri dell’equipaggio è circostanza confermata anche dagli altri coimputati.
Siffatte dichiarazioni, riscontrandosi tra loro a vicenda, appaiono credibili.
L’unico ad aver rilasciato dichiarazioni diverse sul punto in sede di incidente probatorio è Omississ Omississ che inizialmente si avvaleva della facoltà di non rispondere.
In particolare ritiene questo giudice di dover riportare di seguito nuovamente per intero in corsivo le dichiarazioni rese dall’imputato al fine di dedurne la non credibilità.
L’uomo dichiarava di essere nipote dell’Omississ, che gli aveva offerto questo lavoro all’interno della nave avendo lo stesso un’esperienza di quindici anni di navigazione; avendo lavorato per l’Omississ. Sapeva che sarebbe stato un viaggio di prova. Lui aveva il ruolo di Primo ufficiale. La rotta della nave era verso la Tunisia dove si sarebbe dovuto cambiare equipaggio.
Ad un certo punto, all’altezza di Pantelleria, aveva sentito il capitano mentre parlava al telefono chiedere 5000,00 euro all’interlocutore dicendo “ho dei problemi” quando si era trovato davanti il Omississ.Il giorno dopo la nave aveva cambiato direzione; non sapeva altro perché la navigazione era nelle mani del Comandante. I comandi li dava il Comandante e li passava agli altri.
Aveva visto due gommoni che portavano merce. Il comandante gli aveva detto che avrebbero dovuto portare questi pacchi contenenti sigarette a bordo e lui aveva dato ordini a Mohamed; quest’ultimo li prendeva con la gru ed i due ucraini li sistemavano dentro la nave nella cella frigorifero.
Ammetteva di aver preso i cellulari dei membri dell’equipaggio per evitare che li potessero usare. L’uomo aveva visto che stavano per arrivare i militari della Guardia di finanza ed avendo capito che qualcosa non andava voleva evitare che gli altri potessero parlare al telefono; non lo aveva preso solo al capo macchinista croato perché lui veniva dall’aereoporto e non conosceva nessuno a differenza degli altri.
Non sapeva se il ragazzo olandese o qualcun altro avesse un telefono satellitare.
Conclude dicendo che per tre giorni aveva dolori e da solo aveva estratto un dente.
In applicazione dei principi sopra esposti sulla “valutazione frazionata” delle dichiarazioni accusatorie, ritiene questo giudice che non possa essere attribuita piena attendibilità e valenza probatoria a nessuna parte delle dichiarazioni rese dal Omississ.
Ed invero, richiamando i principi espressi da Cass. pen. sez. I, 27/04/2017, n.18018, ritiene questo giudice che il Omississ non sia per nulla credibile essendo le relative dichiarazioni, oltre che inspiegabili dal punto di vista logico (essendo incomprensibile la ragione per cui lo stesso, innocente, avrebbe sottratto i cellulari agli altri coimputati), evidentemente finalizzate ad attribuire la responsabilità dei fatti al solo Omississ, piuttosto che a sé stesso, e non trovando siffatte dichiarazioni, incluse quelle rese sugli altri coimputati, non solo supporto in alcun idoneo riscontro esterno ma essendo, anzi, del tutto smentite dalle dichiarazioni rese da questi ultimi che concordemente hanno affermato che gli ordini sulla nave provenivano dal Omississ stesso (ad eccezione dei due egiziani a loro volta da ritenersi non credibili dovendo allontanare i sospetti su di sé, essendo stati indicati dagli altri coimputati come co-organizzatori del progetto criminoso), che erano stati sequestrati i cellulari di tutti gli imputati, nessuno escluso, che l’olandese aveva sempre con sé il telefono satellitare, ed infine che avevano partecipato allo smistamento dei pacchi all’interno della nave tutti i membri dell’equipaggio.
Inoltre anche le dichiarazioni del figlio dell’imputato (che aveva detto che il padre gli aveva riferito al telefono, dopo quattro giorni dalla partenza, che non si trovava bene con i membri dell’equipaggio e che al rientro a Malta avrebbe dato le dimissioni) comprovano l’inattendibilità dello Stojanovic (che non avrebbe motivo di mentire se non quello di nascondere la propria colpevolezza) che in sede di incidente probatorio aveva dichiarato, invece, che non aveva avuto alcun rapporto con gli altri membri dell’equipaggio se non scambiando parole come “buongiorno” e che erano ben altri i suoi motivi di stupore (mancavano Omississ e internet a bordo, il nome del natante era stato cambiato il giorno prima della partenza senza adempiere alle necessarie procedure formali, non erano stati prodotti documenti attestanti la presa in consegna del carburante prelevato, non gli era stato detto dove sarebbero andati).
Pertanto, a fronte delle conformi dichiarazioni dell’Omississ e del Omississ sulla sistemazione a bordo del natante dei pacchi contenenti droga, della consapevolezza dell’imputato del caricamento della droga a bordo della nave e del sequestro del cellulare (circostanze, queste, affermate dal Omississ), è evidente che l’imputato abbia mentito nel negare di essersi accorto dell’attività illecita svolta cosa che, pur integrando senz’altro facoltà riconosciuta dall’ordinamento all’imputato, letta unitariamente alle predette dichiarazioni concorre ad integrare quegli indizi gravi, precisi e concordanti integranti gli elementi oggettivo e soggettivo del reato contestato che consentono di ritenere senz’altro colpevole lo Stojanovic.
Ed invero, quanto al profilo oggettivo l’aver aiutato gli altri membri dell’equipaggio a sistemare i pacchi contenenti marijuana all’interno della nave integra senz’altro quel contributo causale, sufficiente ed idoneo, alla condotta illecita altrui già in atto.
Sussiste altresì la prova dell’elemento soggettivo consistente nell’adesione volontaristica alla condotta illecita altrui.
Sul punto, nel richiamarsi alle valutazioni già svolte per gli altri imputati relativamente alla mancanza di prove sulla sussistenza di minacce rivolte ai membri dell’equipaggio per caricare e trasportare la droga in nave, ritiene questo giudice che la consapevolezza e la volontà dell’imputato di partecipare all’illecito contestato si desuma dalle circostanze di seguito richiamate:
- la mancanza iniziale di una reazione dell’imputato che, capo macchinista con lunga esperienza di lavoro all’interno delle navi, dopo aver accettato una lecita offerta di lavoro, sia pure avendo capito, una volta giunto sul posto, che si sarebbe trattato di un giro di prova di pochi giorni, non si era rifiutato di intraprendere il viaggio sul natante in assenza di informazioni sulla rotta da seguire, in mancanza della consegna di una copia del contratto di lavoro, in mancanza del Omississ e di internet a bordo, in presenza del cambio del nome della nave il giorno prima della partenza senza l’adempimento delle necessarie procedure formali nonché in mancanza della produzione dei documenti attestanti la presa in consegna del carburante prelevato (anzi, sulla base di quanto dichiarato dal figlio, l’imputato si era limitato a dire al telefono, genericamente, che non si trovava bene con l’equipaggio, circostanza, questa, peraltro, non dichiarata in sede di interrogatorio di garanzia);
- a fronte delle conformi dichiarazioni dei coimputati sopra riportate sulla sistemazione da parte dell’imputato a bordo del natante dei pacchi contenenti droga, sul sequestro del cellulare e sulla consapevolezza del caricamento a bordo della nave della droga nessuno degli imputati (ad eccezione del Omississ al quale lo stesso si limitava a chiedere:”che facciamo?”) riferisce di reazioni di disappunto deciso e vigoroso dell’imputato (appare improbabile che se vi fosse stata siffatta reazione nessuno dei sette membri dell’equipaggio avesse riferito di “giustificate” grida, tentativi di ribellione o addirittura, di spegnimento del motore da parte dello Stojanovic, considerando che quest’ultimo era il capo macchinista e ben avrebbe potuto farlo);
- ulteriore decisivo argomento di formidabile riscontro della colpevolezza dell’imputato è, infine, la mancata dissociazione immediata dal progetto criminoso dell’imputato (e degli altri coimputati) sin dal momento dell’arrivo dei militari della Guardia di finanza presso il natante.
Ed invero, se davvero fosse corrispondente al vero la circostanza che l’imputato avesse nutrito solo dei dubbi sul cambiamento di rotta e sulle altre anomalie riscontrate all’inizio del viaggio o che lo stesso fosse stato spettatore di una operazione illecita voluta da altri dalla quale lo stesso avrebbe voluto, poi, dissociarsi una volta venuto a conoscenza della finalità illecita del viaggio appena effettuato e dopo che gli era stato impedito di chiedere aiuto con il cellulare (secondo quanto riferito dal Omississ l’uomo aveva domandato:”che facciamo”?), non appena visti i militari salire a bordo della nave lo Stojanovic avrebbe potuto finalmente chiedere loro aiuto, denunciare i fatti ed aiutarli nel trovare il nascondiglio dei pacchi sospetti così evidenziando la volontà di dissociarsi da ogni sopravvenuto proposito criminoso cosa, questa, di cui invece non vi è traccia negli atti del procedimento. Invece l’uomo si è limitato a negare di aver visto tutto ed a ribadire di essere stato sempre dentro alla sala macchine a dormire.
La sola domanda:”che facciamo” che evidenzia consapevolezza dell’illiceità dell’attività appena compiuta, non seguita da una decisa reazione finalizzata a far rilevare il proprio fermo distacco dall’attività criminale già posta in essere, integra chiaramente la sussistenza del dubbio emerso successivamente al compimento dell’azione illecita cosa che, di per sé, non impedisce di ritenere sussistente il dolo richiesto per il perfezionamento della fattispecie contestata.
Non risulta nemmeno da nessuna delle dichiarazioni rese dagli imputati che questi ultimi siano stati costretti da qualcuno dell’equipaggio in qualsiasi modo a non parlare prima dell’arrivo dei militari stessi che avevano dato avviso del fatto che avrebbero ispezionato la nave, per quanto risulta dal verbale versato in atti.
Assumono rilievo, ancora, nel delineare compiutamente il dolo del delitto contestato così come sopra ritenuto, le acquisizioni documentali fornite dai difensori dell’imputato consistenti nei tabulati telefonici, nello scambio delle email integranti adesione alla proposta di lavoro all’interno della nave, nel curriculum dell’imputato e nella lettera di impiego della compagnia inglese “Atlantic Crewing” nella misura in cui gli stessi evidenziano, ad avviso di questo giudice, la mancanza di contatti pregressi con gli organizzatori del traffico illecito di droga e la sussistenza di un’assunzione regolare dello omississ nella qualità di capo macchinista all’interno della nave.
Tuttavia siffatti elementi, alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, pur consentendo di escludere la sussistenza della prova di un preventivo accordo criminoso tra l’imputato e gli organizzatori del trasporto di droga, non impediscono di ritenere sussistenti indizi gravi, precisi e concordanti di una adesione volontaristica al progetto illecito già organizzato nella fase esecutiva nei termini e per le motivazioni già espressi.
Questo solido quadro probatorio, ad avviso di questo giudice, non viene scalfito, invece, dall’ipotesi alternativa proposta dalla difesa dell’imputato (incentrata sul fatto che, avendo la nave rallentato una volta arrivata nelle coste dell’Algeria, i motori erano rimasti accesi e, stante il non perfetto funzionamento degli stessi, l’imputato sarebbe stato per tutto il tempo del trasbordo dai gommoni e del caricamento della droga nella sala macchine) la quale, non risultando credibile dal punto di vista logico né provata in concreto, non è idonea a far vacillare le suddette prove dichiarative e logiche sulla base dei principi giuridici esposti nel paragrafo 3.1.
Ed invero, innanzitutto con riferimento agli elementi contenuti nella consulenza tecnica depositata dai difensori in data 15.09.2018 e redatta dall’ing. xxx, concorda questo giudice sulle considerazioni fatte dal P.M. in sede di requisitoria relativamente alla impossibilità di ritenere certi i risultati cui è pervenuto il consulente tecnico.
Infatti, a fronte della mancata indicazione da parte del consulente dei criteri tecnico-scientifici sulla base dei quali lo stesso sarebbe pervenuto alle conclusioni raggiunte, le considerazioni ivi effettuate relativamente all’impossibilità per l’imputato di allontanarsi dalla nave nel periodo in cui la velocità della stessa era di 1,8 nodi ed alla impossibilità che la nave si fosse fermata a causa del dedotto malfunzionamento del motore, evidenziano solo delle ipotesi prive di sicuro fondamento che non consentono di smontare e, quindi, azzerare la forza delle logiche e coerenti considerazioni del P.M. (contenute nelle pagg. 20-26 della requisitoria) essenzialmente fondate sulla preminente considerazione di ordine logico che la delicata ed illecita operazione di accostamento alla nave di sera ed in alto mare di due gommoni contenenti 10 tonnellate di marijuana difficilmente avrebbe potuto essere organizzata mantenendo il natante con il motore acceso per tutto il tempo occorrente (di certo apprezzabile) ma sarebbe stata effettuata, piuttosto, con le migliori cautele del caso (evincibili, invece, da quanto dichiarato dallo stesso Omississ, Comandante della nave, che sul punto non avrebbe avuto motivo di mentire:”…durante il viaggio, OMISSISS Omississ gli ordinava di cambiare rotta e di dirigersi verso le coste algerine dove fermava il natante a circa 25 miglia dalla terraferma (mentre subito prima avevano aumentato la velocità) e girava la nave mantenendola con la prua per dare la possibilità di fare dossi alle onde”).
Peraltro, siffatta circostanza relativa all’arresto della nave per circa un’ora, un’ora e mezza o due, è stata confermata da tutti gli imputati (ad eccezione dell’Omississ che sul punto non appare credibile per quanto sopra già detto), ed appare comprovata anche dalle immagini dei gommoni ritratte nelle foto scattate dal Omissis versata in atti che, per quanto non siano nitide, non avrebbero potuto essere scattate se la nave non si fosse fermata ma avesse solo rallentato nonché dal fatto che difficilmente uno degli occupanti il gommone avrebbe potuto salire per qualche minuto a bordo della nave per poi ritornare sul gommone, secondo quanto dichiarato dal Omississ, se quest’ultima non si fosse fermata ma avesse solo rallentato.
Inoltre, il dato relativo alla velocità della nave riportata nella cnr alla quale fa riferimento il difensore dell’imputato nell’arringa difensiva appare un dato di per sé neutro che da solo non è idoneo a sconfessare quanto dichiarato dai coimputati potendo costituire, anzi, un riscontro esterno rispetto a tali dichiarazioni per le stesse ragioni indicate dal P.M. in sede di requisitoria a pag. 5-6 del verbale fonoregistrato, alle quali ci si richiama, essenzialmente basate sul fatto che nella cnr non si fa riferimento a quanto tempo la nave sia andata a 1,8 nodi: si legge solo: “a tratti”; l’altro elemento richiamato dal difensore nell’arringa difensiva sulla diversa durata del viaggio che dalle foto fatte dal Omississ ai gommoni sembrerebbe corrispondere a trentaquattro minuti piuttosto che ad un’ora circa, non appare affatto provato dal tempo impiegato nel fare le foto e ciò non solo sulla base delle considerazioni effettuate dal p.m. in sede requisitoria pagg. 4-5 alle quali ci si richiama (non essendovi certezza del fatto che il trasbordo e la sistemazione all’interno della nave dei pacchi – quest’ultima non fotografata- sia durato solo trentaquattro minuti), ma anche per la considerazione determinante per cui non è detto che il Omissis abbia ripreso tutto il trasbordo del carico dai gommoni per l’intera durata dello stesso essendo anzi verosimile che lo stesso ne abbia ripreso solo una parte considerato che nella seconda foto si vede un gommone con all’interno dei colli ancora da trasportare sulla nave (così come, del resto, affermato successivamente dallo stesso difensore dell’imputato all’udienza del 9 luglio 2019 che ha ammesso anch’egli una durata verosimile di circa un’ora).
Appare, poi, elemento investigativo di preminente rilevanza di segno contrario rispetto agli elementi evidenziati nella superiore consulenza, la dichiarazione resa dallo stesso imputato in sede di interrogatorio e, quindi, nell’immediatezza dei fatti, quando lo stesso, rispondendo alla domanda del giudice se si fosse accorto che la nave si era fermata nelle coste dell’Algeria, affermava che la nave aveva rallentato (piuttosto che essersi fermata) perché attendeva ordini e che lui non si era accorto che fosse successo nulla di strano, come l’avvenuto avvicinamento di gommoni, perché stava dormendo (e non stava, invece, controllando ininterrottamente motori in difficoltà) all’interno della sala macchine posta nella parte bassa della nave.
Pertanto, l’ipotesi alternativa proposta non appare idonea a ritenere non credibili le dichiarazioni conformi dei coimputati sopra richiamate lette unitamente alle stesse dichiarazioni dell’imputato ed alle considerazioni di ordine logico sopra evidenziate.
Alla luce del quadro probatorio sopra descritto ed analizzato, non appare necessaria ai fini della decisione (così come già scritto nel provvedimento letto in udienza) l’acquisizione dei “logbooks” non sequestrati (l’uno tenuto sul ponte, l’altro nella sala macchine), richiesta all’udienza del 19 giugno 2019 dal difensore dell’imputato, dalla quale si sarebbe potuto verificare che i macchinari si fermavano sempre perché avevano problemi tecnici ed il fatto, quindi, che l’imputato avrebbe dovuto essere sempre presente nella sala macchine nonché la rotta seguita dalla nave ed i compiti svolti dall’equipaggio giorno per giorno.
Ed invero, a parte il fatto che non vi era certezza sul ritrovamento dello stesso all’interno della nave non essendo stati già sequestrati i libri nell’immediatezza dei fatti e che la rotta e la velocità della nave sono dati già acquisiti nel procedimento, è decisiva la considerazione per cui, in ogni caso, non si sarebbe potuto desumere con certezza la corrispondenza al vero dei dati ivi inseriti considerato che i libri, ove ritrovati, sarebbero stati compilati dai medesimi imputati che, ove colpevoli, non avrebbero avuto interesse ad inserire dati genuini e veritieri così come, del resto, affermato dallo stesso Omississ (che sul punto non avrebbe avuto motivo di mentire), relativamente alla mancata indicazione veritiera della rotta e dei cambi di destinazione annotati.
A fronte di tutto quanto sopra detto e della prova dello smistamento della merce all’interno della nave da parte dell’imputato non possono assumere rilievo nel presente procedimento le valutazioni effettuate nella sentenza della Suprema corte prodotta all’udienza del 9 luglio scorso dal difensore dell’imputato (Cass. pen., Sez. IV 31 luglio 2018, n. 36753) e ciò in quanto la parte sottolineata dal difensore, riportata a pag. 4, fa riferimento all’”assenza di altri elementi” per dedurre l’impossibilità di addebitare agli imputati di quel diverso procedimento la responsabilità del trasporto sulla base del solo fatto di aver fatto parte gli stessi dell’equipaggio. Tale circostanza non si rinviene nel caso di specie essendo stata raggiunta la prova, per quanto sopra detto, della fattiva partecipazione dello Stojanovic alla sistemazione dei pacchi contenenti droga di cui lo stesso conosceva il contenuto, per quanto riferito dal Omississ.
Va pertanto affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato ascrittogli.
Va riconosciuta altresì l’aggravante di aver commesso il fatto in numero superiore a tre persone in concorso tra loro stante il riconoscimento della responsabilità penale al predetto numero di imputati.
Va riconosciuta inoltre l’aggravante dell’ingente quantità.
Richiamandosi questo giudice ai principi espressi nell’apposito paragrafo, nel caso di specie, in virtù del complessivo principio attivo accertato come esistente nella complessiva sostanza caduta in sequestro riferita all’unica condotta illecita contestata (ricavabile dall’esito dell’accertamento tecnico n. 1475/18 del 12.07.2018 depositato dal P.M. all’udienza del 19.06.2019), deve ritenersi la sussistenza della suddetta aggravante, per il superamento del limite soglia indicato nelle pronunce sopra citate avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto quali il numero delle dosi ricavabile, il numero dei tossicodipendenti rifornibili, l’oggettiva eccezionalità del sequestro in relazione all’area di interesse, la dimensione internazionale del traffico in oggetto destinato a saturare un mercato di amplissime dimensioni territoriali e umane).
Va riconosciuta, altresì, l’aggravante di cui all’art. 4 Legge 164/2006.
Ed invero, in base ai principi giuridici espressi dalla recente giurisprudenza di legittimità sopra richiamati, ritiene questo giudice che nel caso di specie, ferma restando l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della predetta aggravante, della mancanza di prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso di rilievo internazionale capeggiato dall’ Omissis e l’indubbia esistenza sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti di un gruppo organizzato impegnato in più Stati facente capo ai trafficanti della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria (per quanto risulta dalle dichiarazioni dei coimputati rese nel procedimento connesso sull’Omississ e dal ruolo svolto anche in passato dall’Omississ in diverse attività illecite internazionali svolte in più Stati -le indagini svolte dalle F.F.O.O. individuano tale soggetto come il proprietario della moto nave che già nell’agosto 2017 aveva trasportato 6.000 casse di sigarette di contrabbando e nell’occasione la polizia spagnola aveva tratto in arresto due degli altri coimputati nel procedimento connesso Omissis e Omissis – che evidenziano chiaramente il collegamento dell’Omississ con il gruppo internazionale e l’organizzazione del trasporto facente capo ai trafficanti algerini della droga caricata dai gommoni sul natante in Algeria operante almeno tra Malta e Algeria ove è avvenuto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente) , l’effettivo apporto fornito dall’imputato al Omissis ed all’ Omissis nella realizzazione del reato contestato, così come sopra accertato, unitamente alle particolari modalità dell’azione realizzatasi mediante il caricamento di 300 colli contenenti 10 tonnellate di droga in alto mare, con un equipaggio composto da soggetti di diversa nazionalità, previo trasbordo da due gommoni portati da soggetti che hanno raggiunto il natante in acque internazionali, al largo dell’Algeria, consenta di desumere il raggiungimento di indizi gravi, precisi e concordanti della consapevolezza dello Stojanovic sull’esistenza del sodalizio e sui suoi scopi illeciti nel senso della “prevedibilità” o “ignoranza per colpa” della circostanza medesima ex art. 59 comma 2 c.p. (così, Cass. pen. sez. VI, 13/10/2016, n. 52321).
Va pertanto affermata la penale responsabilità dell’imputato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, non si ritiene possano essere concesse le circostanze attenuanti generiche considerato il fatto che non è ricavabile dagli atti alcun elemento favorevolmente valutabile ex art. 62 bis c.p..
Ciò posto si ritiene equa la pena finale di anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa così determinata: p.b. anni 3 di reclusione ed euro 8000,00 di multa ex art. 133 c.p. in considerazione delle gravi modalità dell’azione e delle circostanze del fatto avvenuto di notte, in acque internazionali, su una nave non identificabile all’esterno per tutto quanto sopra detto, aumentato della metà nella misura di un anno e mesi sei di reclusione ed euro 4000,00 di multa ex artt. 80 comma 2 T.U. in materia di sostanze stupefacenti senza operare un ulteriore aumento per quest’ultima circostanza ex art. 63 comma 4 c.p. tenendo conto del fatto che il massimo di aumento edittale per quest’ultima circostanza è pari alla metà della pena (anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 12000,00 di multa), ulteriormente aumentato ex art. 73 D.p.r. 309/1990 comma 6 c.p. di 1/3 (anni 6 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa), ridotta per il rito di 1/3 ad anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa.
6 Le pene accessorie
Alle pene così come sopra determinate segue, per legge, l’applicazione delle pene accessorie di cui in dispositivo.
7 Le spese processuali di custodia cautelare
Al riconoscimento della penale responsabilità segue, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese di custodia cautelare per tutti gli imputati.
8 La confisca dei beni sequestrati
Con la presente sentenza è stata disposta la confisca e la devoluzione allo Stato del natante del tipo Motor Yacht denominato “QUEST”, battente bandiera del Regno dei Paesi Bassi, oggetto di sequestro, ove non altrimenti provveduto nonchè la confisca e distruzione della sostanza stupefacente e di tutto quant’altro sequestrato, ove non altrimenti provveduto.
In considerazione della complessità del procedimento la motivazione della sentenza verrà depositata entro novanta giorni e, durante tale periodo, i termini di custodia cautelare previsti dall’art. 303 c.p.p. saranno sospesi ai sensi dell’art. 304 co. 1 lett. c) c.p.p.
P.Q.M.
visti gli artt. 438 e ss. e 533 c.p.p.
DICHIARA
Omississ colpevole del reato allo stesso ascritto ed operata la diminuzione per il rito, lo condanna alla pena di anni quattro mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 12.000,00 di multa;
Omississ, xxxxxxxxxx colpevoli del reato agli stessi ascritto ed operata la diminuzione per il rito, li condanna alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 10.667,00 di multa.
visto l’art. 535 c.p.p.;
condanna tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere;
visti gli artt. 29 e 32 c.p.
DICHIARA
omissis interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque;
visto l’art. 85 D.P.R. n. 309/90
DISPONE
nei confronti di omississ il divieto di espatrio e il ritiro della patente per la durata di anni tre;
Visto l’art. 240 c.p.
Dispone la confisca e la devoluzione allo Stato del natante del tipo Motor Yacht denominato “QUEST”, battente bandiera del Regno dei Paesi Bassi, oggetto di sequestro, ove non altrimenti provveduto;
dispone la confisca e distruzione della sostanza stupefacente e di tutto quant’altro sequestrato, ove non altrimenti provveduto.
visto l’art. 544 co. 3 c.p.p.
DISPONE
che la motivazione della sentenza sia depositata entro novanta giorni e che, durante tale periodo, i termini di custodia cautelare previsti dall’art. 303 c.p.p. siano sospesi, ai sensi dell’art. 304 co. 1 lett. c) c.p.p.
Così deciso in Catania, all’udienza del 9 luglio 2019
IL GIUDICE
Maria Ivana Cardillo